14-03-2024
Antonia Klugmann, chef del ristorante L'Argine a Vencò e autrice del piatto simbolo di Identità Milano 2024, sul palco dell'auditorium. (Foto a cura di Brambilla/Serrani)
Incontro, confronto, dialogo, approfondimento, emozioni, condivisione. Sono le parole scelte da Antonia Klugmann per riassumere sul suo profilo Instagram la sua lezione in auditorium a Identità Milano 2024, un congresso permeato dalla presenza della chef e patron del ristorante L'Argine a Vencò di Dolegna del Collio, nel goriziano, sin dalla sua iconografia. I suoi Ravioli alle erbe amare e rapa bianca sono stati scelti come piatto simbolo dell’edizione dedicata alla disubbidienza. E quale disubbidienza è più grande del voler «scoprire la bellezza anche dove non c’è», esercizio quotidiano della chef artefice di una «cucina in continuo movimento».
«Quest'anno, l'anno in cui Identità Golose mi ha onorato scegliendo il mio lavoro per la copertina di Identità Milano, ho capito quanto fosse difficile per me selezionare un piatto che fosse identificativo del mio operato di questi ultimi 20 anni. È stato difficile dal momento che la mia cucina è in movimento continuo perché ho bisogno che sia tornasole ed espressione di me stessa», ha spiegato.
Una sé in continua evoluzione come la sua cucina strettamente legata al territorio che abita. Una cucina che non torna indietro e che non si rispecchia in piatti iconici: «I miei piatti sono il prodotto di un’esigenza di sintesi, un'espressione che parte dall'ingrediente, in cui però la tecnica e l'estetica sono asservite ai miei scopi, e mai allo scopo finale: sono solo mezzi di lavoro, non definiscono il piatto. Sono il prodotto di prove, confronto con i colleghi con i quali cucino e dello studio di coloro che stimo di più», sottolinea Klugmann. Ovvero, disubbidienza e rivoluzione in un mondo in cui le tecniche di cottura, a volte, sono esercizi narcisistici che sovrastano il piatto stesso.
Per Antonia Klugmann, invece, ogni tecnica è asservita all’ingrediente e alla sua personalissima rivoluzione, che è nello sguardo amorevole e materno che riserva alla sua terra «in continuo mutare», definendo la quotidianità della sua cucina. Va da sé che i tre piatti proposti nella lezione (tra i cui ci sono i Ravioli del manifesto di Identità Milano) sono quanto di più legato a quello che definisce «il nostro ora», dove “nostro” sta per la sua famiglia de L’Argine a Vencò. Piatti in cui all’amaro viene sempre riservato un posto in prima fila: «Mi sono emozionata - ammette - di ritrovare nelle motivazioni storiche del saggio Amaro: un gusto italiano di Massimo Montanari il perché io fossi così legata all'amaro e perché la cucina italiana, anche oggi, sia così attratta dai vegetali e dall'amaro, che sono storiche non fisiologiche, e sono legate allo scambio costante tra la cucina dei signori e quella dei contadini che ha agevolato anche il mantenimento della biodiversità delle nostre regioni».
Il Cardo nella visione di Antonia Klugmann
È amaro il cardo, protagonista del primo piatto, «di cui ho imparato le regole per renderlo giusto da Piergiorgio Parini da cui ho mangiato il più buono della vita: la prima è non metterlo ammollo in acqua acidulata e cuocerlo al dente per non privarlo delle sue caratteristiche. E poi, sembra strano, ma il suo sapore dipende anche dal tipo di taglio». Klugmann, che ce l’ha in carta adesso come entrée, lo mette in una padella lionese a secco con un po’ di antiaderente e un pizzico di sale da lasciar agire per togliere tutta l’acqua prima di procedere con i primi grassi per l’arrostitura; l’ultimo grasso in aggiunta è burro chiarificato alla salvia. Abbinata al cardo c’è una glassa di carciofo preparata con il succo estratto dalle foglie più tenere e il cuore cotti in acqua leggermente acidulata per circa 6 minuti, ridotto in padella senza grassi, zucchero, sale e olio. «Lo servo impiattando con estratto di salvia in purezza, gocce di burro e qualche violetta che raccolgo personalmente, che non è decorativa perché – sottolinea – non uso mai erbe inutili».
La rapa, che con le erbe amare è il cuore dei ravioli del poster, è una «rapa bianca dal colletto viola allungato, tipica del Friuli, non facile da trovare; è quella con cui si prepara la brovada facendola fermentare nella vinaccia durante la vendemmia». Se per il cardo la Klugmann ha “imparato” da Parini, per questi ravioli dice di essere «in debito con Niko Romito per il suo studio sulla mandorla come emulsionante». Nei Ravioli alle erbe amare e rapa bianca, infatti, non ci sono latticini, ma una «crema di mandorle, acqua, un goccino di colla di pesce», per emulsionare il «mix di erbe con foglioline intere della cima di rapa, la rucola coltivata che è una magia, e infine il prezzemolo che addolcisce l'amaro e dà note balsamiche all'interno del ripieno» cui è aggiunta qualche goccia di centrifuga di rapa bianca. Un piatto, aggiunge con infinito amore Klugmann, «che ha a che fare con il lavoro dei contadini che danno profondità al gusto dei vegetali e alla mano di Simone (cuoco timido che prepara i ravioli a L’Argine a Vencò e sul palco, ndr)».
Simone, dalla brigata di cucina di Antonia Klugmann con lei sul palco
Il terzo piatto è una declinazione dolce dell’amaro, il predessert di cicoria che (forse) non t’aspetti. La base è una cicorietta arrostita, sempre nella padella lionese rovente, con pochissimo olio con cui Klugmann prepara una gelatina che, emulsionata con mascarpone e pane, diventa il cremoso di cicoria sul fondo del piatto.
Cicoria, melograno e cioccolato bianco
A completare, una glassa di melograno in purezza (con pochissimo miele o zucchero) e glassa di cicoria e cioccolato bianco. Anche questa una trasgressione, in un locale dove i grassi sono limitati, «ma possono essere anche funzionali per la gestione dell’amaro».
Tutti i contenuti di Identità Milano 2024, edizione numero 19 del nostro congresso internazionale.
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Giornalista catanese a Milano, classe 1966. «Vado in giro, incontro gente e racconto storie su Volevofareilgiornalista» e per una quantità di altre testate. Inscalfibile
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