“Tessere la tela del Mediterraneo in tavola”, è il proposito di Daniele Lippi. Non è il solo a impegnarsi in questo senso, dunque in un filone fertilissimo, probabilmente quello del nostro futuro; è però tra i migliori in assoluto, tra i più giovani, tra i più celebrati e, soprattutto, lo fa da un punto di vista doppiamente eccentrico, sia per prospettiva geografica (il suo cannocchiale che scruta il Mare Nostrum è posto nel bel centro di Roma), sia per originalità di una proposta assolutamente identitaria, che diventa quindi personale, consapevole, eccellente. Med-itata, con un gioco di parole: quindi figlia di un pensiero sul Mediterraneo, «mare che da secoli unisce popoli, tradizioni e culture diverse. La sua acqua fluisce, mescola, contamina e unisce, per questo il mio menu prende un po' di tutto quello che c'è dentro il Mediterraneo - Italia, Turchia, Marocco, Grecia, Spagna, Francia… - e lo trasforma in qualcosa di nuovo, di diverso. Questo lavoro è la mia interpretazione della cultura mediterranea».
Classe 1990, Lippi è cresciuto alla scuola dei fratelli Troiani, per nove anni presso il loro Convivio nell'Urbe, dove è diventato head chef dal 2015. Ha in seguito perfezionato il suo stile con varie incursioni ai vertici del panorama stellato internazionale, ad esempio da Yannick Alléno al tristellato Pavillion Ledoyen di Parigi, al pari grado Piazza Duomo di Alba con Enrico Crippa, da Grant Achat presso Alinea di Chicago e ancora in Spagna, con Paolo Casagrande, al Lasarte di Martin Bersategui, di nuovo un triplo macaron.
Nel 2019 ha fatto il grande salto, diventando chef al ristorante Acquolina a Roma, subito confermando la stella Michelin che già brillava sull’indirizzo, poi raddoppiandola, nel 2022.

Il burro di Acquolina, tra smen marocchino e latinità
Nei suoi piatti dominano innanzitutto armonie soffuse, poi echi di terre lontane e vicine nel medesimo tempo. L'aroma e la suggestione insieme; crasi di pensiero, cross over inattesi. Il burro, per dire: si recupera intanto una tradizione nordafricana a sua volta derivata da Oltralpe e la si sposa infine con la latinità: «Ci siamo ispirati al marocchino
smen. Furono i francesi, all'epoca delle colonie, a insegnare in quelle terre la preparazione del burro, aggiungendo timo e sale. Il problema era la conservazione, a latitudini diverse: lo risolsero mettendolo in anfora e sotterrandolo, così si manteneva a lungo». Molto a lungo! «Ancora oggi viene preparato alla nascita delle figlie primogenite, quindi sotterrato e infine utilizzato il giorno del matrimonio delle stesse, dunque anni dopo, come condimento ai piatti proposti al banchetto di nozze».
Lippi abbrevia il processo aggiungendo muffe naturali, «così in 20 giorni otteniamo questo burro fermentato, poi recuperiamo anche la cultura dell'Antica Roma amalgamando allo
smen un nostro
garum maison di sardine e alici». S'accompagna a un eccellente pane con il 5% di farine di ghiande (ghiande in ammollo, poi fermentate a lungo, essiccate e macinate), che riprende a sua volta un'antica ricetta delle coste sarde: sentori di noci, di cacao...
È un esempio di come, a livelli così alti, il cibo di un grande chef, quale è indubbiamente Lippi, non sia solo clamoroso da mangiare, ma anche straordinario da pensare. Per il palato, per la mente: alimento culturale.
Daniele Lippi sarà a Identità Milano 2024: la sua lezione è prevista domenica 10 marzo, alle 15,45, in Sala Blu 1, nell'ambito di Identità di Pasta, in collaborazione con Pastificio Felicetti.