«Se vuoi fare una cosa, falla bene», dice Fabio Vandelli, 40 anni e, fino a qualche lustro fa, tanti mestieri alle spalle, giurando che il cuoco non l’avrebbe mai fatto. Quella frase, in realtà, racchiude in sé una vita fatta di tanti passi per riavvicinarsi alla cucina, che era stata allontanata per un motivo ben preciso, come narra egli stesso: «Sono scappato da questo mondo principalmente perché ho subito il maneggiare gli ingredienti come un obbligo. Mia mamma Marisa ha sempre avuto una gastronomia e da ragazzino, una volta finiti i compiti, invece di correre a giocare in cortile, mi dovevo fermare a chiudere i tortellini o a fare le lasagne con lei. L’ho vissuta come una vera e propria condanna, tanto da farmi dire che non avrei mai intrapreso questo mestiere».

La Squadra di Erbavoglio: (dal basso, da sx a dx): Veronica Maldonado (manager), Simona Paganelli (maître), Singh Praveen (sous chef), Riccardo Centrone (sala), Pietro Sodano (juice maker), Fabio Vandelli (chef), Hasnat Abul (capo partita primi), Claudio Brida (selezione carta dei vini)
E invece eccolo qui, questo ragazzone, alla guida di Erbavoglio, con la moglie Veronica Maldonado, in una Modena che apprezza sempre di più quanto offrono. Ma andiamo con ordine, proseguendo con la storia dello chef: «Ho disossato prosciutti per 10 anni, anteponendo il lavoro anche allo studio, tanto da scegliere di recuperare frequentando le scuole serali, fino a diplomarmi con successo in psicopedagogia. Ho anche iniziato l’università, corso in marketing internazionale, ma ho mollato a due esami dalla fine… Magari, un domani… chissà!». Come sovente accade, gli studenti si cercano un lavoretto per mantenersi durante gli studi e Fabio ha iniziato come cameriere, portando avanti per ben 8 anni questo ruolo, perché la sala lo aveva stregato. «Ho prestato servizio anche in un’enoteca - ci svela - e finivo puntualmente in cucina ad assaggiare tutto, dai piatti ai singoli ingredienti». Evidentemente, quell’imprinting con la cucina tanto rigettato forse aveva messo radici più profonde del previsto, tanto da far nascere Erbavoglio nel 2016. L’idea e la spinta definitiva sono arrivate da Veronica, tutt'ora manager del locale, che ha convinto l’ormai aspirante cuoco Fabio a buttarsi. Partiti come un ristorante incentrato sulle insalatone, hanno attraversato varie fasi, alcune anche difficili, ma sempre con due capisaldi: realizzare una cucina vegetale e crescere costantemente, come sottolinea lo chef: «L’approccio verso la cucina è stato come una riscoperta di me stesso, al di là di ogni previsione. Mi sentivo un brutto anatroccolo in una famiglia di secchioni, tra parenti laureati e realizzati. Mi sono chiesto cosa potessi fare, nella vita, per avere soddisfazione. Stando in quell’enoteca, avevo sempre tanta curiosità e piacere nello scoprire verdure nuove. Ho provato a cimentarmi nel loro uso ed eccomi qua, a fare qualcosa che avevo accantonato, ma che si sta rivelando la mia materia preferita. Mi sento un po’ secchione anche io».

Zucca Hokkaido arrostita, funghi e castagne spadellati, erbe selvatiche affumicate (tarassaco e radicchio), dressing al lievito di birra e senape: un piatto dal tenore dolce, contrastato dall'affumicatura e dal dressing al lievito e senape, che, a nostro gusto, potrebbe essere usato in quantità un po' maggiori

Il Carciofo è utilizzato al 100% e servito in più parti: il cuore è laccato con un burro fermentato di orzo e condito con the nero, acqua di foglie e gambi di carciofo e alloro, che regala un sentore amaricante interessante. Con le barbe e le foglie esterne si fa una tartelletta, finita con una spuma di scorzonera cotta in oliocottura e le parti del fiore, mentre con gli altri scarti, ecco il brodo di carciofo, arricchito da topinambur e olio di nocciola.
L’evoluzione di tecnica, gusti e stile del cuoco Vandelli è partita da piatti comfort, sempre senza carne e pesce, come Polenta e funghi o Tomini alla piastra, per farsi conoscere e prendere dimestichezza, affrontando stage e master in giro per l’Europa (Geranium a Copenhagen, De Nieuwe Winkel nei Paesi Bassi, Accademia Joia con Pietro Leeman) e approdando al 2025 con un bagaglio di conoscenze complete. Le portate giocano tanto sul potere dei vegetali e si vede proprio che si tratta di una scelta di cuore, che può diventare dolce e sapido come nella Zucca Hokkaido arrostita con castagne e funghi o amaro e dolce come nel Carciofo, scomposto e utilizzato in tutte le sue parti.

Il Dolce al topinambur nasce da un'esperienza di Fabio Vandelli col Cioccolato-non-cioccolato, realizzato castagne fermentate. Lo chef voleva cimentarsi in questa preparazione, arrivando a ottenerla col topinambur. Abbiamo una panna cotta al topinambur e vaniglia, noci caramellate, cremoso di no-choco di topinambur (fatto con le bucce fermentate, essiccate, arrostite e ridotte in polvere), il tutto ingentilito da tofu vellutato, zucchero muscovado, funghi fermentati e crumble ai funghi porcini. Un grandissimo dolce-non dolce, da provare assolutamente
Le sorprese più grandi, però, arrivano con un dolce a base di Topinambur, con tanto di falso cioccolato ricavato proprio dal tubero stesso, o con i Tortellini ripieni di orzo fermentato e anacardi, serviti con una crema di Parmigiano Reggiano. Proprio questi ultimi sono lo specchio dell’anima da cuciniere di Fabio Vandelli, che si riflette così: «Non ho mai voluto scimmiottare la tradizione, rielaborando ricette secolari a tutti i costi. Ogni cosa che creo, deve uscire spontaneamente e istintivamente, ma poi deve avere un perché. Alla fine del 2017, stavamo sperimentando la fermentazione dell’orzo e abbiamo provato a creare un ripieno per una pasta fresca. Ci siamo accorti che era veramente buono e così abbiamo deciso di coniare i tortellini, a modo nostro. Hanno avuto un successo incredibile: solo nel 2024, ne abbiamo venduti 590 kg!». Fabio produce il ripieno, mentre la sfoglia e la chiusura avvengono nel laboratorio di mamma Marisa a Castelnuovo di Modena: una sorta di déjà-vu, capace di riunire consuetudini antiche, in un’ottica diversa. Il mondo vegetale non ha davvero vincoli, anzi, è creatività pura e fucina di stimoli, tanto da aver permesso a un quarantenne di Modena di riabbracciare un universo, quello della cucina, da cui sembrava eternamente distaccato, perdipiù aprendo un locale vegetariano nella terra del maiale: volere, anzi, Erbavoglio, è potere.

Radicchio a crudo, da mangiare con le mani, essenza di scalogno e cipolla, aceto balsamico di Giusti 25 anni

La Panzanella coniuga l'esigenza di recuperare il pane (usato anche per i passatelli o la ribollita) a quella di un antipasto goloso: essa è realizzata con crema di sedano rapa cotto alla brace, pane acidulato con acqua di pomodoro e olio evo, olio al cipollotto, caco mela arrostito, velo di rapa rossa marinata, portulaca e sorbetto al basilico. Grande inizio

Risotto burro e salvia: ricorda un piatto della tradizione come il tortellone, anche qui nato per istinto. Burro e olio alla salvia, parmigiano, noce moscata: pochi e semplici ingredienti. Viene abbinato a un succo di loro produzione (presto ci sarà una linea dedicata, per offrire una gamma di alternative analcoliche interessanti): mela, succo di sedano, spuma di mandorla con nocciole di ciliegie rotte al mortaio, dopo la tostatura (ricordano il gusto delle armelline)

Medaglione di lenticchie e funghi, salsa al pepe, quenelle di mele, cipollotti in aceto balsamico: preparazione dal gusto molto forte, che da sola sarebbe stucchevole. Il bello è poter giocare sui contorni, andando a scegliere dolcezze e acidità opportune, con un'infinita serie di combinazioni, utili a mitigare la forza del medaglione (foto Alessandro Tomasi)

Tempeh di piselli, saltato con salsa tamari (cioè soia in purezza), spuma al lievito di birra, crauti viola saltati. Umami e sapidità

Sud: bavarese allo yogurt, cioccolato bianco e origano, gel di agrumi, capperi. Un dessert con ingredienti forse insoliti, ma molto godereccio (foto Stefano Caffarri)

Un dettaglio della sala di Erbavoglio

Chef Fabio Vandelli, sorridente come non mai, ritratto da Alessandro Tomasi