La quinta edizione di MAD, il 28 e 29 agosto a Copenhagen, è stata l’occasione per tornare al Noma di René Redzepi e per visitare altri posti come il Relae e il Baest di Christian Puglisi, già ombra di Redzepi, e da sei anni bravo a camminare con le sue gambe proponendo tutt’altra cucina, anche italiana, come vedremo in una prossima puntata del diario danese.
Tempi tiratissimi per Cristina Bowerman, Cesare Battisti e il sottoscritto. Treno o metro dall’aeroporto al ristorante? Metro, poi tre minuti in taxi visto che avevamo cartelle e trolley. Dove da sempre è il Noma, in Strandgade 93, è come se fosse cambiato tutto. Tutta colpa (o merito per chi è contento) di un ponte pedonale aperto a fine primavera proprio all’altezza del ristorante e del conseguente lifting all’intero quartiere. Ora tutto è più lindo e curato, ma manca quella patina del tempo e quel senso di lontananza e abbandono che rendeva l’insieme quasi unico.
Adesso anche il
Noma ha attorno a sé delle aiuole ben seguite e alcuni alveari, con le api che non sempre stanno al loro posto e volano dentro a uno dei tre o quattro locali più importanti al mondo. Molto seccante per chi sta pranzando o cenando. Invece accade ogni giorno che i turisti e i cittadini affollino il ponte e si avvicinino al ristorante, fin quasi alle finestre, per guardare chi si sta godendo il servizio. Ti senti un animale in gabbia allo zoo.
Anche per questo Redzepi, dopo un altro pop up lontano dall’Europa, nel 2017 si trasferirà in campagna. Vuole ritrovare quella verginità ambientale negatagli dal nuovo ambiente. Nell’attesa, il suo locale sprizza energia fin dal saluto urlato come sempre non appena il cliente oltrepassa la porta d’ingresso. Aboliti da tempo i camerieri, i piatti sono portati a tavola da chi li ha ultimati. Un maestro di sala francese inorridirebbe.
Ogni tanto viene ignorato qualche fondamentale, un braccio passa davanti al tuo viso ma quasi non te ne accorgi. Conta di più stabilire un rapporto cordiale con chi fa la spola dalla cucina di rifinitura, non c'è mai un momento paludato e noioso. C’è tanto colore nei piatti e nell’aria.
Certo che se i nostri cuochi e chef articolassero i loro posti come ha fatto Redzepì al Noma, non so quanto durerebbero. Non perché al Noma il pulito lasci a desiderare, tutt’altro, ma perché le soluzioni farebbero saltare sulla sedia chi è solito ad altra disciplina.