A dieci anni, mentre gli altri bambini giocavano, Vania Ghedini cucinava per tutta la famiglia. Non era un capriccio, sua madre non aveva una grande passione per i fornelli, e lei, cresciuta nel panificio dei nonni, sapeva già come rendersi utile. Tra pane, pasta fresca e torte, ha imparato presto che il cibo non è solo nutrimento, ma anche racconto, cura, memoria. Di domenica, lavorava ai matrimoni, osservando come il cibo potesse trasformarsi in celebrazione.
Quel senso di appartenenza e dedizione si è trasformato, nel tempo, in un percorso che l’ha portata fino a Oro, il ristorante fine dining dell’hotel Cipriani, che guida da aprile 2024 sotto la direzione creativa di Massimo Bottura. «Amo passeggiare di notte, quando Venezia dorme, e ammirare ogni volta qualcosa di nuovo. È un luogo in cui ogni angolo racconta una storia», racconta Vania, il cui legame profondo con la città si riflette nella sua cucina, capace di intrecciare radici e visioni, equilibrio e audacia. I suoi piatti raccontano questa stratificazione culturale e gastronomica: le Moeche con zabaione al guanciale e nero di seppia, i Tortelli ai frutti di mare ispirati alla biodiversità dell’Adriatico, il Risotto alle ortiche e formaggio Morlacco, omaggio al Veneto e alla sua infanzia in Emilia.
Questa capacità di fondere passato e futuro nasce da un percorso costruito con cura e passione. Dopo la laurea in Hotel Management, il destino l’ha portata porta all’Alma, dove ha raffinato tecnica e consapevolezza. Da allieva è diventata insegnante, imparando che la cucina non è solo gesto, ma trasmissione di saperi. Il passaggio alla pratica è stato naturale: il Rigoletto, una parentesi in Francia, poi Peck durante Expo 2015. Ma è con il gruppo Alajmo che la sua visione ha preso forma: prima tra Le Calandre e il Quadri di Venezia, poi con l’apertura di Amo, infine con l’esperienza che le ha cambiato la vita, il Marocco.
A Marrakech, per 5 anni, ha lavorato alla guida di Sesamo, il ristorante ospitato all’interno del Royal Mansour. «Le spezie, gli aromi e i sapori di quel paese hanno lasciato un segno indelebile», racconta. Accanto a lei, da qualche anno, c’è Yassine, sposato in Marocco con rito civile. Un legame che si riflette anche nella sua idea di cucina: la fusione tra culture, la curiosità per gli ingredienti, l’idea che il cibo sia sempre un ponte tra storie diverse. Perché l’identità di un cuoco si costruisce nel tempo, tra esperienze, viaggi, incontri. E Vania Ghedini, con il suo percorso in continua evoluzione, è la prova che la cucina è, prima di tutto, un viaggio.