Gusci di patata di mannitolo e isomalto, toast di latte soffiato, myoga con annatto, radici di loto e mole, gel di aguachile, ostie di maltodestrina, tucupi e alghe iso no yuki, Pringles al pimenton de la Vera, spume di pasta sfoglia, marshmellow di polpe di cacao, trofie di tendine di mucca…
Chi legge le nostre pagine conosce bene la cifra unica di Terry Giacomello, il cuoco friulano che, chiusa l’esperienza di 6 anni all’Inkiostro di Parma, dal 6 aprile scorso officia al Nin, il ristorante contenuto nel Belfiore Park Hotel di Brenzone sul Garda, sponda veronese del lago. Un debutto magnifico, spiegava la nostra recensione dettagliata.
Si dice sempre che il 54enne di Aviano sia il più tecno-emozionale dei nostri cuochi, per quel formidabile quinquennio (2003-2008) speso alla corte dei fratelli Adria, al Bulli di Roses, in Catalogna. In effetti, a ricordare l’esperienza, gli brillano ancora gli occhi: «Una volta trovai Ferran nel suo laboratorio, tutto cosparso di acqua di mozzarella. L’esperimento non aveva funzionato. Mi guardò e disse: ‘Vedi Terry che non sono un genio come tutti dicono?’. In realtà è il miglior cuoco con cui abbia lavorato e anche la persona più umile mai conosciuta».
C’è molto di quegli anni nella cucina di Giacomello, si dice spesso, e le preparazioni di cui sopra sono lo specchio di un animo irrequieto che studia ed esperimenta con ingredienti, testure e impiattamenti sempre nuovi. Ma è proprio questo, l’invito a essere liberi di trasformare, il vero lascito dell’insegna della Costa Brava, superiore a qualsiasi nuova tecnica in sè. «In ogni piatto», ci rivelò un tempo, «cerco di mettere almeno un elemento che non ho mai trovato su altre tavole». Lo fa con ricerca ma anche con allegria, una dote molto apprezzabile in un'epoca in cui la cucina ha cominciato a prendersi troppo sul serio: 15 anni fa c'era molta più tolleranza e spensieratezza e meno male che Terry, almeno in questo, non è cambiato.

Alcuni dei validissimi ragazzi di sala: il sommelier Giovanni Boscaro, Andrea Brugnoli, Arianna Veneri e il restaurant manager Francesco Lucchetti

Alcuni piatti, vecchi e nuovi, di Terry Giacomello. A destra, un'interessantissima Pasta di Parmigiano filata, un nodino tipo treccia di mozzarella, reimpiegata dopo un passaggio di 2 ore in forno, sottovuoto. A sinistra, un'ostia maltodestrina con olio al basilico, maionese di acqua di governo di mozzarella e pomodoro liofilizzato a lato
Anche per un cronista scafato, è complicato stare dietro a tutti i significati della dispensa del
Nin: è un continuo
googlare sul significato di quel carboidrato o polimero, su quel succo della radice di manioca o la ricetta sconosciuta messicana. C’è da dire che, una volta seduti di fronte al lago, il compito è facilitato da una brigata di sala di ragazzi (e ragazze!) bravissimə, guidati dal restaurant manager
Francesco Luchetti:
Giovanni Boscaro è un sommelier di cui sentiremo parlare, per la proprietà di linguaggio con cui sciorina vini del luogo e oltre ma anche sidri di 14 varietà o buonissimi kombucha di Lapsang souchong autoprodotti. E così succederà anche con
Arianna Veneri, una ragazza che dettaglia con passione e precisione tutto, con la padronanza di chi sa di cosa parla, senza recitare vuote formule a memoria.
E poi c’è la cucina di Terry, che ha al suo fianco
Mirko Pacifico, un altro ragazzo di valore, con esperienze lunghe così. Le linea non è per nulla una replica del Bulli in salsa italiana perché sono passati tanti anni da allora, marcati da viaggi nei 5 continenti, umili stage condotti in età non verdissima (
Noma,
Mugaritz,
D.O.M.,
Bras…) e uno studio matto e disperatissimo che ha allargato gli orizzonti ben oltre il recinto di Cala Montjoi. Una bella fetta di
foraging oggi arricchisce l’alfabeto del ristorante del lungo-lago. «Mica ce l'hanno insegnato gli scandivani», chiarisce Giacomello, «in Friuli, foglie ed erbe le raccoglievano quotidianamente già i nostri
veci».

Illusione di riso allo zafferano, un piatto che risale ai tempi di Inkiostro: i chicchi sono composti di acaua allo zafferano e agar agar, uniti poi a un olio allo zafferano, caviale di storione e crema di cavolfiore acidula

Tagliolinio al bianco d'uovo: un tagliolino ricreato con l'albume dell'uovo, fonduta di parmigiano e tartufo

Millefoglie. Spuma di pasta sfoglia e polvere di crema pasticciera, foglie di alloro trattate in acqua e bicarbonato e caramellata con acqua e zucchero
Ma è la spiccata sensibilità
no waste che più di tutto smarca il ristorante da ogni ingombrante paragone col passato: le cucine dei fratelli Adrià non erano certo note per la cultura anti-spreco, un’attenzione che dilaga nelle cucine solo dal 2015, l’anno di Expo, di “nutrire il pianeta”, 4 anni dopo la chiusura del
Bulli. E così oggi i Giacomello boys oggi regalano il pane avanzato agli allevamenti di maiale. Soprattutto, fanno di tutto per dare valore a tavola a cartilagini o esofagi di pollo (
Pollo Arrosto, buonissimo), mezze maniche ricreate con gelatina di prosciutto crudo, "trofie" modulate con tendini di vitello, fondi del sake trasformati in pasta, paste filate di Parmigiano Reggiano o capelli d’angelo realizzati a partire dal siero…
Tutto questo è anche frustrante perché spesso è complicato, se non impossibile, trovare la quadra che non perda per strada il gusto lungo traiettorie tecniche così ardite: «È da tempo che proviamo a fare un minestrone in bianco, distillando i sapori verdura per verdura. Siamo ancora ben distanti da un finale convincente, ma non ci arrendiamo!». Ostinazione Giacomello.