C’era il pubblico delle grandi occasioni ad affollare la platea della prima edizione di Bogotà Madrid Fusion (spin-off in Sud America del congresso gastronomico spagnolo, che abbiamo presentato in questo articolo). Si trattava infatti dell’ultima “ponencia”, la lezione conclusiva di una due giorni piena di contenuti e di grandi chef, locali e (soprattutto) non. Affidata, non a caso, alla cuoca colombiana oggi più nota nel mondo.
Leonor Espinosa ha conquistato molto interesse a livello internazionale quando, nel luglio del 2017, ha vinto il Basque Culinary World Prize per il suo impegno nella valorizzazione e promozione del valore della biodiversità locale, grazie in particolare al lavoro della sua fondazione Funleo. La Espinosa, inoltre, con il suo ristorante Leo a Bogotà è l’unica colombiana a figurare nella classifica dei World’s 50 Best Restaurants, in particolare alla posizione 49.

Un'immagine della lezione di Leonor Espinosa a Bogotà Madrid Fusion
Un intervento molto atteso dunque il suo, anche perché chi conosce
Leonor Espinosa sa che ama spiazzare, sfruttare occasioni come quella che le era stata offerta per far passare messaggi forti. E infatti così è stato. Dopo essere stata presentata, la
Espinosa ha lasciato il palco, che è rimasto completamente vuoto, spogliato dalle strumentazioni necessarie a realizzare un cooking show, come normalmente succede durante le lezioni di un congresso di cucina.
Davanti al palco, invece, era stato preparato e allestito un altro spazio. Un cerchio di terra, su cui si sono andati a sedere due indigeni dell’Amazzonia, con i loro vestiti tradizionali. Intorno a loro contenitori rudimentali, da cui i due appartenenti alla comunità Huitoto hanno iniziato a prendere gli ingredienti per creare un Mambe, ovvero una polvere a base di foglie di coca, mischiate con foglie di yarumo (un altro albero che cresce in Amazzonia) e succo di foglie di tabacco.
Leonor Espinosa ha lasciato ai due indigeni l’intera scena per qualche minuto, per poi sedersi di fianco a loro, senza però mai prendere la parola. Erano i due ad alternarsi al microfono, in parte per spiegare in spagnolo ciò che stavano facendo, e il valore spirituale dei loro gesti e degli ingredienti che stavano utilizzando, in parte in lingua Huitoto per condurre la cerimonia sacra legata a quel momento.
Come essi stessi hanno spiegato, il loro approccio al cibo è certamente diverso da quello a cui siamo abituati nelle nostre culture urbane contemporanee. «Il cibo è nutrimento tanto per il corpo, quanto per lo spirito - hanno detto durante quella che è diventata la “loro” lezione - per questo noi consideriamo gli alimenti come delle medicine, più che come semplici ingredienti di una ricetta».

Pesce della costa pacifica, copoazù, guesguin
Una lezione dunque certamente diversa da quello che normalmente succede in un congresso di chef. Tanto che qualcuno sembrava non aver colto il senso di questa scelta da parte della
Espinosa: durante la conferenza stampa che ha seguito il suo intervento, ad esempio, un giornalista messicano le ha chiesto se non pensasse di aver perso un’opportunità per parlare al pubblico presente, soprattutto ai tanti giovani studenti delle scuole alberghiere del paese, per rendere più espliciti e semplici da decodificare i suoi messaggi.
«Pensi davvero che io non abbia mandato un messaggio chiaro?», ha chiesto con sicurezza, di rimando, la Espinosa. «Io credo di averlo fatto e di essere stata fedele a me stessa. Io non sono semplicemente una cuoca, ma ho una formazione artistica e quest’oggi ho voluto mettere in scena una performance di questo tipo. Fare un passo indietro e mettere da parte quell’ego che troppi chef sembrano considerare la cosa più importante in assoluto. Abbiamo tante cose da imparare, dobbiamo essere capaci di ascoltare chi, come gli indigeni Huitoto, ci mostra una sensibilità e una storia diversa dalla nostra. Chi vuole sapere di me e della mia cucina ha a disposizione centinaia di articoli online. Per me oggi era importante lasciare spazio a chi per anni mi ha insegnato la propria cultura».

Mambe con polvere di larve mojojoy
Un messaggio chiaro e preciso. Che sembra ritrovarsi in modo piuttosto evidente anche nella proposta gastronomica di
Leo, il principale ristorante della
Espinosa a Bogotà, che gestisce insieme alla figlia e sommelier
Laura, bravissima sia nel guidare la sala con precisione e grande calore umano, sia nel proporre abbinamenti per nulla convenzionali, quanto meno per i palati europei.
Leo è infatti un ristorante gastronomico in cui certamente la personalità della chef si percepisce in ogni piatto, ma in cui non sono mai le tecniche a prendere il sopravvento. Sono gli ingredienti, frutto di una costante ricerca, a guidare la mano di Leonor Espinosa, che ha come suo principale obiettivo il racconto della grande ricchezza e biodiversità del suo paese. C’è l’Amazzonia (tanta), c’è la costa caraibica intrisa di influenze afro-arabe, c’è quella pacifica.
Non a caso il menu degustazione di
Leo viene proposto (a fine percorso, per non guastare la sorpresa) in forma di mappa, così da consentire ai commensali di ritrovare il sentiero su sono stati accompagnati, piatto dopo piatto. Questa proposta è stata chiamata “Ciclo-Bioma” ed è il frutto di un continuo studio degli ecosistemi colombiani, per il reperimento di nuovi ingredienti sia per la cucina che per l’abbinamento di vini e bevande (si può scegliere infatti anche un abbinamento completamente analcolico). Grazie a una relazione ormai solida, impostata da molti anni, con biologi, produttori, contadini e comunità indigene, questo menu diventa una fotografia dettagliatissima dei sapori di un paese vasto e complesso come la Colombia, e un riassunto articolato di saperi ancestrali.

Leonor Espinosa al lavoro nella cucina di Misia
Ma anche di nuove scoperte. Come la lingua del Pirarucù, un grande pesce che vive nelle acque della foresta amazzonica, e da tempo molto apprezzato. Ma è stata la
Espinosa a sperimentare l’uso della sua lingua, che oggi è protagonista di un piatto prelibato nel suo ristorante. In ogni caso, per la maggior parte delle persone che si accostano alla cucina della
Espinosa praticamente ogni assaggio èuna scoperta: dalla nota agrumata delle formiche chiamate “limonere”, all’aroma delicatamente terroso del copoazù, un parente amazzonico del cacao, a decine di altre rivelazioni di sapore.
Più pop e per certi versi più goloso, per la sua immediatezza, è la proposta invece di
Misia, il secondo locale aperto dalla
Espinosa nella capitale colombiana. In cui la cuoca si concentra sulla cucina della costa caraibica e dunque sulle sue origini, essendo lei nata a Cartagena. Così delizia i suoi ospiti con piatti pieni di sapore, come la selezione di fritti dei Caraibi, il
Ceviche cartagenero o la
Posta negra, un brasato di manzo considerato il piatto simbolo della città natale della chef.
Leonor Espinosa, che sia con una sua originale ed efficace lezione a Bogotà Madrid Fusion, o con i concetti e le ricerche che con cura e passione traduce in piatti nei suoi due ristoranti, si conferma come la migliore ambasciatrice della gastronomia del suo paese.