«Ragazzi, è arrivato il momento. Facciamo la nostra cucina, il nostro servizio e speriamo di non fallire». È il 14 marzo del 2014 e Riccardo Camanini catechizza la squadra al pass, placido come le onde gardesane che schiaffeggiano la battigia del Lido 84. È il ristorante che ha rilevato dopo aver orchestrato banchetti per una vita e mezza a Villa Fiordaliso, qualche passo più in là.
Ma questo è finalmente il “suo” ristorante: i 7 ragazzi del primo servizio sono tutti al libro paga. Cambia tutto. E cambia ancora di più dall’autunno successivo, quando la guida Michelin assegna la stella in tempi rapidissimi. È il segnale che la strada potrebbe essere quella giusta: piovono lodi a destra e manca e, per una volta, il pubblico si allinea alla critica.
Due anni e mezzo dopo la prima comanda, Lido 84 è un ristorante che brilla sicurezza in un angolo poetico del Garda. Una strofa composta da un cuoco colto e gentile che comanda una forza lavoro già raddoppiata dalle origini: oggi in brigata sono in 14. Si prendono cura di 40 coperti, ambitissimi nei giorni del week-end ma anche in quelli prima, quando il turismo lacustre normalmente sonnecchia.
La cuisine c'est beaucoup plus que des recettes. La cucina non è solo una questione di ricette, si affannò a spiegare il grande Alain Chapel. Se noi abbiamo trascorso un giorno in cucina al Lido 84, non è dunque per magnificare il suo benvenuto di Mandorle e gin, la Pasta cacio e pepe cotta in vescica di maiale alla maniera di un volaille de Bresse o la Torta di rose - online si trovano già ampie tracce di sdilinquimento e conferme che siamo di fronte a uno dei cuochi più solidi ed estrosi d’Italia.

Se il tempo lo consente, si pranza in un delizioso giardino esterno vistalago
Siamo invece corsi per spiare da vicino un modello di ristorazione che funziona assai bene, costruito con l’aiuto fondamentale del fratello manager
Giancarlo - che
Riccardo ha strappato all'universo delle multinazionali. Per cercare di tratteggiare un efficace prototipo di sostenibilità e innovazione
plus que des recettes.
«Lo schema che trovate ora», ci racconta il cuoco scandendo le parole, «non è figlio di uno studio a tavolino. È nato giorno dopo giorno. È cambiato di pari passo con le necessità che via via si presentavano. È figlio dell’attenzione a non fare mai il passo più lungo della gamba». Cerchiamo di sintetizzarne gli aspetti più interessanti.
La rotazione dei ruoli. Da
Camanini non esiste una divisione rigida delle partite alla maniera di
Escoffier, il padre dell’alta cucina del Novecento, l'uomo che distinse per primo un
sous chef da uno
chef de partie, un
maître de cuisine da uno
chef de rang. «Ci tengo che tutti sappiano fare tutto: per questo ognuno passa un mese e mezzo in ogni partita, dagli antipasti alla pasticceria. Così, in caso di emergenza, nessuno è impreparato e l’equilibrio rimane stabile». Naturalmente, è anche una questione di costi: «Non posso certo permettermi una cucina da 300mila euro: so bene cos’è la Ferrari ma sto bene con la mia Mercedes».
La cucina artigianale. Dietro al pass non c’è alcuna traccia di timer, sonde e roner. «Non voglio che nessuno utilizzi cronometri al lavoro per misurare le cotture perché in questo modo si standardizzano le preparazioni: la cottura della carne deve essere verificata ‘al tocco’, palpando, e allo stesso modo occorre assaggiare pasta e riso. L'assenza di misuratori del tempo è una regola cui tengo molto perché conferisce un valore artigianale essenziale al nostro lavoro».

Lo chef e il suo splendido torchio, un ritorno ai fasti marchesiani
I cuochi camerieri. Anche al
Lido i cuochi escono in sala, una tendenza diffusa nell’ultimo decennio, amplificata dalla cucina nordica. «E’ una scelta figlia della necessità perché partimmo con due soli camerieri e avevamo già 40 coperti. Non bastavano. Il vantaggio è che, in questo modo, il cuoco può vedere come il cliente si relaziona a un piatto che lui stesso ha cucinato, un passo avanti dallo schema classico, una scelta che a mio avviso rende più liberi e completi. Certo, anche a me farebbe comodo avere un maître che scova quella sfumatura di sala in più, ma non possiamo ancora permettercelo. Quest’intercambiabilità mi piace così tanto che vorrei che ogni ragazzo di sala stesse una settimana al mese in cucina. E, nello stesso periodo, che il cuoco si occupasse solo della sala, dal cambio dei fiori allo stiramento della tovaglia».
La rifinitura in sala. Dopo
Lopriore, non a caso altro marchesiano, anche
Camanini è grande sostenitore della rifinitura del piatto davanti al cliente. Se il comasco utilizza
strumenti disegnati ad hoc, il bresciano assegna impieghi contemporanei ad attrezzatture old fashion. Della
Cacio e pepe estratta dalla vescica di maiale al tavolo abbiamo già accennato. Da qualche settimana fa capolino in sala anche un preziosissimo torchio d’argento: «Abbiamo iniziato a torchiare astici blu bretoni e anatre, ma presto vorrei cimentarmi con le verdure. Amo il torchio perché è la quintessenza della dimensione artigianale del nostro lavoro. E mi riporta agli anni di
Erbusco (1994-97,
ndr)».
Il regista dei cuochi. Non c’è il maître, è vero, ma c’è un regista di sala che sovrintende al flusso dei cuochi-camerieri. «E’ una figura importante: controlla i dettagli dei tavoli - che non manchi mai il pane e i grissini dalla tavola – e che la scansione temporale del cliente che ho chiamato io proceda senza intoppi. È il regista che segnala se il cliente ha necessità particolari, se si attarda a mangiare o è vorace, se ha fatto scarpetta alla fine, so è scorbutico o sorride. Io voglio sapere tutto di tutti».
La mappatura dei clienti. «Proprio per questo, con la squadra facciamo 3 briefing al giorno: alle 12.20, alle 19.20 e dopo cena. A fine servizio voglio sapere tutto quello che è successo, tavolo per tavolo. Per questo, come succedeva al
Bulli di
Ferran Adrià o alla
Apple, ogni cliente ha il suo mini-dossier: cos’ha mangiato, le eventuali idiosincrasie. È un passo importante nella fidelizzazione dei clienti, un concetto vitale per un ristorante come il nostro».

«Prenditi cura del cliente come se stessi invitando un amico a casa tua». Camanini fa sua la massima di Brillat-Savarin
La condivisione delle ricette. Ogni stuzzichino o piatto servito in questi due anni e mezzo è archiviato in un grande database con foto, dosi esatte e procedimento. Le ricette sono tutte spedite man mano via email a cuochi e camerieri. «In questi anni ho imparato che bisogna condividere sempre, mai custodire segreti. A
Villa Fiordaliso ho lasciato tutto. Così hanno sempre fatto
Robuchon e
Ducasse».
Il personale assunto. Oggi la brigata del
Lido 84 è di 14 persone: 9 ragazzi in cucina/sala e 4 fissi in sala. Sono tutti assunti, tranne l’ultimo stagista arrivato (spesso da
Alma). Una rarità. «Perché assumerli tutti? Perché in 4 mesi di stage impari ben poco. Noi assumiamo ma chiediamo uno stop minimo di due anni. A me, per capire bene
Gualtiero Marchesi, sono occorsi 3 anni. Le permanenze lunghe assegnano più regolarità alla cucina e ai cuochi la possibilità di intendere a fondo tutto quello che facciamo».
Inglese e francese. Tutto il personale assunto deve conoscere le lingue straniere. L’inglese in primis e, se possibile, anche il francese. «Se non lo parlano, nei briefing spiego loro come illustrare tutti i piatti in francese. Quando
Alain Ducasse è venuto qui a cucinare per
Gelinaz!, ho preteso che ogni pietanza gli fosse spiegata nel suo idioma».
La lealtà. Tutti i ragazzi sanno quanto guadagna lo chef e quanto incassa il ristorante «Perché, se sono corretto coi miei dipendenti, diventa alta la possibilità che loro facciano lo stesso con me». È la ragione per cui l'attuale secondo chef del
Lido,
Marco Tacchetto, un pezzo da 90 con lunghe esperienze da
Fat Duck e
Mugaritz, ha rifiutato offerte economicamente più rilevanti per stare da
Camanini: «Quando mi ha chiamato, non ci ho pensato due volte».