IG2024: la disobbedienza

21-03-2024

L'esordio di Identità di Pesce al Congresso: le masterclass del pomeriggio

Seconda parte della cronaca di una giornata dedicata interamente alla materia prima ittica e alle tecniche scelte da interpreti di spiccata sensibilità: Alessandro Lucassino, Aya Yamamoto, Satoshi Hazama, Moreno Cedroni

Alessandro Lucassino di Cucina Mutualité a Parigi

Alessandro Lucassino di Cucina Mutualité a Parigi, Aya Yamamoto della Gastronomia Yamamoto a Milano, Satoshi Hazama del milanese Hazama, Moreno Cedroni della Madonnina del Pescatore di Senigallia: sono stati i protagonisti delle masterclass del pomeriggio a Identità di Pesce
(Tutte le foto sono di Brambilla / Serrani)

- Continua dalla prima parte - 

Un’intera giornata dedicata a un genere alimentare preciso, il pesce. Si è tenuta lunedì 11 marzo, in Sala Blu 1, ultimo dei 3 giorni del congresso di Identità Milano, al MiCo di via Gattamelata. In questa seconda parte, raccogliamo i racconti delle tre masterclass del pomeriggio

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ALESSANDRO LUCASSINOCucina Mutualité, Parigi

Con Gabriele Zanatta, a sinistra, che ha presentato tutto il pomeriggio di Identità di Pesce: Alessandro Lucassino e Viriginia Maddaloni

Con Gabriele Zanatta, a sinistra, che ha presentato tutto il pomeriggio di Identità di Pesce: Alessandro LucassinoViriginia Maddaloni

Trentatrenne di Follonica, Alessandro Lucassino è un cuoco italiano che si da da fare in Francia. Da gennaio di quest’anno lo troviamo a Parigi da Cucina Mutualité, insegna del gruppo di Alain Ducasse, maestro per eccellenza che forma talenti in tutto il mondo. Lucassino è tra di loro: da 10 anni sotto la guida di Ducasse ha sviluppato un pensiero tanto ubbidente nei fatti quando disobbediente nei pensieri: «Mi chiedo sempre il perché sulle cose, se farle o meno. E’ così che evolvo». Accompagnato da Viriginia Maddaloni, Alessandro ci porta due ricette di pesce, emblema della sua cucina contemporanea e gioiosa. «Cucina Mutualité nasce nel 2018 con un’impronta tradizionale, io le aggiungo una nota moderna. Bottoni cacio e pepe, fregola sarda e arancini sono presenti nel menu, pensati alla maniera di Ducasse, con estro e tecnica.» Ci svela lui.

Il primo assaggio è creato appositamente per il congresso, e celebra l’incontro tra la triglia di scoglio e il Bouillon de poissons de roche di Ducasse. Il pesce viene appena marinato in sale, zucchero e scorza di lime e passato al cannello. Viene servito assieme al finocchio, elemento chiave della zuppa, declinato in più cotture e consistenze. Non manca il bouillon, ridotto e chiarificato fino a trasformarlo in una gelatina naturale. Chiudono il piatto una vinaigrette al kalamansi e una granita di Negroni al chinotto, quest’ultimo amatissimo dallo chef, efficace nel donare acidità e tinte amare all’antipasto.
Il secondo è un piatto di pasta, uno Spaghettino freddo, acqua di cozze e caviale, perfetto riassunto del percorso di Alessandro, da Follonica, città in cui lo spaghetto alle cozze è onnipresente, a Parigi, con il caviale. «Con questo piatto voglio provocare il cliente medio parigino, servendo gli spaghettini freddi, come fossero soba giapponesi. Il motivo? Per farne apprezzare al massimo il sapore». L’acqua delle cozze viene addensata con il kuzu, condita con succo di limone e olio e poi montata al sifone. Lo spaghettino, passato nel ghiaccio, viene mantecato con la spuma di acqua di cozze, scorza di lime, olio e limone e completato con due tipologie di caviale, il Trasmontanus di storione bianco, più burroso e quindi utile nella fase di mantecatura, e il Kristal, più pregiato e croccante al palato. Tuorlo d’uovo marinato e cotto a bassa temperatura e polvere di alghe gialle e verde chiudono il cerchio dei sapori.

Tanto è il pesce, rigorosamente di stagione, nella carta del ristorante. E alla domanda su come risponda il cliente parigino al pesce azzurro, Lucassino risponde: «è tutto sulle spalle della sala. Un buon maître riesce a vendere anche sgombri e palamite».
Francesca Feresin


AYA YAMAMOTO e DAISUKE SEKI - Gastronomia Yamamoto, Milano
SATOSHI HAZAMA - Hazama, Milano

Aya Yamamoto ha disobbedito per la prima volta nel 2017, lasciando il suo posto fisso per inseguire una carriera da ristoratrice e imprenditrice. Questa giovane carismatica e intraprendente ha scelto di portare a Milano un ristorante di cucina giapponese tradizionale. «Ma come non avete il sushi? mi dicevano inizialmente. Ci è voluto del tempo però con i giusti accorgimenti siamo riusciti a far passare il nostro messaggio ovvero quello della cucina semplice di casa, che mangiamo davvero noi giapponesi». Una scelta dettata da un legame forte con la tavola e la convivialità familiare, ricordi d’infanzia e la volontà di raccontare un aspetto diverso del proprio paese. Per la XIX edizione di Identità Milano 2024, Aya ha deciso di disobbedire nuovamente presentando una ricetta di spaghetti. Questo termina non è usato impropriamente perché si tratta veramente di un piatto mangiato con la forchetta e non con le bacchette, ottenuto facendo bollire degli spaghetti di grano duro in acqua bollente e condendoli come a ricordare un aglio e olio all’italiana ma in versione giapponese. Daisuke Seki, l’attuale chef di Gastronomia Yamamoto nonché ex pugile, ha presentato i Mentaiko Spaghetti, con aglio, alga nori, peperoncino, shiso verde, uova di merluzzo sotto sale e sake. Questo piatto si inserisce in una specifica categoria di preparazioni, la Wafu Pasta, che abbraccia diverse altre ricette e che in qualche modo possono essere tutte adattate al proprio gusto personale.

Sembra che nel quartiere di Shibuya a Tokyo, nel 1953 quindi nel periodo post bellico con uno stato ancora in crisi, un ristorante avesse cucinato degli spaghetti con del caviale fornito da soldati americani. Visto il successo riscosso, lo chef pensò a quale prodotto locale potesse essere usato in sostituzione del costosissimo caviale e così nacquero i Mentaiko spaghetti. «Ora non ci resta che proporre questa ricetta ai nostri clienti per sfatare un mito e raccontare la versione giapponese degli spaghetti all’italiana!».

Un altro indirizzo fuori dagli schemi della solita geografia del sushi della metropoli di Milano è Hazama. Questo ristorante intimo, silenzioso e con pochi coperti situato in via Savona, rende omaggio alla cucina di Satoshi Hazama. Un giovane cuoco giapponese con una serie di esperienze significative alle spalle (Enoteca Pinchiorri, Antica Corte Pallavicina, Al Pont de Ferr, Yoshinobu), e un amore spassionato per il nostro paese. Il suo ristorante è uno dei pochi, se non forse l’unico, ristorante di cucina kaiseki in Italia. Questo termine non indica una sequenza specifica e fissa di piatti quanto piuttosto la filosofia che guida la composizione degli stessa da parte dello chef. Questi ha libertà di spaziare tra ricette diverse purché vengano rispettati alcuni criteri, quali l’utilizzo di ingredienti stagionali, condimenti semplici e capaci di esaltare le materie prime, e una complessiva cura ed eleganza nella presentazione. «Nella mia carriera ho imparato a conoscere una grande varietà di prodotti. Ecco perché ho voluto riproporre una cucina kaiseki autentica ma realizzata con prodotti italiani. Seguo la tradizione giapponese, la sequenza di piatti crudo, vapore, lessato, griglia e fritto e attingo dalla cultura italiana per quel che riguarda la materia prima». Proprio perché un tempo questa cucina era legata al rituale del servizio del te, l’apertura di ogni percorso kaiseki è caratterizzata da un brodo. L’owan è un dashi realizzato con alga kombu e katsuobushi.

«Noi facciamo invece un brodo di pesce, in questo momento è stagione di cernia bianca. Senza che l’acqua bolla, si realizza un brodo con collo, lische e testa del pesce che viene cotto per un giorno intero e poi filtrato. Nel servizio, il brodo è accompagnato da un boccone di pesce lessato, del finocchio tagliato a capelli d’angelo, e una grattata di bergamotto (potrebbe essere limone, arancia, cedro mentre in Giappone si usa spesso lo yuzu). Una grandissima ospitalità celebrata attraverso un servizio cadenzato dei piatti, un rituale nel rituale che vi farà ritrovare la pace dei sensi (e del gusto).
Chiara Buzzi


MORENO CEDRONI - La Madonnina del Pescatore, Senigallia

L’ultima giornata di Identità Milano si è conclusa in un crescendo rossiniano che ha visto, fra gli altri, Moreno Cedroni salire in cattedra, chiudendo così la serie di 6 lezioni gastronomiche della sezione, all'esordio, di Identità di Pesce. D’altronde, per santificare la cucina di mare, chi meglio di uno come lui, con la sua storia di successo, sì, ma soprattutto con le sue visioni dal futuro? «Quest’anno celebreremo i 25 anni del Clandestino Susci Bar ed i 40 de La Madonnina Del Pescatore» ha ammesso emozionato dal palco, riferendosi alle sue due insegne più note, che ormai hanno travalicato le epoche di un settore, quello della ristorazione, in continuo refresh, ma in cui i suoi menù continuano ad essere contemporanei, anzi ultramoderni, così come lo erano 40 anni fa, quando agli occhi della gente potevano sembrare rivoluzionari.

«Ma guai a parlare di rivoluzioni - ha chiosato - io non ho inventato nulla, neppure quando in Italia portai nel 1998 i salumi di mare, o nel 2001 i panini di mare. Non ho inventato nulla, ho solo avuto intuito e coraggio». Coraggio, intuito e modernità che il pubblico del congresso ha ritrovato nei piatti proposti dallo chef e ripescati tra quelli più iconici dei suoi 40 anni di ristorazione: parliamo dell’Insalatina di seppia “blu”, patata viola, vongole e cozze, e dell’accattivante Bounty di seppia (frullata ed allungata con cocco, sale e pepe bianco) che, immersa sotto forma di mattoncini nel cioccolato, assume la forma caratteristica del celebre snack.
Mario Pennelli


IG2024: la disobbedienza

Tutti i contenuti di Identità Milano 2024, edizione numero 19 del nostro congresso internazionale.

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