Il mare è un confine e un orizzonte. È memoria, materia e trasformazione. Lo raccontano le tre lezioni pomeridiane di Identità di Pesce, guidate da Niccolò Vecchia, che hanno esplorato il rapporto tra cucina e mare attraverso percorsi differenti, ma intrecciati da un unico filo conduttore: il tempo. Vania Ghedini ha portato la voce della laguna, tra suggestioni marocchine e tecnica italiana. Jacopo Ticchi e Marco Visciola hanno interrogato il concetto stesso di sapore marino, giocando con consistenze, maturazioni e assenza. Gianfranco Pascucci ha spinto oltre la trasformazione, dimostrando come il mare possa farsi essenza, fino a diventare un aceto o un dessert. Tre lezioni, un solo elemento da leggere attraverso storie diverse, ognuna con il proprio linguaggio.
Vania Ghedini mette la Laguna e la sua memoria nel piatto

Vania Ghedini con il conduttore Niccolò Vecchia
A
Oro, il ristorante dell’
Hotel Cipriani di Venezia, la cucina è un dialogo tra la memoria di
Vania Ghedini, alla guida del ristorante da meno di un anno, e il territorio lagunare. La chef lo racconta con naturalezza attraverso i piatti della lezione
La laguna, un passaggio di idee, in apertura della sessione pomeridiana di
Identità di Pesce a
Identità Milano 2025. Una sintesi del suo percorso e della sua visione è racchiusa nel
Tortello ai frutti di mare. «Un contenuto di idee che riassume la mia storia», li definisce Ghedini che si racconta come «nata a Ferrara, nipote di fornai, cresciuta tra il profumo del pane e della pasta fresca». Il tortello richiama nei sapori la laguna veneziana, e nella forma, la
chebakia, dolce del Ramadan in Marocco, il paese in cui Vania Ghedini ha trascorso 5 anni al
Sesamo, il ristorante firmato dal gruppo
Alajmo all'interno del
Royal Mansour a Marrakech. Il ripieno è un gioco di consistenze: granchio, cozze e gamberi rossi, tre elementi distinti che rievocano il mare. «Mi piace l’idea di proporre tre farce in un’unica sfoglia: è un modo per stratificare i sapori, dare movimento al palato», spiega. La cottura è veloce, il passaggio successivo nel burro acido bilancia la sapidità del ripieno, mentre la salsa di conchiglie, con cape tonde «del mercato di Rialto», cannolicchi e foglia d’ostrica, ne intensifica la profondità iodata. Il tocco finale è il sesamo, elemento ricorrente nella pasticceria marocchina e firma del piatto.

Il Tortello ai frutti di mare di Vania Ghedini
Ma Venezia è anche crocevia di culture. E proprio la multiculturalità della città ha ispirato il secondo piatto presentato da
Ghedini:
Mechoui di astice, cozze e profumo d’Oriente, ovvero una reinterpretazione della tecnica di cottura marocchina. «In Marocco si usa con l’agnello, cotto lentamente sulle braci spente per conservarne la succosità. Ho voluto applicare la stessa tecnica all’astice, che rappresenta l’eleganza della cucina», sottolinea. Prima della cottura sulle braci, il crostaceo viene condito con olio, sale e paprika. «Non lo cuociamo mai direttamente sulla fiamma, ma a calore indiretto, in modo che all’esterno risulti croccante mentre all’interno resti morbido», sottolinea. L’impiattamento esalta il gioco di contrasti: il fondo è una lattuga alla brace, sopra cui si alterna un’insalata di chele e braccini, intervallati da foglie di lattuga a crudo e spuntoni di crema di peperoni arrostiti. A completare il piatto una salsa a base di cozze e curcuma fresca, «che – spiega la chef - aggiunge dolcezza e bilancia il gusto affumicato del crostaceo».

Vania Ghedini con Massimo Bottura, responsabile della visione creativa di Oro
Tra il pubblico, ad ascoltarla, anche
Massimo Bottura, responsabile della visione creativa di
Oro. La sua presenza non è passata inosservata, così come il commento che ha condiviso con la platea: «Il general manager mi ha detto che da quando c’è lei non è stato ricevuto nemmeno un
complain». Un riconoscimento che dà ancora più valore al lavoro della chef ferrarese e al percorso che sta costruendo insieme alla “famiglia” allargata di
Bottura in nome dell’italianità, il concetto chiave che guida la visione di
Oro e si intreccia con l’identità di
Ghedini. «La sfida di ogni giorno è riuscire a conciliare la mia storia con quella di
Oro», sottolinea la chef che chiude la lezione offrendo un assaggio del tiramisù servito da
Oro. «Non vi dirò nulla, dovete assaggiarlo», conclude invitando il pubblico a un’ultima immersione nei sapori.
Jacopo Ticchi e Marco Visciola, il gusto del mare tra memoria e ricerca

Jacopo Ticchi e Marco Visciola con Niccolò Vecchia
«Cos’è il gusto del mare?» È la domanda che ha guidato la seconda lezione pomeridiana di
Identità di Pesce, affidata a
Jacopo Ticchi di
Da Lucio a Rimini, e
Marco Visciola de
Il Marin a Genova. Due visioni diverse, unite dalla ricerca di una nuova identità per il pesce in cucina. «Per me l’innovazione è una domanda che solleva dubbi», dice
Ticchi. Dubbi che lo hanno portato a rivedere tecniche consolidate, lavorando su maturazioni e consistenze. «Molti clienti ci dicevano: il vostro pesce non sa di pesce. Ho provato a togliere tutto, ma il commento rimaneva. Allora mi sono chiesto: cosa intendiamo davvero per gusto del mare?». Nel suo intervento, cerca di trovare una risposta attraverso tre assaggi: una fetta di cefalo maturato servito con uova di spigola e spolverata di fava tonka, «che nei sapori e nelle consistenze ricorda un crème caramel»; un polpo «volutamente gommoso, che amplifica la percezione del mare»; un brodo ottenuto dagli scogli, con alghe, prezzemolo e aglio, «che richiama lo Spaghetto alle vongole senza vongole».

Cefalo maturato servito con uova di spigola e spolverata di fava tonka di Jacopo Ticchi

Cioccolatino con mandorla, nocciola, bottarga e alga, creato da Marco Visciola con l’antica cioccolateria genovese Viganotti
Visciola, dal canto suo, per rispondere alla domanda iniziale parte da quattro parole: memoria, ricordo, istinto e sapore. Racconta la tonnara di Camogli, dove si pescava con reti di cocco che, a fine stagione, diventavano pastura per i pesci: «Un sistema antico e sostenibile, ormai scomparso». Il sapore del mare, per lui, ha molte sfumature: «può essere sapido, dolce, amaro o delicato». Tra gli assaggi proposti, il piatto
Tubetti, erbe che sanno di mare e quel che resta del pesce, «creato per questa lezione che poi metterò in carta», in cui i tubetti cotti in acqua di borragine, salicornia e finocchietto incontrano una salsa ottenuta dagli scarti del rombo e un’emulsione di totanetti. Ma la ricerca sul mare è anche responsabilità. «Dobbiamo sostenere non solo il pesce, ma anche i pescatori», dice
Visciola che chiude la sua lezione offrendo un cioccolatino con mandorla, nocciola, bottarga e alga, creato con l’antica cioccolateria genovese
Viganotti, da poco rinata, e lanciando il messaggio
Save the sea. «Il mare non è paese nemmeno lui», conclude, citando
Giovanni Verga: «È di tutti quelli che lo sanno ascoltare».
Gianfranco Pascucci e l’evoluzione del calamaro

Gianfranco Pascucci, chef patron di Pascucci al Porticciolo e fondatore di Mare
Il mare è il punto di partenza, ma anche la direzione da seguire.
Gianfranco Pascucci lo racconta attraverso un viaggio di trasformazione della materia, in cui il pesce cambia forma e sapore, senza mai perdere la sua essenza. «Il futuro è già nel passato», dice lo chef patron di
Pascucci al Porticciolo e fondatore di
Mare, un bistrò-laboratorio dove sperimenta formati di ristorazione più accessibili, spiegando come il lavoro sugli scarti possa generare nuove possibilità. Il calamaro diventa il simbolo di questa ricerca: un ingrediente che evolve, capace di esprimere il suo gusto anche senza essere presente in forma intera. Nasce così il piatto
Fusilli in assoluto di mare, un’evoluzione dello Spaghetto con i calamari. I fusilli vengono cotti in acqua per sette minuti, poi terminati in un’infusione di calamaro, ottenuta riducendo un brodo fatto con la pelle del mollusco e cipolla, a 46 gradi Brix. «Con gli scarti abbiamo ottenuto un burro di calamaro, dove lasciamo infondere spezie ed erbe a 55 gradi per amalgamare la pasta, e utilizziamo per mantecare la pasta», aggiunge.

Fusilli in assoluto di mare di Gianfranco Pascucci
Ma il gioco di trasformazione non si ferma. Per aggiungere collagene e struttura,
Pascucci introduce un elemento inaspettato: l’orecchio di maiale «scelto dopo molte prove cominciate col pollo», ridotto e corretto con aceto di vino rosso infuso ai lamponi. Questo viene poi unito al nero di seppia, per creare una screziatura profumata che, in fase di rifinitura, aggiunge profondità al piatto. «Rimane il gusto iodato del calamaro, ma con una nota acida che porta il gusto altrove», osserva lo chef che in collaborazione con l’azienda agricola
Il Fauno, sta sviluppato un fermentato di calamaro, simile a un aceto balsamico, realizzato con mirto e frutti rossi. «Dopo tre mesi di fermentazione – anticipa - il progetto continua, con l’obiettivo di affinare il processo e comprendere come il tempo possa arricchire ulteriormente l’intensità aromatica». L’evoluzione del calamaro non si ferma al salato. Con il pastry chef
Fabrizio Fiorani,
Pascucci ha sperimentato l’abbinamento tra cioccolato bianco e ristretto di calamaro: «Siamo partiti da uno spaghetto per arrivare al dessert – conclude -. Il calamaro è diventato altro!».