Antonio Borruso
«In tanti mi chiedono: “Che ci fai quassù?”». Trovarsi a Bormio non pareva essere il destino di Antonio Borruso, nato nel 1979 in una famiglia di ristoratori napoletani, «mio padre Giovanni gestiva una trattoria. Sono cresciuto a latte e cucina». Dna dello chef nel sangue, dunque, frequenta l’Alberghiero a Napoli, ma ben presto si rende conto di non voler rimanere confinato nella realtà locale, «ho deciso fin da ragazzino di ampliare i miei orizzonti». Inizia dunque un fruttifero girovagare, un tour tra le cucine di mezza Italia, e anche oltre: «Ho fatto tanta Toscana, poi sono andato in Svizzera, dove ho appreso le tecniche francesi». Nessun ristorante stellato, non ci sono chef stra-famosi sul suo cammino: ma ricorda con grande piacere gli insegnamenti di un maestro, lo chef Iacopo Vannini, allora in forza al Golf Hotel di Punta Ala.
Per 15 anni gira quindi tantissime cucine, animato da ciò che a suo parere non può mai mancare a chi decide di intraprendere questa professione: «L’amore per quello che fai. Poi la forza e la volontà di emergere». Nel 2007 sta lavorando a Lugano, quando viene a sapere che i proprietari del Gimmy’s, una elegante stube in legno d’abete all’Aprica, tra Val Camonica e Valtellina, cercano un cuoco per l’inverno. «Ho accettato pensando di trattenermi qualche mese», c’è rimasto per sette anni, conquistano anche la stella Michelin, «e di questo devo ringraziare il patron, che mi ha dato carta bianca, mi ha consentito di riprovare e riprovare. Non accade di frequente». Dal dicembre 2013 gestisce invece il ristorante Umami di Bormio, parte dell’Eden Hotel: «Quella dello chef-gestore è un’esperienza nuova, stimolante», anche se non nasconde le difficoltà di lavorare in un luogo così fuori mano e legato ai flussi turistici stagionali, «non è facile, ma finché riesco rimarrò qui. Devo molto alla Valtellina».
Area che celebra anche nella propria cucina: «Prendo la tradizione (e intende quella valtellinese e quella campana, lavora su entrambe, ndr) e ricavo qualcosa di innovativo, ma che deve però evocare un ricordo, la “papilla della memoria”». Così i suoi due piatti più celebri sono il Pizzocchero sferico ed Esplosione di ragù partenopeo.
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Identità Milano