Dalla penisola italica all’arcipelago giapponese fino a un’altra isola, che è un “continente” gastronomico, la Sicilia dove, metaforicamente, Fabrizio Fiorani è approdato nel 2020 per entrare nella brigata dello chef Ciccio Sultano. La pandemia, poi, ha irrotto nella vita di tutti provocando, «eufemisticamente un po’ di incertezza. Il dolce, però, proprio come idea è rimasto un punto fermo nelle nostre vite», ammette il pastry chef le cui colombe tradizionali con arance candite e glassata con mandorle siciliane (come prima lo erano stati i panettoni), realizzate in collaborazione con la brigata e la bottega gastronomica I Banchi, sono in vendita nell’e-shop dello chef. Spiega Fiorani, già pastry chef all'hotel Bvulgari di Tokyo: «Non si tratta soltanto di una questione strettamente economica, ma anche di un modo di far sentire le persone vicine a noi. Ci presentiamo a casa dei clienti con un dolce che rispecchia la stessa filosofia del ristorante: utilizzo di ingredienti straordinari, di una tecnica all’avanguardia e della tradizione dei gusti».

La colomba firmata Fiorani-Sultano
La tradizione di cui parla
Fiorani non è quella che fa rimanere ancorati alla ricettistica del passato, ma quella che non permette alcun intervento su concetti basilari. Un esempio? «Il tiramisù è mascarpone e caffè, non esistono variazioni mistiche; nessuno dice che non si può fare un dolce con mascarpone e fragole, ma non lo si può chiamare tiramisù! Noi non ci permettiamo di lanciarci voli pindarici sui grandi lievitati e, per questo, proponiamo una ricetta classica: a Natale abbiamo fatto un panettone tradizionale, una piccola edizione limitata con un colato di
Guanaja di
Valrhona e arancia candita. E ora a Pasqua una colomba tradizionale perché quest’anno la festa sarà molto intima; abbiamo voluto che la nostra colomba restasse nel solco delle radici». Non si tratta di grandi produzioni. «A
I Banchi, dove collaboro con
Peppe Cannistrà, non possiamo permetterci di allargare i volumi di produzione, e soprattutto non vogliamo farlo perché altrimenti non potremmo garantire la stessa qualità, che è il nostro obiettivo. Se i lievitati, realizzati con la mia ricetta e la supervisione di
Peppe, sono straordinari, non sono da meno i biscotti con farine di grani antichi che, essendo povere di glutine, ricche di fibre e facilmente impastabili, sono perfette per questo utilizzo».
La colomba di Fiorani e Sultano è il risultato di un connubio destinato a dare grandi soddisfazioni. «In Sicilia, da Ciccio Sultano, dove vado ogni mese, c’è la mia reputazione. La mia non è una consulenza, ma una collaborazione a tutto tondo con lo chef: io e lui ci siamo scelti come due innamorati - sottolinea il pasticciere - Ciccio mi ha messo a disposizione standard elevati, le persone e la mentalità giusta per Il Duomo, un ristorante che è magico dove Ciccio, grazie alla sua testardaggine e a quella della moglie Gabriella (Cicero, ndr) compagna di vita e di lavoro, fa miracoli perché non è scontato fare a Ragusa 30/35 coperti sia a pranzo, sia a cena».
«Non credo che la pandemia abbia portato a una riscoperta della pasticceria, ma a una consapevolezza diversa da parte dei clienti-consumatori. Un altro discorso è quello della pasticceria nell’alta ristorazione che esula da quello che sta accadendo in questo periodo - aggiunge
Fiorani - Chi ci credeva continuerà a farlo, come
Ciccio. La presenza di un pastry chef di livello in brigata è la ciliegina sulla torta, significa mantenere un elevato standard tenendo presente che il cliente viene per la torta, non per la ciliegina. Il pastry chef è una parte del tutto, di mio ci metto la scelta delle materie prime: personalmente non so quanto
Opalys Valrhona ho consumato quest’estate, quando come primo dessert proponevamo una
Granita di cioccolato bianco con pomodorini e fragoline cotti in miele di agrumi». In Sicilia,
Fiorani ammette di aver «imparato ad assaggiare prodotti che non credevo potessero esistere: una crema di ricotta colata e mescolata con lo zucchero che ero convinto fosse legata con qualcos’altro, tanto che ho voluto controllare personalmente». Da qui nasce un interrogativo: «Perché in un bistellato Michelin come
Il Duomo non dovremmo servire un cannolo dove mettiamo un’attenzione maniacale nella frittura delle cialde, nella scelta dei canditi, delle mandorle e della ricotta, un sorbetto alla mandorla o una zuppetta di ficodindia? Sono dolci troppo semplici? La risposta è no! E credo che questo ci porterà sulla via giusta, perché certi atteggiamenti sono tipici della pasticceria italiana, un Paese che si vergogna della zuppa inglese. Io dico: non vergogniamoci di fare una pasticceria italiana tradizionale e insieme contemporanea».
Non significa, però, adagiarsi sul passato, ma soltanto non immolarlo sulla strada dell'innovazione a tutti i costi: «Abbiamo creato un dessert con il logo di Ciccio, che deriva dall’antica Mesopotamia e lega olio, sale e grano: una namelaka al cioccolato bianco con olio extravergine, un caramello salato e una sablè con la semola, inserisco dei fiori di finocchietto e il dessert è straordinario nella sua semplicità».