C’è chi diventa chef per caso, chi per tradizione familiare, chi perché non saprebbe fare altro, chi per passione innata. Diego Guerrero, madrileño acquisito ma nato a Vitoria, País Vasco, nel 1975, è chef per spirito ribelle: «Non pensavo di voler intraprendere questa professione. O meglio: avevo e ho tanti interessi, la musica, l’arte, la comunicazione... Quando compii 18 anni non sapevo bene cosa scegliere, allora misi in fila le idee: per prima cosa mi sarebbe piaciuto diventare giornalista, poi pittore. Cuoco era una delle altre scelte possibili, la terza e ultima: in fondo si trattava in ogni caso di forme d’espressione. Ne parlai coi miei genitori, che mi dissero più o meno: “Scegli quello che preferisci, ma non il cuoco". Automaticamente optai per diventarlo».
Guerrero è uno dei maggiori protagonisti della postavanguardia spagnola, anche se meno conosciuto in Italia di altri: il suo
DSTAgE, aperto il primo luglio 2014 nel quartiere di Las Salesas a Madrid, ha conquistato la seconda stella sulla Guida Michelin 2017. E’ un progetto di successo (qualche mese fa, aveva calcolato di aver servito 29.000 clienti, a fronte di 65.959 richieste di prenotazione online), al quale
Guerrero è approdato come chef patron dopo una trafila che lo ha visto in indirizzi come il
Martín Berasategui di Lasarte e il
Goizeko Kabi di Bilbao e Madrid; nella capitale lavora da ormai 15 anni, e vi ha ottenuto già due stelle al
El Club Allard, che ha lasciato nell’ottobre 2013.

Joan Roca, Diego Guerrero, Jãvi Antoja (direttore di Montagud Editores, casa editrice specializzata in libri di gastronomia) ed Eneko Atxa alla premiazione per la Guida Michelin 2017
«Sono stato fortunato – ci racconta - perché ho avuto nella mia vita l'opportunità di conoscere i miei idoli e di parlare, pensare, interagire con loro,
Ferran Adrià su tutti. Non sono solo chef, ma persone che sanno ispirare, che ti infondono una visione». Noi lo abbiamo incontrato a Istanbul, per la terza edizione di
Gastromasa, il congresso internazionale di gastronomia creato da
Gökmen Sözen.

Guerrero sul palco di Gastromasa, a Istanbul
Era chiamato a una lezione dedicata al “prodotto”, e davanti ai nostri taccuini ci ha spiegato: «Mi sono chiesto che senso potesse avere raccontare in Turchia materie prime spagnole; oppure improvvisarsi esperti di qualche ingrediente turco... Mi sono risposto: nessuno. E allora ho pensato a quale linguaggio comune potessi avere, in cucina. Gli alimenti? Le tecniche? La risposta è stata: tutto si riconduce ai medesimi mattoncini, che in sostanza sono proteine, grassi, acqua. Sono le tessere attraverso le quali i cibi prendono forma, consistenza e sapore, penso al collagene (una proteina,
ndr) che conserva il sapore dell’ingrediente, ma anche il grasso è un ottimo conduttore dell’aroma. O un processo come la reazione di Maillard, che è un’interazione di zuccheri e proteine durante la cottura».
E’ come dire: se parli di queste cose, vai all’abc, ai principi fondamentali e universali, quindi superi la dimensione territoriale, sei spagnolo, sali sul palco in Turchia ma sei in grado di rivolgerti a tutti. Così ha presentato un flan a base di polpo (ossia: in cui le proteine del polpo, ricavate da un brodo in cui si scioglie il suo collagene, sostituiscono quelle delle uova, e diventano il tramite gustativo), poi arricchito di essenza di gambero Carabineros e aria dello stesso collagene di polpo; oppure una vera-finta sardina, il cui corpo è ottenuto facendo scaldare della tapioca in un brodo di jamón e alga kombu.
L’estrazione del collagene, dunque, come elemento centrale, ma non solo: «Gli altri mattoni sui quali costruire la propria tavola sono le esperienze personali, le passioni, le memorie, quello che uno ha fatto, quello che ha pensato, gli errori e le sfide».
Guerrero ci ha edificato
DSTAgE appunto, uno spazio di 300 metri quadrati, strutturato su due piani. All'ultimo, il cliente inizia la sua esperienza culinaria con alcuni spuntini al bar d'ingresso, prima di passare alla cucina e alla sala, distribuiti attorno a un patio e con una capacità di circa 40 clienti. Sul retro del ristorante e in vista da quasi ogni angolo ci sono i fornelli. Da lì, i cuochi escono e si mescolano con la squadra di sala per servire i commensali. Nel settembre 2016 lo chef ha poi creato il proprio nuovo spazio creativo,
DSPOT, spazio di 370 metri quadri focalizzato sulla creatività intorno all'haute cuisine e su tutti gli aspetti che la circondano, come la scenografia, il design, le tecniche e i prodotti.

Panino di maiale croccante
Il
DSTAgE è un ristorante di concezione contemporanea, no frills, stile casual, informale e innovativo: «Mi consente un modello di gastronomia senza troppi merletti, nel quale sono più vicino al cliente. E’ la dimensione nella quale mi sento più a mio agio». Vi ha sviluppato piatti che sono ormai divenuti dei classici moderni:
Cannelloni di cocco e gamberi, La sequenza del pandan (è una pianta dalla quale si ricavano foglie aromatiche molto usate nella cucina del Sud-est asiatico),
Panino di maiale croccante, "Cuore di bue" e lampone, Tonno, toffee e “foiesabi”, Chantilly di cavolfiore.