Il cipiglio a molti zeri degli chef che ci scrutano da ogni dove, alla prima schermata televisiva, dalle fiancate dei camioncini, sulle pareti delle metropolitane. Mentre dalle riviste di settore si leva il lamento dell’eterna crisi di sala. Nel bene e nel male, ce n’è per tutti tranne che per loro: i patron, che pure da sempre reggono i fili della ristorazione. Più importanti che mai, oggi che la crisi economica indurrebbe a non pochi compromessi verso la moda nostalgista del comfort food o la spending review negli approvvigionamenti.
Claudio Amadori tuttavia non ci sta. Da quasi vent’anni al timone delle Giare, fra gli indirizzi più eleganti del primo entroterra cesenate, interpreta il suo ruolo con passione sanguigna e tutta romagnola. «Vengo da una famiglia di albergatori, e dopo gli studi è stato naturale per me seguire le orme già tracciate. A 22 anni avevo il mio stabilimento balneare, in affitto perché volevo guardare e imparare; due anni dopo lo gestivo da solo e in breve sono stato in grado di rifondere mio padre dell’investimento. Tutto questo grazie all’introduzione dell’idea gastronomica in spiaggia: insalate, panini e primi piatti freddi uniti a sport acquatici, jet ski e beach volley.

L'eleganza sobria e lineare delle Giare
Il secondo anno di gestione ho affittato anche il bagno limitrofo, per offrire servizi all’avanguardia comprimendo i costi. Il progetto andava talmente bene che abbiamo ricevuto un’offerta irrifiutabile e abbiamo venduto. Io però non potevo tornare dipendente. Così mi sono inventato un’altra professione: a Montiano c’erano le cantine di una proprietà di famiglia. In mezzo al nulla, ma con una vista stupenda sulle colline fino al mare. L’inizio è stato costosissimo...da solo...fuori dalle rotte commerciali...i primi debiti, non più con mio padre ma con i fornitori...
Al primo cenno di ripresa colgo la palla al balzo e amplio il locale con l’
open space. Di qui la possibilità di banchetti e il circolo virtuoso degli investimenti, la piscina, la nuova cucina, la cristalleria, la cantina. I soldi però non mi bastano, lo sento. Cerco qualcosa di diverso. In fondo ricco non significa bravo, quindi inizio a investire sulle persone, senza mai staccare i piedi da terra: un progetto per sostenersi e crescere deve far sognare, ampliare le prospettive, fallire e ripartire e tutto questo costa, quindi un imprenditore deve sempre sapere e in fretta cosa fare e dove andare. Nel mio caso con un briciolo di incazzatura, per dimostrare che io non sono figlio di qualcuno ma artefice del mio destino.
Ed eccoci ai nostro giorni. Ho condiviso con
Omar Casali un lungo tratto della mia vita, oltre nove anni: a lui va il mio ringraziamento professionale. Però a un certo punto ho sentito il desiderio di cambiare rotta e di cercare l’uomo. Per quanto non sia stato facile svoltare, mettendo a rischio una attività ben avviata con la sua clientela. Per coincidenza
Gianluca Gorini tornava in Romagna dalla Toscana, fresco di paternità. Aveva quello che mi stava più a cuore: l’esperienza in una grande
maison, a fianco di
Paolo Lopriore. E ho scommesso su di lui e sulla sua cucina d’autore, anche se sarebbe facile fare il botto ogni sera con pesce crudo e bollicine.
La mia ambizione è un’altra. Senza dimenticare la donna che mi sta vicino e mi dà la certezza del valore su cui ho impostato la mia vita: la famiglia. Senza di lei nulla di tutto questo sarebbe stato possibile. Anzi direi che è stato per lei, per starle vicino, per far sì che mi sposasse e che avessi la certezza di un progetto familiare, che mi sono dato da fare, anche nei momenti più difficili della sua malattia».