L'altro giorno vi abbiamo parlato di Gallada, nuovo ristorante che vi consigliamo a Istanbul, leggi qui. L'occasione della nostra nuova visita nella città turca era è stata l'ottava edizione di Gastromasa, il congresso creato da Gökmen Sözen, una figura ormai immancabile nella scena food internazionale. Gastromasa conduce nella città turca, ogni anno, ospiti prestigiosissimi da tutto il mondo, questa volta a tenere alta la bandiera italiana erano gli chef Cristina Bowerman e Paolo Griffa (nonché Marco Zampese, lui guida le cucine dell'Hélène Darroze at The Connaught di Londra ed era chiamato a discutere proprio della scena golosa londinese), nonché i mixologist Dom Carella e Giorgio Bargiani, quest'ultimo a sua volta direttamente dala metropoli britannica.

Gökmen Sözen sul palco di Gastromasa 2023
Tante cose ci sono piaciute, a
Gastromasa. Vi raccontiamo qui sotto le cinque che, forse, ci sono piaciute più delle altre.
RODOLFO GUZMÁN E IL MESTIERE DEL CUOCO
Ci sono piaciute ad esempio queste parole del cileno
Rodolfo Guzmán, sul mestiere del cuoco: «È difficile fare buon cibo. Serve tanta energia. Intanto occorre coltivare gli ortaggi, i vegetali, cosa per cui occorrono passione e impegno. Non basta: bisogna essere bravi a raccoglierli nel momento giusto, pi bisogna trattarli bene, trasportarli al ristorante senza rovinarli, per non sprecare tutto il lavoro svolto prima. A quel punto il cuoco deve capire cosa c'è dietro la materia prima, l'amore che nasconde, e quindi rispettarla, pensare a come servirla al meglio. E ancora: bisogna poi prepararla facendosi forza delle proprie abilità. E quando tutto questo infine si porta al tavolo, occorre anche essere capaci di raccontare tutto ciò che è successo prima. Se non si fa bene anche solo uno di questi passaggi, l'intera costruzione diventa una perdita di tempo e di energie. Sì: è davvero difficile fare buon cibo».
DANI GARCÍA: PERCHÉ HO CHIUSO, PERCHÉ HO RIAPERTO
Nel 2018 fece scalpore la scelta dell'andaluso
Dani García, che due settimane dopo aver ricevuto le tre stelle a Marbella decise di chiudere il suo ristorante. A
Gastromasa García ha ribadito non tanto e non solo le ragioni di quella scelta (lo aveva già fatto anche di fronte ai nostri taccuini,
leggi qui. Si può sintetizzare con «voglio essere felice», una scelta di vita insomma) ma quella successiva di riproporsi comunque sulla scena dell'alta cucina, lui che nel frattempo era diventato (ed è tuttora) imprenditore della ristorazione, con molti indirizzi easy nel suo carniere. «Quando mi hanno chiesto se fossi intenzionato a tornare in futuro al fine dining, ho sempre detto che sarebbero dovute verificarsi tre condizioni: 1) mai in un locale che prevedesse la mia presenza quotidiana; 2) dunque, mai in un locale con il mio nome sull'insegna; 3) solo in un locale che fosse molto piccolo, e magari con un'anima giapponese». Le tre condizioni si sono verificare con
Smoked Room, il ristorante - due stelle - all'interno dell'
Hyatt Regency Hesperia di Madrid; l'insegna duplicherà a breve, a Dubai. In entrambi i casi, solo 14 posti a sedere attorno al bancone, la brace come protagonista e molte strizzate d'occhio all'Oriente.
IL DISFRUTAR E LA NUOVA TECNICA: TORTE "AREATE"
Eduard Xatruch, uno dei tre geni del
Disfrutar di Barcellona, ha raccontato di una loro tecnica recente, torte "areate" o "spugnose", le ha definite
spongy cakes. Sono senza uova né farina. In sostanza si prende una crema, la sia addiziona di lecitina di soia e polvere di alga Gracilaria reidratata, quindi parente dell'agar-agar (che si ottiene da diversi tipi di alghe, tra i quali anche la stessa Gracilaria) ma che va a gelificare più lentamente e quindi consente nuove strade; si va a bollire il composto, lo si carica nel sifone, lo si raffredda, lo si sifona, se ne ottiene una schiuma che va in freezer a solidificarsi: ecco una sorta di cheese cake/omelette giapponese ma spugnosa, che può essere dolce oppure salata, a seconda della base di partenza (a
Gastromasa,
Xatruch l'ha preparata alla crema di mais, va a essere uno dei componenti della
Ceviche con gelato di leche de tigre, granita di aji amarillo, aria di coriandolo, crema di merluzzo, più un'ulteriore crema di merluzzo con alga spirulina, infine lime, avocato e pickles di cipolla).
MOHAMAD ORFALI , DAL MEDIO ORIENTE AL MONDO
Interessante la storia di
Mohamad Orfali, il maggiore di tre fratelli che sono a capo dell'
Orfali Bros, ristorante numero uno per la speciale classifica
50Best dedicata al Medio Oriuente e Nord Africa, al numero 46 nella lista mondiale. La famiglia di
Orfali è originaria di Urfa, nel Sud della Turchia, ma i tre brothers sono nati e vissuti ad Aleppo, in Siria, mente una loro nonna vive a Gaziantep, di nuovo in Turchia, ma ha origini armene. Già questo suggerisce un'attitudine alla contaminazione gastroculturale che è ulteriormente stimolata dalla collocazione del ristorante a Dubai, «una città multiculturale. In ogni strada di questo città posso trovare cucine di almeno venti nazionalità diverse: singaporiane, cinesi, giapponesi, siriane, italiane, thai, vietnamite...». Lui si riferisce a un "cibo levantino", «che non è israeliano o libanese o altro, ma una connessione tra tutti. A scuola mi insegnavano la cucina francese, ma non la sentivo mia, non ne avevo memoria familiare. Ho così deciso di rappresentare la mia cultura nei piatti».
LA CREAZIONE DI UNA NUOVA CUCINA E COME LE ISTITUZIONI POSSONO AIUTARE: IL CASO OLANDA
Da
Joris Bijdendijk - chef con una stella in due dei suoi tre ristoranti ad Amsterdam, il
Rijks (all'interno del celebre
Rijksmuseum) e il
Wils, poi c'è anche il
Wils Bakery Café - arriva un bel racconto di come possa nascere un movimento per la cultura gastronomica e di come le istituzioni possano aiutarlo. «Era il 2017, avevo appena scritto il mio primo libro (
Bijdendijk: een keuken voor de Lage Landen, ossia "Bijdendijk: una cucina per i Paesi Bassi", le
lowlands). Venni chiamato a cucinare a un evento che aveva come ospite anche il primo ministro di allora. Gli donai una copia del volume, ci mettemmo a parlare e lui mi chiese cosa potesse fare per aiutare la cucina in Olanda. Io gli proposi un incontro in cui mi sarei presentato non solo con alcuni chef, ma anche con i produttori, gli agricoltori, i pescatori, gli esperti di cucina e di ristorazione, perché siamo un sistema che va tutelato tutto insieme. Il vertice avvenne, noi spiegammo al Governo le problematiche del comparto, presentammo alcune proposte di modifiche alle norme e queste vennero totalmente recepite dal Governo». Mancava un passo: «Io volevo continuare questa collaborazione, ma il primo ministro mi fece notare come fosse necessario dare una forma giuridica al nostro gruppo, per renderlo interlocutore stabile e riconosciuto». Nacque così la
Low Food Foundation, nel 2019, movimento che associa a sé tutta la filiera e dialoga con le istituzioni, «lavoriamo insieme per creare una food culture nel nostro Paese» attraverso una costante collaborazione tra gli affiliati, il networking, l'organizzazione di simposi, una Low Food Academy per formare i cuochi del futuro e i Low Food Labs, dove fare ricerca gastronomica e condividere il know how. «I nostri Labs approfondiscono in particolare i temi legati alla sostenibilità, alla biodiversità, alla valorizzazione dei vegetali. Ma, per esempio, abbiamo nel nostro gruppo anche un allevatore che ha creato una chicken farm iper-sostenibile, un allevamento di galline alimentate solo con cibo naturale, in particolare carote e curcuma». Proprio per tale ragione la loro carne, buonissima, assume un colore arancione (il colore nazionale olandese) che la rende unica. Ogni parte di queste galline viene sfruttata: gli scarti per produrre una mortadella di gallina, la pelle per farne cuoio, persino le ossa, che diventano piatti.