Quando il suo cellulare è squillato per sbaglio e all’altro capo della cornetta c’era un avvocato divorzista in cerca di un tavolo al ristorante, il comico italiano Enrico Bertolino si è sentito per un attimo spaventato e, subito dopo, uno chef tre stelle Michelin.
Il legale cercava di parlare con Enrico Bartolini, ma il caso ha voluto che Filippo La Mantia scambiasse i contatti dei due amici.

L'intervento del comico: «Ho imparato molto dai camerieri»
D’altronde, il cabarettista, con la cucina e i grandi chef ha da sempre un rapporto privilegiato, a partire dal feeling con
Gualtiero Marchesi, iniziato con un patto.
«Mi promise che mi avrebbe concesso un’intervista solo se avessi guardato il film Il Concerto. Glielo relazionai e mi aprì le porte del suo mondo. Andare a cena da lui era come essere a teatro: ogni sera si alzava il sipario e la sua genialità prendeva forma», ricorda il comico.

Paolo Marchi ed Enrico Bertolino durante l'incontro
Il tratto di disobbedienza è ciò che i due personaggi hanno in comune: il più grande atto sovversivo di
Bertolino è stato lasciare la banca dove per lui c’era già una carriera avviata, «mio padre è mancato pensando che fossi ancora in aspettativa – scherza – Mi disse che avevo studiato così tanto per andare a fare lo scemo e io, che sono un pavido, mi sono tenuto un piano B. Non ho voluto lasciare quello che facevo, né dimenticare ciò per cui ho studiato. Dunque ho iniziato a fare
education entertainment».
Quando oggi parla con le aziende, Enrico Bertolino propone una matrice costruita su quattro assi che sul palco dell’auditorium di Identità Milano ha utilizzato per descrivere le sue esperienze al ristorante.

In tanti per ascoltare l'intervento dello showman
All’intersezione tra innovazione, tradizione, prodotto e servizio ci stanno la trattoria, «che oggi propone una cucina “povera” e tutti si chiedono perché invece costa un casino; il ristorante che quando entri non capisci dove ti trovi, ma ti conquista con l’impiattamento; il locale giapponese che propone una liturgia, quasi fosse uno spettacolo in onda in tv. E poi ci sono i ristoranti dove il personale mi fa sentire importante e gentilmente ignorante. Vado a mangiare fuori per imparare dai camerieri: meglio chiedere al sommelier e conoscere qualcosa di nuovo, piuttosto che leggere una carta chilometrica e soffermarmi solo sul prezzo del vino».

Paolo Marchi ed Enrico Bertolino alla conclusione dell'intervento
Per
Bertolino è più importante ascoltare che parlare, e scherza sulla «gente che frequenta gli stellati e non ne capisce niente – dice – Lo staff li ascolta chiacchierare, li guarda con pietà, e con pazienza lo chef deve pure uscire in sala e ringraziarli. Ci sarebbe da dirgli di non tornare più: anche questa è disobbedienza perché vorrebbe dire perdere fatturato». Disobbedire, in fondo, è anche chiedere, essere curiosi, non accontentarsi della prima spiegazione di un piatto, talvolta dibattere. Come faceva la madre del comico, quando ancora si andava in trattoria per mangiare i piatti casalinghi, sostenendo che i suoi piatti fossero sempre più buoni di quelli preparati dagli chef.
Da allora tanto è cambiato. Marchesi gli disse che, quando iniziò in Francia, la cucina contava il 70% e il restante 30% era affidato alla sala. Ma poi è diventato un 60% sala e il resto cucina: c’è stato bisogno di ribilanciare, trovando un nuovo equilibrio. «Quando vedo le persone lavorare al ristorante percepisco una certa armonia, nonostante sappia quanto è frenetica una cucina, l’impegno che c’è dietro, il sacrificio. E poi mi dico che pungersi con il carciofo deve valerne la pena. Se non c’è il cuore ad attenderti, allora è meglio lasciar stare».