New York, non è certo una novità, è un luna park del cibo. Per quello, tra una lezione e l’altra di Eataly, approfittavamo per andare alla scoperta d’insegne recenti o consolidate. Ne è nata questa mini-guida di 8 indirizzi. Con una postilla importante: se Manhattan è sempre una culla di novità, Brooklyn continua a darle sempre più filo da torcere. Prossimo aggiornamento: presentazione della Guida ai ristoranti di Identità Golose, a dicembre. (GZ)
Blue Hill at Stone Barns, la saggezza di Dan Barber
(la scheda della Guida di Identità Golose)
Per esserci, una succursale di Blue Hill Farm a Manhattan c’è, a ridosso di Washington Square Park, e proprio perché manca la fattoria si chiama giusto Blue Hill. La casa madre se ne sta a una trentina di miglia a nord di New York, lungo il corso del fiume Hudson, fermata del treno quella di Tarrytown, poi taxi e infine Uber per tornare la notte.
Già fattoria modello della famiglia Rockefeller, oggi abbiamo due realtà, con quella agricola e di ricerca di Stone Barns che accoglie e nutre il ristorante creato da Dan Barber a partire dal 2004. Un unico menu degustazione ma non è uguale per tutti i tavoli. Accade perché tutto arriva da lì, o da aziende consociate, e niente è standardizzato e ben poco di quanto raccolto o macellato può soddisfare ogni ospite. Barber gioca molto, anche con sushi e sashimi, sorprende e il servizio in sala è d’incredibile efficacia e simpatia. (PM)

Nakazawa e l'autentico sushi bar
(
la scheda della Guida di Identità Golose)
Probabilmente, dopo il Giappone, i migliori sushi bar del mondo sono a Manhattan.
Daisuke Nakazawa, allievo di
Jiro Ono, il leggendario maestro di
Sukiyabashi Jiro, è stato intercettato dall'imprenditore italoamericano
Alessandro Borgognone e messo alla guida di
Sushi Nakazawa, una macchina da guerra accanto a Washington Square Park.
È un sushi bar autentico, che vuol dire nigiri e solo nigiri, cioè riso e pesce. Per mangiare al banco occorre prenotare almeno un mese prima; altrimenti occorre accontentarsi delle sedute nella tavola accanto. Nella foto, da destra a sinistra, la progressione in ordine di grassezza dei nigiri di tonno: Big eye, Lean bluefin (
akami), lean marinato nella soia (
otoro) e bluefin (
chutoro). Chissà quando potremo trovare in Italia un'insegna di questo livello e autenticità. (
GZ)
Atoboy, sharing coreano
(43 28th street,
atoboynyc.com)
Gli
sharing table dilagano, non solo a New York. Una delle tavole più easy e interessanti in cui condividere del buon cibo si chiama
Atoboy, esperimento più easy e a buon mercato di
Atomix, l’acclamatissimo fine dining (caro come il fuoco) del cuoco coreano
Junghyun Park e della moglie-manager
Ellia Park. Questo piccolo gioiello nell'area Nomad sintetizza magistralmente le specialità della cucina di Seul, con qualche richiamo all'Occidente che li ospita. Conto sui 100 dollari, mance incluse (ma si spende meno, se non fate come noi, che abbiamo ordinato tutto il menu).
Nella foto, da sinistra a destra: Yellow tail, kombucha, alga gim e rafano; Granchio, verbena, nasello e indivia; Crisantemi, porri, prugne e cheddar e Cavolo, burrata, dashi di matcha, rucola. (
GZ)
Cosme, il capolavoro di Olvera e Soto-Innes
(
la scheda della Guida di Identità Golose)
A Manhattan guai a saltare
Cosme, la prima opzione del duo composto da
Enrique Olvera e
Daniela Soto-Innes, lei fresca di nomina di miglior chef donna al mondo secondo i mille giudici della
World’s 50Best Restaurants. È incredibile come siano riusciti a imporsi all’attenzione e al rispetto generale con la cucina di un Paese, il Messico, non sempre amato negli Stati Uniti e con un universo gastronomico gradito fino a quando rimane a livello popolare, senza si avvicini all’alta cucina, a quell’importanza attribuita a diverse altre realtà. Di una cena pressoché perfetta, a lungo conserverò il ricordo di un Tortino di finferli, formaggio di Oaxaca e cheddar dello stato di New York. E l’anatra? La prossima volta. (
PM)
Atla, molto più che il b-side di Cosme
(372 Lafayette street,
atlanyc.com)
Cucina messicana: a New York osannano tutti giustamente
Cosme (leggi sopra). Ma la stessa proprietà ha aperto due anni e mezzo fa anche
Atla, ai margini di Little Italy. Taco (nella foto, quelli con gamberi, formaggio e
hoja santa)
aguachile,
huevo rancheros... Sono piatti dai sapori clamorosi, un'estetica speciale, prezzi accessibili e la luce che filtra dai finestroni di Lafayette street.
High Street on Hudson, colazione dei campioni
(la scheda della Guida di Identità Golose)
Il bello di New York è che puoi prenotare online anche le colazioni e, solo a Manhattan, ci sono una trentina di opzioni notevoli. La foto di cui sopra immortala i
Kouign Amann (“Dolce di burro” in bretone, per il New York Times “il dolce più grasso mai preparato’) di
High Street on Hudson, un breakfast bistrot gioiello a due passi da Chelsea Market. Ci puoi entrare e rimanere tutto il giorno, dalla colazione a notte fonda. (
GZ)
Momofuku Ko, Chang stupisce sempre
(la scheda della Guida di Identità Golose)
Momofuku Ko è già una supernova a livello di bancone e primo, piccolo ambiente. Li hai il vantaggio, se non sei in serata da maratona golosa nel ristorante vero e proprio o se, semplicemente, non hai tanto tempo, di potere scegliere e condividere alcune bontà di spiazzante genialità.
David Chang non si accontenta mai di proporre buoni piatti. Questo lo si deve dare per scontato. Totale assenza di cose già gustate in giro. Magari le forme ingannano, ma basta un primo boccone per capire che lì è un mondo diverso, nuovo come con il pollo fritto che in verità è un taglio di manzo impanato e fritto come fosse pollo. E il pollo a sua volta è sì fritto, ma con abiti differenti e poi abbattuto. Lo addenti, è freddo. E non da ieri sera. (
PM)
Secchi e la bella storia di Rezdora
(27 E 20th street,
www.rezdora.nyc)
Tutto ha avuto inizio meno di cinque mesi fa, lo scorso 10 maggio quando
Stefano Secchi, americano di padre sardo, ha rotto ogni indugio e ha aperto un locale tutto suo
, Rezdora, praticamente a ridosso del Flatiron.
Rezdora dal nome delle signore che in Emilia tirano la pasta con il mattarello. Sì, perché Stefano ha studiato cucina in Italia e a fondo visto che non è più uno sbarbato. Gli anni sono 37 e prima ha costruito la sua grammatica da
Davide Palluda all’
Enoteca del Roero a Canale per arricchirla e completarla da
Massimo Bottura all’
Osteria Francescana dove, avremmo scoperto nel corso di Identità New York, hanno preso a chiamarlo “Il Capitano”. (
PM)