“E’ mattina, e sono seduta al diner all’angolo, al bancone, in attesa che mi versino il caffè” cantava Suzanne Vega anni fa, immortalando così un gesto quotidiano che si ripete immutato nel tempo. Un lungo bancone, magari un po’ unto, circondato da sgabelli rotondi in pelle, bottiglie di ketchup e mostarda, avventori persi nei propri pensieri; le insegne al neon, la lunga vetrata che affaccia sulla strada, tavolini di formica, tazze di caffè e pancake alti quando un palazzo.
Una scena iconica, entrata nell’immaginario collettivo attraverso libri, film e opere d’arte (a chi non viene in mentre l’immenso Nighthawks di Hopper?), i diner fanno parte della cultura americana contemporanea. Agli inizi, rappresentavano la modernità del fast food e del cibo da asporto. Col tempo, sono diventati invece quasi pezzi d’antiquariato, radicati nel tessuto socio economico di città e provincia.
Per gli americani, sono la familiarità e l’anonimato. Come per noi il bar sotto casa, i diner sono un posto dove mangiare un boccone e via. A noi, che li vediamo come parte integrante del mito americano, appaiono ricchi di fascino e soprattutto, di storia e di storie. Nonostante le origini che pare risalgano ai vagoni trainati da cavalli del secolo precedente, è solo nel '900 che il diner prende la forma che ancora oggi conserva.

Negli Stati Uniti ne rimangono ancora tanti, quasi come se niente fosse cambiato negli ultimi cent’anni. Anche nella New York in continua evoluzione, queste vestigia del tempo che fu resistono, ancorati alle abitudini che newyorkesi non accennano a lasciare andare. Uova fritte e un caffè a qualsiasi ora del giorno e della notte hanno un non so che di confortevole, la sicurezza dei gesti di routine e la consapevolezza del sentirsi a casa. Siamo andati in giro per Manhattan alla ricerca di questa pagina di storia gastronomica americana, prima che il progresso e la globalizzazione se li portino via.
Abbiamo fatto in tempo a pranzare nello splendido
Empire Diner, un’autentica
Fodero Dining Car del 1946 nel West Village. L’acciaio scintillante, i dettagli art deco e un menu messo a punto dalla chef
Amanda Freitag avevano reso questo diner il perfetto ponte tra la tradizione retro e il 21esimo secolo. Oltre le frittate e gli hamburger, si ordinavano
avocado toast e
granola. Al momento è tristemente chiuso, in attesa di tempi migliori. Invece il
Market Diner a Hell’s Kitchen, ha chiuso definitivamente quest’anno per fare posto a qualche anonimo grattacielo.
Nella Manhattan residenziale, a est di Central Park, da oltre quarant’anni c’è il
Lexington Candy Shop, una ‘soda fountain’ gestita da uno staff che pare sia qui dall’apertura. Foto in bianco e nero alle pareti, un’atmosfera rilassante, tranquilla, quasi di provincia. Dall’altro lato c’è il
Broadway Restaurant, caffè di quartiere che resiste da anni, bancone centrale di formica verde e menu a grossi caratteri in bella mostra e un po’ più su, il famoso
Tom’s Restaurant di
Suzanne Vega.
A sud, vicino Wall St, c’è il
Pearl Diner, non bello come altri (è più recente, degli anni 60) ma di recente location del film
Remember Me con
Robert Pattinson e non lontano, un altro posto davvero elegante e luccinante: lo
Square Diner, che quadrato non è (è rettangolare). Anche questo come l’
Empire, è in acciaio e pannelli blu, ricco di dettagli autentici (è del 1945).
A poca distanza, su Canal Street ai margini di Chinatown, c’è il piccolo e meno curato
Cup & Saucer, con insegna d’epoca (1940), menu plastificato, staff cortese e simpatico e, cosa strana per i diners, una ottima selezione di frullati di frutta fresca.
Ugualmente vetusto e caratteristico ma con qualità mediocre e staff davvero antipatico è
La Bonbonniere, in un punto strategico tra il Greenwich Village e il Meatpacking, preferito da movie stars (
Seymour Hoffman veniva spesso), sempre pieno visti i prezzi bassi e l’atmosfera genuina.
I
diner sono ovunque, basta saperli distinguere tra una catena e l’altra, inglobati e nascosti da insegne chiassose e big brand. Per esempio, di fronte il famoso Flatiron c’è
Eisenberg’s Sandwich Shop, aperto dal 1929. Ci siamo passati davanti diverse volte prima di notarlo. Dentro, l’immancabile lungo bancone e odore di uova e bacon, foto di attori alle pareti e un’umanità varia. Appena seduti, neanche ordinato e già avevamo attaccato bottone con un cliente che viene qua ogni sabato. Abbiamo parlato di Trump e di politica. Più autentico di così.