Giornalista, scrittrice e direttrice de Linkiesta Gastronomika. Bustocca d’origine, ma cittadina del mondo, si laurea in Scienze Politiche presso l’Università Statale di Milano e affina la sua passione e talento per la scrittura iniziando a pubblicare libri, seppur dedicandosi alla sua grande passione per la cucina.
Una carriera editoriale che la porta, già in età giovanissima, a fare esperienze importanti dirigendo dal 2013 La Cucina Italiana, per poi approdare nel 2015 alla direzione dell’Accademia Gualtiero Marchesi di Milano. Ideatrice di format di successo come il Festival del Giornalismo nella sezione cibo, oltre all’osservatorio permanente sulla comunicazione del cibo con le sue Tavole Spigolose.
Con la direzione di Gastronomika, il mondo del cibo secondo Linkiesta, inizia una nuova era Prandoni. Il suo ultimo lavoro editoriale riguarda il libro Il senso buono edito da Linkiesta Books, dove esprime il suo pensiero attraverso un saggio sull’enogastronomia analizzando i grandi temi legati alla responsabilità civile del buon senso al fine di restituire un senso “Buono” agli altri cinque che ci permettono di gustare cibi e vini migliori.
«Ho iniziato a fare questo lavoro nel 2000 – chiosa
Anna Prandoni – in un mondo editoriale e gastronomico profondamente diverso da quello attuale. All’epoca l’enogastronomia era un affare di ricette, di critica e recensioni, non c’era spazio per molto altro. Nel tempo ho sognato a lungo di coniugare il giornalismo con le sue tecniche, le sue regole e il suo linguaggio con questo settore e finalmente, oggi, con
Gastronomika - il verticale del cibo, del vino e dell’ospitalità di
Linkiesta - credo di essere riuscita a realizzare il progetto. È il momento di fare riflessione sul settore, c’è tempo e spazio per approfondire i temi ad esso collegati e per spostarci verso un approccio editoriale nuovo. Questo non è più solo il campo degli chef e dei cuochi casalinghi, ma si può raccontare attraverso il suo valore più ampio: usando cibo e vino come lente di ingrandimento sul mondo economico, sociale, etico, filosofico».
Senza dubbio gestire una vita privata con l’impegno professionale che ti porta a viaggiare molto, non avere orari o calendari con giorni festivi non aiuta, ma Anna Prandoni è una donna di talento che lavora con il sorriso perché ama ciò che svolge: «Tutti i grandi personaggi che ho avuto la fortuna di incontrare avevano come unico mantra il lavoro, vero strumento di affermazione e di successo. Certo, servono anche il talento, la fortuna, l’atteggiamento. Non credo che in questo ci sia differenza tra uomini e donne: solo che alle donne è richiesto un ulteriore impegno domestico, che viene quasi dato per scontato. Il tempo da dedicare al lavoro, per affermarsi, è lo stesso a prescindere dal genere ma in modo in cui viene occupato il resto del tempo della vita è profondamente sbilanciato tra uomini e donne. Se penso al mio percorso professionale ricordo gli incontri il primo caporedattore al Corriere della Sera, Antonio Morra, Lapo Niccolini, l’editore della Cucina Italiana che mi ha assunta e mi ha affidato la direzione del giornale, il signor Marchesi, e più recentemente Christian Rocca, direttore di Linkiesta. Tutte persone che con il loro atteggiamento verso il mondo, la loro professionalità e le loro capacità mi hanno dato occasioni di dimostrare il mio valore e mi hanno ispirata nel cammino. Elencandoli mi rendo conto che sono tutti uomini, anche se la persona che mi ha davvero instradato verso questa professione e mi ha spinta a crederci fin da piccola è stata una donna, Rosella Formenti, che mi ha affiancata a 18 anni quando muovevo i primi passi nel giornalismo e mi ha insegnato le basi di questo mestiere».

Esiste un episodio significativo che nel corso della sua carriera l’ha portata ai traguardi professionali finora raggiunti?
«Si, certo. Ricordo un momento preciso: quando ho lasciato
La Cucina Italiana. Senza quell’abbandono, per me davvero sofferto, non avrei mai capito che la mia strada era un’altra e non sarei stata in grado di pensare diversamente a questa professione».
Quanto conta fare rete in questo settore?
«È determinante e dovremmo imparare dalle generazioni più giovani a costruire tavoli di confronto e condivisione invece di farci concorrenza. Se cresce un mio collega cresco anch’io, se il settore si apre e si amplia ne avremo tutti dei benefici. È il principio che mi ha guidata quando ho ideato le Tavole Spigolose nel 2016, un osservatorio permanente sulla comunicazione del cibo che vuole proprio essere un momento di networking e di riflessione tra i comunicatori dell’enogastronomia, e quando ho pensato al Festival di Gastronomika, un progetto al quale sono profondamente legata e che ha dato al mio giornale ancora più forza. Un hackathon aperto a tutti gli under 40 del settore che discutono insieme dei temi più caldi del settore e provano a mettere a fattor comune idee, soluzioni e possibili visioni sul futuro».