«Hello, what’s your name?». Il pranzo comincia col sorriso di una signorina che accoglie gli ospiti all’aperto. Le sfiora la schiena un nastro orizzontale bianco e rosso, di quelli da lavori in corso. Da qui parte un sentiero stretto: a destra c’è una costruzione finita con porte e finestre; a sinistra una lunga palizzata in legno da cui spuntano tetti a spiovente in vetro. Sono le capanne che tra qualche settimana ospiteranno le nuove serre, il laboratorio di panificazione e il test kitchen.
Il 22 febbraio 2018 il nuovo Noma è ancora un semi-cantiere. Rene Redzepi sognava di aprire con tutte le cose a posto ma c’è ancora un po' da fare. Per inaugurare non poteva però aspettare la fine effettiva dei lavori perché ogni giorno senza income pesa sui bilanci: è dal 24 febbraio 2017, ultimo servizio del Noma 1.0, che il cuoco di origini macedoni stipendia decine di dipendenti senza avere entrate (i conti del pop-up aperto in Messico sono altra cosa). E mica si potevano far slittare le migliaia di persone che a novembre avevano già prenotato online, pagando in anticipo il menu degustazione da 2.250 corone danesi (circa 300 euro).
Persino le piastre a induzione e i banchi di lavoro della cucina sono arrivati all’ultimo. «Siamo entrati per la prima volta a cucinare», ci racconterà più tardi Jessica Natali, italiana punto fermo del ristorante, «due giorni prima dell’apertura al pubblico. Abbiamo finito di girare le ultime viti solo poco fa». È stato già un bel colpo di reni aprire 24 ore dopo i piani, il 16 invece che il 15 febbraio. E le 80 persone che avevano prenotato a pranzo e cena del 15? «Le abbiamo chiamate chiedendo loro di spostare la data. Abbiamo fatto due servizi extra sabato scorso», spiegherà il maître e socio James Spreadbury, «hanno capito». Chissà che polemiche se fosse successo da noi.
Del resto in Danimarca si ragiona diversamente. Per esempio, come facciamo a spiegare a un italiano che a Copenhagen sono entusiasti per aver aperto un ristorante davanti a un inceneritore? Le finestre della nuova sala inquadrano un laghetto e delle ciminiere che sbuffano colonne di vapore. Si chiama Amager Bakke e l’ha disegnato Bjarke Ingels, lo stesso architetto del nuovo Noma. È un termovalorizzatore a impatto zero che tra qualche mese inaugurerà sul suo tetto una pista da sci. Potremo smaltire il pranzo nordico facendo slalom sopra ai rifiuti.

Amager Bakke, l'inceneritore a impatto zero davanti alle finestre del nuovo Noma. Tra qualche mese ci si potrà sciare
Torniamo di qua del laghetto e sforziamoci di vedere dietro alle palizzate. Una cosa importante da dire è che, come spesso abbiamo letto in questi mesi, Noma 2.0 non è né sarà una
urban farm. Non esistono ancora ristoranti al mondo capaci di coltivare tutto quello che mettono in tavola. E pure qui non si fa eccezione:
Redzepi si appoggerà come sempre ai magnifici prodotti delle
farm amiche
Søren Wiuff e
Kiselgaarden. «Quello che succederà», rivela
Riccardo Canella, sous chef appena promosso a corresponsabile del
Test Kitchen, «è che innesteremo orti sul tetto della struttura e cresceremo nelle serre delle piante esotiche trovate in Giappone, Australia e Messico. Faremo qui esperimenti che svilupperemo in larga scala fuori dal nostro villaggio».
"Villaggio" è una parola chiave del nuovo corso. L'obiettivo di
Redzepi e
Ingles è stato quello di creare un piccolo borgo scandinavo, una comunità creativa di persone, ognuna nella sua “casa”, concentrata a migliorare quello che già sa fare. Con un obiettivo sopra tutti: «Non vogliamo diventare il primo ristorante al mondo ma il miglior luogo di lavoro al mondo», ha ripetuto più volte il patron a tutto lo staff. C'è il desiderio di cambiare la nomea di uno dei luoghi di ristorazione più "crudeli" al mondo, disegnare spazi a misura di persona, far convivere tutti in modo più armonico. Rientra in quest’opera di "umanizzazione" anche il 10% dei posti riservati a tariffe agevolate per studenti (
i dettagli sono nella fotogallery).
I ritmi in questi primi giorni d’apertura sono per forza ancora
monstre: «Sto andando a letto all’una e mi sveglio alle 4», confessa
Canella. «Perché poi nell’ultimo quadrimestre abbiamo anche dovuto dare forma al nuovo menu.
Rene voleva che tutti i piatti fossero nuovi, senza alcuna replica del passato. Abbiamo lavorato su prodotti noti ma trattati con tecniche diverse. In 4 mesi abbiamo concepito 37 piatti inediti, tra i quali abbiamo scelto i 17 in carta ora. Lo chef ci ha chiesto di rispettare 3 regole: qualità degli ingredienti, qualità delle idee, qualità delle esecuzioni».

Sea star, il piatto simbolo del nuovo corso. Tutti i dettagli nella nostra fotogallery
Con quali risultati? Già splendidi, quasi come nel giorno di chiusura del primo corso. Da oggi fino a maggio il menu sarà centrato sui
seafood, i frutti di mare, ma non sarà sempre uguale a se stesso perché anche nell’Oceano esistono le microstagioni. La nostra è stata una cavalcata di 20 assaggi tra vongole centenarie, teste di merluzzo grigliate, ostriche giganti e cozze cavalline.
Una linea che privilegia sempre più il prodotto e i gusti rotondi rispetto ai toni acidi e all’estetica di foglie, alghe o muschi delle origini, che ormai replicano in tanti. «Il Noma sta cambiando pelle», rileva
Canella, «sono certo che avremo sempre meno cucina di assemblaggio e vedremo sempre più pentole e padelle». Appuntamento a giugno, quando il degustazione sarà al 100% vegetariano, un inedito. «Tra un menu e l'altro, chiuderemo per due settimane. La sfida sarà fare alzare la gente senza che abbia voglia di chiedere null'altro». Godiamoci intanto la fotogallery dei frutti di mare.
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