09-11-2024
Patata "in stagnola" alla Amatriciana di Andrea Aprea, 2 stelle Michelin a Milano
L’immaginario collettivo associa le “salse” alla Francia. Non a torto, perché oltre le Alpi cominciarono a codificare possibili combinazioni di burro e farina quasi due secoli fa. Nel 1833, qualche anno dopo la Rivoluzione Francese, il cuoco prodigio Marie-Antoine Carême, ne classificò 4: besciamella, spagnola, tedesca e vellutata. All’inizio del Novecento ci pensò Auguste Escoffier ad aggiungere il carico da novanta: «Le salse», dichiarò perentorio nelle prime pagine della Guide Culinaire, anno 1903, «rappresentano la parte capitale della cucina francese, di cui hanno sancito e consolidato l’universale superiorità». Un tono sovranista che, nel 1973, i ribelli della Nouvelle Cuisine osarono contraddire: «Caro cuoco del futuro», imposero al punto 7 del loro celebre decalogo, «devi eliminare dal menu le salse ricche». Un affronto alla cucina dei padri. Sempre secondo l’immaginario comune, la cucina italiana può fare invece a meno delle salse perché la nostra è una cucina di sottrazione, che deve “sporcare” il prodotto il meno possibile, si sente dire spesso, magari con un giro d'olio extravergine d'oliva. «La migliore salsa che possiate offrire ai vostri invitati», scriveva Pellegrino Artusi nel ricettario che unificò l’Italia, anno 1891, «è un buon viso e una schietta cordialità». Solo che poi indicava il procedimento di 20 preparazioni, dalla salsa verde a quella di peperoni, con più olio che burro. Per venire alla modernità “Salse, creme e condimenti” hanno un ruolo importante nel ricettario “La Grande Cucina di Gualtiero Marchesi”: il Maestro della cucina italiana (che ebbe anche un’importante formazione francese) sosteneva che le salse, «Presentate come l'elemento secondario di un piatto, possono invece trasformarsi nella massima espressione di creatività e sperimentazione». Negli ultimi 25 anni di cucina, in barba ai luoghi comuni, di qua delle Alpi abbiamo assistito a un florilegio enorme di nuove salse. Si pensi solo al lavoro sul tema di Massimo Bottura e Niko Romito: a Modena abbiamo assaggiato creme di spaghetti frullati, fondi vegetali, salse criolle o chowder di finocchio; in Abruzzo salse a base d’acqua, laccature e stratificazioni di ogni ordine e grado. E questo è solo per citare due cuochi diversissimi di un movimento ben più ampio, che sarebbe bello sintetizzare in un ricettario di nuove salse italiane, con autori che vanno dalla A di Alajmo alla U di Uliassi.
Seppia alla Diavola
Quaglia, salsa tonnata, carota o mirtilli
Andrea Aprea, classe 1977
Il ristorante Andrea Aprea ha 3 menu degustazione: Contemporaneità (4 portate, 200 euro), Partenope (6 portate, 230 euro) e Signature (8 portate, 250 euro)
Il punto di Gabriele Zanatta: insegne, cuochi e ghiotti orientamenti in Italia e nel mondo
di
classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. instagram @gabrielezanatt
Insegne, cuochi e ghiotti orientamenti: a narrarceli è Gabriele Zanatta, laureato in Filosofia, nonché coordinatore della Guida ai Ristoranti di Identità Golose. Il suo punto di vista va ben oltre la superficie, per esplorare profondità e ampiezza della tavola, di tutto quello che è Zanattamente Buono.