Parlare del futuro non è scontato e non è nemmeno facile, come sa bene Franco Pepe, che è stato (ed è ancora) il futuro di quella che è oggi la pizza per come la conosciamo. Sul palco di Identità di Pizza, il maestro campano riflette su un trend: «Negli ultimi anni, c’è stata una crescita esponenziale di aperture di nuove pizzerie, ma non si trovano pizzaioli: due curve agli antipodi. Lo ripeto: continua a esserci un problema di professionalità. Perché un genitore non può augurare al proprio figlio di diventare un pizzaiolo? Serve uno sdoganamento della professione, una base solida da insegnare istituzionalmente ai ragazzi».

Franco Pepe e Francesca Romana Barberini, conduttrice di Identità di Pizza
Queste parole assumono un peso ancora maggiore, perché sono pronunciate da un uomo che si è letteralmente fatto da solo, mollando tutte le certezze e investendo nel sogno Pepe in Grani, aperto nell’ottobre 2012, nello stesso anno della prima partecipazione al congresso di Identità Golose, avvenuta a febbraio. Rimembra Pepe: «Ero talmente emozionato e teso che speravo non ci fosse nessuno a vedermi. Invece, mi trovai davanti una sala gremita, dove impastai a mano, nella mia madia, e preparai due ricette: la Pizza Conciata del ‘500 e il Calzone con la scarola riccia. Negli anni, si è instaurata una bellissima continuità tra Pepe in Grani e le partecipazioni al congresso, che mi hanno permesso, come dei veri corsi di formazione, di conoscere tanti chef ed evolvere». Le contaminazioni felici tra cucina e pizzeria sono sempre state un caposaldo di Franco Pepe, che riflette così: «Quando mai, vent’anni fa, noi pizzaioli avremmo pensato che uno chef sarebbe entrato in pizzeria per creare insieme qualcosa? Io ho creduto tanto in questo, aprendo Authentica, una sala degustazione da otto persone, senza barriere, ma con gli ospiti e il forno solamente. Ho ospitato tantissimi cuochi amici, ma due nomi hanno lasciato un segno indelebile: Alain Ducasse e Albert Adrià». Dall’incontro con quest’ultimo è nato pure un libro, Rivoluzione Lenta, scritto da Pasquale Sasso, dove i piatti dello chef catalano sono accostati alla Margherita Sbagliata.

In una contemporaneità in cui l’alta cucina fa i conti con la crisi, è forte il segnale che vede grandi nomi accostarsi al mondo pizza (Carlo Cracco, i fratelli Alajmo, Alessandro Gilmozzi, Irina Steccanella, per citarne alcuni), con un divario che si assottiglia sempre di più. Qui arriva un aneddoto illuminante da parte del maestro di Caiazzo: «Nonno Ciccio panificava e aveva una cantina con piatti semplici, mentre papà Vincenzo a pranzo era oste e alla sera era pizzaiolo. Due realtà che si sono sempre fuse, la pizza e la cucina. Ma quindi, se già le precedenti generazioni erano brave a cucinare, panificare e fare la pizza tutto insieme, perché non unire ancora di più consapevolmente oggi queste arti, questi saperi?». La rotta sembra già tracciata, dunque, ma non è una via così comoda da percorrere, perché c’è qualche salita da affrontare: «Il futuro non è del pizzaiolo - proclama Franco - ma del gastronomo, cioè quella figura che è completa nell’ottica del sapere sul mangiare, come teoria e come pratica, dalla cucina, alla lievitazione e alla panificazione. Dobbiamo uscire da un egositema, che ci vede isolati, ed entrare in un ecosistema». Alcune parole chiave compaiono nelle chiare slide a supporto: il pizzaiolo del futuro dovrà preservare i saperi degli artigiani di terra e di mare, dovrà sviluppare un progetto di sostenibilità, senza scordare l’economia, dovrà fare rete e permettere a tante altre figure di farne parte (fornitori, territori, aziende, collaboratori).

Sul palco è intervenuto anche Angelo Canessa (al centro), Mixology Manager di Velier, che ha spiegato l'abbinamento con lo Champagne Le Rosé Extra Brut Billecart-Salmon
Gli occhi di Franco ora sono pieni di emozione, perché tocca un altro argomento cruciale: «La cosa più importante è coinvolgere i giovani, che vanno motivati. Non basta consegnare loro i saperi! Senza motivazione, la capacità si eclissa. Essi devono osare, rischiando di sbagliare, ma solo così si impara e si cresce». Già, osare è necessario, come ha fatto egli stesso, cambiando la sua vita e inseguendo un sogno che oggi è una realtà di riferimento per il globo. «Io ho sbagliato - ammette dal palco - ma questo sbaglio, chiamato Margherita Sbagliata, mi ha portato tanta fortuna. Oggi sono venuto qui riflettendo su quello che è la cucina applicata alla pizzeria e per questo ho portato il Ricordo di uno sbaglio». La ricetta prevede un pane, creato con l’impasto avanzato il giorno prima e reso croccante, della fonduta di mozzarella di bufala calda, del pomodoro riccio freddo e una riduzione di basilico. Il sapore della più celebre creazione di Pepe arriva sotto un’altra forma, per far riflettere sulle competenze che ha ricevuto dagli amici chef, tali da permettergli di usare le materie prime nel modo giusto, in tutte le forme che le valorizzano. «Il pizzaiolo deve sempre mantenere la propria identità, preservando la semplicità, che è l’ultima complessità, citando Massimo Bottura. Se noi saremo stati bravi a trattenere la semplicità e l’identità della pizza, allora sì che si potrà parlare di futuro», conclude accorato. L’avvenire di questa arte è in buone mani, ne siamo certi: tredici anni di congresso hanno lievitato, mutando in una saggezza unica e inconfondibile, proprio come l’impasto di Franco Pepe.