Partiamo dalla fine. Dopo una bella conversazione con Poul Andrias Ziska, giovane e brillante chef del KOKS, alle Isole Faroe, dove è nato e cresciuto, mi è venuto di chiedergli se avesse l'ambizione di andarsene, a un certo punto della sua vita e della sua carriera. Se quelle Isole, così belle e affascinanti, ma anche così lontane da tutto, con un clima a volte così complicato e inospitale, non gli stessero un po' strette.
Nonostante fossimo al telefono, il sorriso della sua risposta è apparso molto chiaro. Non sono il primo che glielo chiede, senza dubbio, e probabilmente se lo domanda ancora lui stesso. Ma la risposta, almeno per ora, resta chiara, netta e appassionata: «Sto lavorando in un posto unico, meraviglioso, che mi rende felice. Amo queste Isole e lavorare con questi prodotti, queste materie prime, questa cultura. Questo è quello che penso di volere e dover fare, sapendo anche di avere ancora molto da imparare.»
Sei nato e cresciuto nella capitale Torshavn, dove ora lavori. Come hai deciso che saresti diventato uno chef?
«Avevo appena finito la scuola quando a Torshavn aprì questo nuovo ristorante. Allora la scena gastronomica delle Isole era quasi inesistente e questa idea mi parve molto interessante: era il primo ristorante che aveva una certa ambizione gastronomica e provai a propormi come apprendista. Leif Sørensen, lo chef, mi prese subito e io altrettanto velocemente mi appassionai a questo lavoro. Sørensen poi chiuse quel posto per aprirne un altro, il KOKS, di cui. prendendo il suo posto, sono diventato da un anno lo chef.»

La brigata del KOKS al completo
Leif Sørensen che viene raccontato come una specie di pioniere della gastronomia delle Faroe: tu che ritratto faresti di lui?
«E' stato il primo a portare questo approccio alla cucina nelle Isole, certamente. E a dimostrare cosa si potesse ottenere lavorando con gli ingredienti locali. Prima che aprisse il suo primo locale, a Torshavn i ristoranti erano davvero pochi, mentre adesso ce ne sono diversi molto interessanti.»
Oltre a lavorare con lui, quali altre esperienze professionali hai avuto?
«Ho lavorato per un po' a Copenhagen, al
Geranium, e ho frequentato più che potevo gli altri ristoranti per capire che tipo di cucina facessero. Poi sono stato anche in Spagna, al
Mugarritz, per qualche mese, prima di fare ritorno a casa.»
Quanto ti senti parte del movimento che si identifica con il New Nordic Cuisine Manifesto?
«Non lo so, è difficile dirlo. Io penso di fare solo quello che mi sembra più naturale. Qui alle Isole Faroe siamo distanti da tutto, quindi seguiamo solo le nostre idee, senza allinearci con nessun altro. Con tutto questo, siamo in effetti nordici e ci concentriamo sulle materie prime della nostra terra, per cui la vicinanza con la
New Nordic Cuisine è chiara. Il mio è uno stile semplice, onesto, che cerca più di ogni altra cosa di valorizzare la materia prima che ho a disposizione. Quindi soprattutto pesce, poca carne, qualche verdura. Una bella soddisfazione è capire che grazie al nostro lavoro sta crescendo anche l'interesse dei contadini per la coltivazione di nuovi prodotti, nonostante il clima difficile.»
Che pubblico frequenta il KOKS? I tuoi clienti sono più locali o più internazionali?
«Dipende dalle stagioni. In un momento come questo il turismo è quasi inesistente, per cui i nostri clienti sono tutti locali. Durante l'estate invece direi che il 70% del pubblico è fatto di turisti. Io comunque cerco sempre di pensare che in sala ci siano clienti internazionali, anche perché certi sapori della nostra cucina, in particolare quelli che derivano dalle fermentazioni della carne e del pesce, possono essere un po' difficili per un palato non abituato.»
La fermentazione è un elemento fondamentale della tua cucina, e sicuramente ne parlerai durante il tuo intervento. Ma come spiegheresti a uno che non ne sa proprio nulla cos'è il Ræst?
«In realtà è una cosa molto semplice. Facciamo l'esempio dell'agnello, che praticamente è l'unica carne che abbiamo a disposizione nelle Isole. Viene macellato a settembre e poi appeso in una struttura che permette una perfetta circolazione dell'aria, del vento. Perché il vento è l'unico ingrediente per questa fermentazione, per questo è una tecnica unica. E' il clima delle Isole che permette alla carne di fermentare invece di marcire, noi non aggiungiamo né sale né altro. Il resto ve lo racconto a Milano: per me sarà importante parlare non solo del lavoro che facciamo al
KOKS, ma anche della cultura e della storia gastronomica del mio paese.»