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Alla carne non si comanda, o perlomeno non a questa. Scarlatta, marezzata, carezzevole come il velluto. Direttamente dalle mani dei celebrity butcher, sparuta compagine di giovani stelle nel firmamento gastronomico. Chi l’avrebbe detto, qualche anno fa, che gli omaccioni con il grembiule e lo spaccaossa sarebbero usciti da dietro le quinte? Ed è una storia di persone e di passioni, sogni che hanno alimentato una cucina italiana in cerca di ferro e carburante per le strutture del gusto. Massimo Zivieri, in questo caso, con il padre Graziano, i fratelli Elena, Fabrizio, Aldo e Stefano, tutti instradati sulla via del bestiame da oltre 50 anni. Cosicché quando a Monzuno la macelleria gemellata stava per abbassare la sua ultima serranda, nel 1987 Massimo decise di rialzarla. Sottoponendo le mezzene al galvanismo di una diversa qualità. Al posto delle forniture degli allevatori del posto, l’affiliazione alla Granda, consorzio tanto rigoroso nei disciplinari quanto affidabile nei quantitativi e negli standard. Soprattutto tracciabile, visto che la carne di razza piemontese reca l’identikit dell’animale. Un canale presto percorso da chef di fama come Igles Corelli e Alberto Bettini, Aurora Mazzucchelli e Alberto Faccani, coprotagonisti di una nuova cultura della carne. Le orme delle mandrie furono ricalcate dai suini, ambientando alcuni capi di cinta senese in aree deputate dell’Appennino bolognese, liberi di grufolare fra roverelle e castagni. E poi sperimentando l’allevamento, sempre allo stato semibrado, della mora romagnola, tosta e grassottella grazie a tuberi, bacche e ghiande, con il corollario di salumi stagionati oltre i 700 metri senza altro condimento che sale di Cervia e pepe. Due razze simili su versanti diversi delle stesse montagne, con esiti ugualmente nobili nella marezzatura e nella ricchezza di omega 6, ma un po’ più di lardo sulla cinta. Perché ogni animale ha la sua vocazione. Il finale però è invariabile: tanto il manzo che i suini vengono sezionati e frollati secondo un know how tutto famigliare. La fiorentina per esempio necessita di riposare fino a un mese, e anche con i suini la fretta è proibita, mentre i tagli variano secondo le prescrizioni sartoriali dei cuochi. Perché la sinergia è essenziale. Nel nome di Massimo, prematuramente scomparso, ogni anno a ravvivare Monzuno ch’è la kermesse Chef al Massimo, un inno alla carne della macelleria interpretata dalla fantasia delle toques più spiccate.
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Umbra di Perugia con residenza a Bologna, è giornalista e scrittrice di cucina. Tra i numeri volumi tradotti e curati, spicca "6, autoritratto della Cucina Italiana d’Avanguardia" per Cucina & Vini
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