Succede che anche ad Andorra – uno dei sei micro-Stati europei, incuneato tra Francia e Spagna sui Pirenei: 468 km² di superficie, ossia un terzo di Roma, ma nemmeno 80mila abitanti – abbiano ben capito l’importanza dell’enogastronomia e del turismo enogastronomico. Così le autorità investono nel settore, ad esempio favorendo la nascita di un nuovo congresso goloso, Andorra Taste, giunto alla seconda edizione, che promuove ovviamente anche le bontà locali. Sono quelle tipiche delle zone montane: pesce d’acqua dolce, agnello, miele, erbe aromatiche, funghi, frutti rossi, legumi, castagne, salumi… E il nectum de abeto, un eccellente condimento che si ottiene dalla macerazione delle pigne in zucchero. C’è anche un po’ di viticoltura d’altura (1.100-1.400 metri), con la produzione di un buon pinot noir. Ma, in realtà, gran parte del cibo consumato da queste parti è d’importazione; nonostante la fiorente industria legata al turismo invernale, la scena del fine dining è piuttosto ristretta, con un solo locale stellato, l’Ibaja dello spagnolo Francis Paniego, che peraltro ha la sua base altrove, nell’iberica La Rioja. Vi sono poi alcuni altri chef notevoli ma tutti “d’importazione” e che qui hanno aperto i loro secondi o terzi indirizzi: come il messicano Paco Méndez, a lungo con gli Adrià; o Albert Ventura, bistronomia d’autore a Barcellona, ristorante Coure, con clone da queste parti.
Eppure ci si dà da fare parecchio per crescere, la direzione pare chiara. Intanto, Andorra Taste è un gioiellino, a iniziare dal tema che lo caratterizza: la cucina di montagna.
Abbiamo assistito alla tre giorni di lezioni, traendone numerosi spunti. Uno generale: quello che potremmo definire “alfabeto gastronomico” della cucina di montagna è comune a tutte le aree in altura molto più di quanto assomiglino tra loro, ad esempio, le tradizioni culinarie delle zone marine che s’affacciano sul Mare Nostrum; in sostanza, tutti gli chef di montagna parlano la stessa lingua, quasi fossero inconsapevolmente parte di una comunità transnazionale (anche per questo, iniziative che creano un sistema condiviso, come Andorra Taste, risultano brillanti) che necessita di stabilire maggiori legami al proprio interno. Abbiamo selezionato altri otto spunti, o momenti del congresso, che andiamo a raccontarvi non prima di riportarvi però il suo atto finale, un vero e proprio Manifesto per il futuro della cucina di montagna. Eccolo:
MANIFESTO PER IL FUTURO DELLA CUCINA DI MONTAGNA
• Il cibo del futuro, come afferma la Fao, richiede non solo uno sviluppo sostenibile, ma una visione sistemica dell'ambiente sociale nel suo insieme e un impegno etico. I sistemi alimentari tipici delle società montane e la conoscenza ancestrale ereditata mostrano modi per sostenere un pianeta che è sempre più popolato e con una capacità di generazione delle risorse sempre più compromessa.
• Le società montane e i loro modi di vita sono garanti della biodiversità e della sostenibilità degli ecosistemi.
• La gastronomia è cultura, uno dei principali ambasciatori del turismo e generatore di ricchezza e occupazione.
I cuochi di montagna collaborano per:
• la massima tutela degli ambienti naturali montani in qualsiasi parte del mondo, per garantirne la sostenibilità;
• regolarizzare con norme specifiche le vendite dirette dai produttori e dai raccoglitori ai ristoranti, per facilitare un marketing locale che aiuta a stabilizzare la popolazione e distribuire la ricchezza;
• promuovere la realizzazione di carte dei prodotti di montagna classificate per stagioni e aree geografiche. Creare un sigillo di qualità internazionale per la loro tutela;
• creare programmi di sostegno affinché l'allevamento e l'agricoltura di montagna abbiano la redditività necessaria per garantire la sussistenza dei produttori.
• promuovere la ricerca e lo sviluppo di prodotti che forniscano valore aggiunto a produttori, raccoglitori e cuochi;
• garantire alle società rurali gli stessi diritti in termini di salute, istruzione e connettività digitale offerti negli ambienti urbani;
• promuovere il ritorno della popolazione nelle aree rurali e montane con piani specifici e aiuti per il recupero di case e centri abitati;
• attuare programmi di formazione e sensibilizzazione educativa affinché le nuove generazioni assumano un ruolo rilevante nella preservazione dell'ambiente naturale e abbiano una visione realistica di esso e dei modi di vita dei suoi abitanti.
• indagare e definire le condizioni geografiche, climatiche e culturali che definiscono l'identità della cucina di montagna.
I cuochi di montagna si impegnano a:
• rispettare la stagionalità dei prodotti degli ambienti montani;
• evidenziare e valorizzare il lavoro dei produttori locali come custodi delle radici ed eredi della conoscenza della natura;
• dare visibilità ai prodotti della montagna nei menu dei ristoranti;
• preservare l'eredità ricevuta sotto forma di ricettari tradizionali e testi gastronomici, nonché assumerne l’attualizzazione come parte del lavoro creativo;
• utilizzare tutta la capacità di coscienza sociale a disposizione per difendere la vita nei borghi montani e far conoscere negli ambienti urbani la realtà e il valore delle nostre società di montagna.
Di seguito gli spunti principali che abbiamo ricavato dalla seconda edizione di Andorra Taste.
Paco Méndez tra Messico, Barcellona e Andorra

Taco con shawarma di maiale marinato con pigne e achiote, salsa rossa di peperoncino chipotle, coriandolo, lime e pomodoro tatemado
Paco Méndez, messicano, ha lavorato per 13 anni coi fratelli
Adrià, insieme a loro aveva anche aperto a Barcellona due locali mex – ne era lo chef - l’
Hoja Santa e il
Niño Viejo, poi spazzati via dai lockdown del Covid come tutti gli altri del gruppo
elBarri di
Albert Adrià. Dal 2022, proprio dove stava l’
Hoja Santa e dunque sempre nel capoluogo catalano, guida
Come, ora monostellato, il nome si deve a una crasi di Mexi
CO-MEditerráneo (ma fa anche riferimento allo spagnolo
comer e all’inglese
to come): una cucina fusion, appunto, tra il suo Paese d’origine e la tradizione del Mare Nostrum.
Méndez firma pure la proposta gastronomica del
TOC Anyós Park di La Massana, Andorra, e lì contamina il suo Messico con quello che offre il micro-Stato pirenaico. Un esempio? Il
Taco con shawarma di maiale marinato con pigne e achiote, salsa rossa di peperoncino chipotle, coriandolo, lime e pomodoro tatemado.
Clément Bouvier e l’olmaria

Il piatto presentato da Bouvier
Clément Bouvier, chef del ristorante
Ursus ai duemila metri di Tignes, Val d’Isère, in Francia, una stella Michelin, ha focalizzato il proprio intervento sull’uso in cucina di un’erba di montagna, la
reina de los prados, anche detta "aspirina vegetale" per le sue proprietà anti-infiammatorie. Si tratta dell'olmaria, «perfetta in pasticceria, ottima anche col tartufo». Ma nella sua dimostrazione la usa per condire un riso giapponese che avvolge una trota alpina precedentemente stagionata, poi cotta e affettata quasi fosse una pâté en croute. «La cosa più importante quando si inizia a cucinare in alta quota è riadattare i tempi di tutte le preparazioni. Lassù raggiungiamo il punto di ebollizione a 88°, tutto avviene molto più velocemente e molto più intensamente».
Il grande successo di Michele Lazzarini

Spaghetto freddo, grasso di trota e rabarbaro
C’era anche l’Italia ad
Andorra Taste, rappresentata da
Michele Lazzarini, chef del
Contrada Bricconi a Oltressenda Alta, in provincia di Bergamo. Che dire? Ha fatto un figurone, il suo intervento ci è sembrato quello più a fuoco di tutti, come ci hanno confermato anche alcuni colleghi iberici. Ma ne abbiamo già scritto e a quell’articolo vi rimandiamo, leggi
Lazzarini boom, il piatto ha troppo successo: così deve cercare in giro gli "scarti" coi quali è realizzato.
La cucina “alla frutta” di Joel Castanyé
Un paio di mesi fa raccontavamo su
Identità Golose una splendida cucina che dà tanto spazio alla frutta, quella del colombiano
Juan Camilo Quintero – per noi, un talento assoluto – in Toscana, al
Borgo San Felice, leggi
Come usare la frutta in cucina: gran viaggio del gusto tra Italia e Sudamerica, con Juan Camilo Quintero. A Bellvís, provincia di Lleida, Catalogna interna, c’è uno chef interessantissimo che basa proprio sulla frutta gran parte dei suoi piatti, ne costruisce attorno un progetto specifico, il
Lleida Fruit Project:
Joel Castanyé al suo ristorante
La Boscana, una stella, si impegna a fare della frutta, e più precisamente della frutta di Lleida, «un alimento potente e riconosciuto come i gamberi di Palamós o il tartufo piemontese. Trattiamo la frutta come massima espressione del nostro paesaggio, al punto che occupa il 70% del nostro menu, e con essa realizziamo ogni tipo di preparazione utilizzando tutte le tecniche possibili». Ne derivano salsiccia di cachi, banane con foie gras, sottaceti o curry di nettarine con aragosta… Protagonista della sua lezione è la mela biologica di alta montagna, con la quale prepara un’acqua di mele chiarificata e gassata ottima come benvenuto, un sidro per accompagnare una delicata
Millefoglie di mele con morbida crema di formaggio Clua, noci e aneto, un
Brodo caldo di mele Buna, una
Rosa di lamine di mela con salsiccia di testa di cinghiale, e così via…
Sven Wassmer e la memoria dei knöpfli

Knöpfli, lievito caramellato e tartufo
La coppia formata da
Sven e
Amanda Wassmer, chef e sommelier del
Memories, tre stelle Michelin a Bad Ragaz, in Svizzera, ha raccontato «il sapore della montagna» attraverso i
knöpfli, parenti stretti degli
spätzli o
spätzle che abbiamo anche nel nostro Sud Tirolo, questi ultimi sono più allungati ma si tratta sempre, in sostanza, di gnocchetti di pasta preparati con farina e uova. È uno dei piatti preferiti da
Wassmer, «sono cresciuto mangiandoli, è la mia memoria e rappresenta la mia cultura». La sua versione prevede farina di mais biologica, lievito di pasta madre caramellato, siero di latte e uova biologiche «delle galline felici di un vicino, che offrono un sapore impressionante». A chiudere, purea di tartufo del Périgord, lamelle dello stesso e cumino selvatico delle montagne svizzere perché «come diceva mia nonna, se cucini qualcosa di molto pesante, aggiungi il cumino!». Abbiamo assaggiato la preparazione: molto buona, tartufo poco pervenuto ma boccone pieno di fascino.
Joan Roca, Terra Animada e il recupero delle verdure dimenticate
È venne il turno di sua maestà
Joan Roca. Il maggiore dei tre fratelli del mitico
El Celler de Can Roca è maestro non solo di cucina, non solo di eleganza, ma anche nell’arte del dire. Racconta del suo progetto
Terra Animada, iniziato con il biologo e botanico
Evarist March e che mira a «recuperare con rigore scientifico la conoscenza dell’ambiente selvaggio» così da diventare anche una sorta di catalogo generale delle tante erbe aromatiche dai Pirenei a Girona, «che sono le stesse che si trovano anche qui ad Andorra». Che sapore hanno? Come si possono usare?
Roca ha tutte le risposte, è artefice di un processo di
retroinnovazione che salva antiche sapienze a rischio di oblio definitivo, «fino a due o tre generazioni fa nella Catalogna rurale i cucinieri conoscevano molto bene il gusto dei fiori, li usavano in cucina». Oggi pare una stramberia, o un eccesso da fine dining. «I miei nonni si approvvigionavano sempre nei boschi. Oggi tali conoscenze si sono andate perdendo; quello che stiamo facendo è, semplicemente, recuperarle, fornendo loro una base scientifica». Perché, sia chiaro: «Ci sono tantissime piante, tantissime verdure, tantissime erbe, commestibili, ottime da mangiare, ma che non troverai mai al mercato. Ma solo esplorando la natura selvaggia che ci resta».
Paolo Casagrande e la magia della natura

Crema di patate fermentate con ali di razza
L’italiano
Paolo Casagrande, chef (sotto l’ala di
Martín Berasategui) del
Lasarte di Barcellona, tre stelle Michelin, ha spiegato che il suo obiettivo è creare esperienze gastronomiche indimenticabili utilizzando il meglio della natura, scommettendo cioè sui «migliori prodotti stagionali, sulla sostenibilità e sull'equilibrio tra tradizione, cultura e origine con innovazione e avanguardia». Dice,
Casagrande, che
Lasarte ha radici basche, ma presenta grandi influenze catalane e italiane, «è questi sono tre territori che portano nel loro dna la comunione tra terra e mare. Ho la fortuna di trovarmi al centro del Mediterraneo, con una natura magica, e di ottenere il meglio da tutto questo». Dimostrazione: una spettacolare
Crema di patate fermentate con ali di razza e un’
Insalata tiepida di gamberi rossi e frutti di mare, rutabaga e animelle croccanti.
Albert Ventura e il baccalà “pesce di montagna”
Albert Ventura è nato a Lleida ma da anni è un punto di riferimento per i buongustai barcellonesi con il suo
Coure, che dal 2022 ha una “filiale” ad Andorra, nell’hotel
Starc by Pierre & Vacances Premium: «Chiudo a Barcellona nei fine settimana e mi stabilisco qui fino a domenica. Vogliamo crescere poco a poco e con la stessa filosofia di sempre». Ha cucinato dal vivo la sua personale interpretazione della
Parmigiana di melanzane, caramellata al forno con miele di canna, formaggio, pomodoro confit, oliva kalamata, capperi e basilico. Poi ha fornito un esempio di «sublimazione della cucina no waste», attingendo al ricordo della tortilla di baccalà che sua nonna gli preparava con farina e brodo di lische di pesce. La sua tortilla contiene baccalà vero, «è il pesce di terra e di montagna per eccellenza», ha un cuore di brandade accompagnata da un pil pil delle sue interiora.
La cucina dell’ Himalaya spiegata da Ngatemba, sherpa e “chef”

Il collegamento con lo sherpa-chef nepalese
Alla fine non ce l’ha fatta ad arrivare da Kathmandu, la capitale del Nepal circondata dalle montagne dell'Himalaya. Ma è intervenuto in video, “chef”
Ngatemba, uno sherpa che da 12 anni nutre le coraggiose spedizioni che salgono sulle vette nepalesi. Sotto una tenda «che rimane fissa al campo base e diventa trasportabile nel resto delle tappe», trasporta la bombola del gas e il set da cucina, raccoglie il ghiaccio da bollire e prepara i piatti basilari ma nutrienti di cui gli alpinisti hanno bisogno. «Utilizziamo carote, ravanelli, patate, riso, pasta e carne, per realizzare una cucina pronta in 20 minuti, è importante essere veloci soprattutto nelle giornate ventose, quando è ancora più difficile cucinare», ha spiegato. Un altro modello, questo, di cucina di alta montagna che prevede il massimo utilizzo delle risorse locali.