È un formidabile catalizzatore di energie, quel fascio di fibre vermiglie sul bancone. Capace di moltiplicare i joule dell’imprenditoria gastronomica emiliana, in questi tempi di vacche smunte, immemori delle succose fiorentine d’antan. Nella fattispecie però si tratta di selvaggina: cervi, caprioli, daini, cinghiali. Insomma dei celebri ungulati. Carni nere, venivano chiamate un tempo per il colore della polpa; ancor più oscure negli scambi clandestini cui la miopia legislativa sembrava averle condannate: a meno che non provenissero da altre nazioni, più lassiste nella deregulation, l’alternativa passava fra l’allevamento e il commercio sottobanco. Una stagione della caccia che sembra ormai definitivamente archiviata, almeno su questo pezzo di Appennino.
Il merito va ascritto alla Provincia di Bologna, e nello specifico al lungimirante assessore all’agricoltura Gabriella Montera, che in quei puntini in movimento sul vetrino del binocolo ha saputo riconoscere una risorsa piuttosto che una voce di costo, quella delle decine di milioni di euro arrecati in danno ogni anno ad aziende e colture. E soprattutto alla famiglia Zivieri, che sembra non stancarsi mai nella sua missione in favore di una carne totale, buona, sana, sostenibile, territoriale. Prima i bovini di razza piemontese della Granda, poi i maiali di mora romagnola allevati allo stato semibrado, trasformati anche in sontuosi salumi, oggi la pionieristica commercializzazione di cacciagione autentica e territoriale, anch’essa sublimata in norcineria (vedi il salame di cinghiale e mora, già premiato). Nel futuro, forse, anche la selvaggina da penna.

Gianni Guizzardi e Aldo Zivieri. Il macellaio di Monzuno sarà a Milano il 10 novembre con la sua Mora romagnola per una giornata consacrata alla Cassoeula
La nuova stagione venatoria è scattata ufficialmente il 20 ottobre, quando
Aldo Zivieri ha tagliato il nastro del laboratorio consacrato alla lavorazione delle carni degli ungulati, situato nel cuore del paese, proprio di fronte alla macelleria dove risuonano ancora i passi e le risate del fratello
Massimo. Accanto alla saletta piastrellata c’è uno spazio con schermo e sedie per la didattica (in programma ci sono corsi di formazione professionale). La sede giusta per illustrare l’intero progetto con una serie di interventi moderati da
Bruno Damini, eminenza felsinea del teatro e della gola, offrendo soprattutto prove pratiche ad opera dei migliori cuochi della zona, già clienti affezionati.
L’iter, che marcia già a pieno regime, inizia con il censimento ad opera della provincia e dei cacciatori degli ungulati del comprensorio bolognese e la determinazione del piano di prelievo (circa 4mila caprioli, 4mila cinghiali, 600 cervi, 300 daini eccedenti la popolazione sostenibile), che possono essere abbattuti da cacciatori autorizzati tutto l’anno tranne che in fase di riproduzione, usando pallottole di rame per non inquinare la carne e l’ambiente. Niente di nuovo, se non fosse che ogni cacciatore in precedenza poteva commercializzare un solo capo.
Per intravvedere una scappatoia al nonsense è bastato leggere attraverso le righe della legge nazionale del 1992, che in alternativa al freezer di casa prevede la possibilità che i capi siano conferiti dietro pagamento a centri autorizzati, dove vengono esaminati e certificati da un veterinario, per poi passare eventualmente sul mercato. Ci ha pensato la famiglia
Zivieri a prendere in gestione il macello di Castel di Casio, superequipaggiato eppure sottoutilizzato, attivando la rete delle sue relazioni, che attraverso la mediazione culturale dei cuochi abbraccia intere comunità. In questo modo dopo una frollatura di 20 giorno la metà circa dei prelievi finisce sul mercato, quasi esclusivamente alla ristorazione, anche fuori dai confini regionali (fra i clienti eccellenti figurano le cuoche
Aurora Mazzucchelli e
Valeria Piccini).

Lombo di cervo crudo battuto al coltello
“Un animale controllato può essere servito anche crudo e non necessita di marinature o trattamenti invasivi, funzionali in passato a coprire i difetti”, ha spiegato il gran Maestro del Selvatico
Igles Corelli, nipote d’arte di un nonno comunista, fiocinino e bracconiere, autore di un
Risotto alla cacciagione con gelato di Parmigiano. “Quindi si apre tutto un mondo di possibilità nuove. Si tratta inoltre di animali di pregio, perché sull’Appennino la pastura di bacche e frutta selvatica è propizia”. Ma ai fornelli sono passati anche
Fabio Fiore di
QB,
Mario Ferrara dello
Scacco Matto,
Massimiliano Poggi del
Cambio e
Giacomo Galeazzi dei
Carracci; mentre
Alberto Bettini di
Amerigo ha fatto riscaldare al barbecue dall’amico
Gianni Guizzardi la sua lasagna di caccia. In tempi di foraging selvaggio, un esempio di “filiera colta” e “chilometro vero” (secondo l’arguto professor
Guido Stecchi) che ha già iniziato a scalpitare nei menu.