«Sono ancora aperte come un tempo le osterie di fuori porta» cantava Guccini in una sua celebre canzone, ma fortunatamente, a differenza dello spirito malinconico che si coglieva nei versi del cantautore bolognese, da alcuni anni a questa parte le osterie sono in grande spolvero. Tra i fautori di questa fase particolarmente viva e vitale c’è un’associazione importante come Slow Food, che trae linfa vitale dal settore e al contempo, in un rapporto di reciproco do ut des, con il suo operato dona lustro allo stesso comparto fatto di ristoranti ma anche di presìdi, di produttori e materie prime.
Proprio in virtù di questo periodo di grande rinascita e forte riscoperta, sorge spontaneo porsi alcune domande: verso che direzione stanno andando le osterie d’Italia? Ha ancora senso parlare di territorio? Come interpretano i concetti di tradizione e innovazione?
Se n’è parlato e ne è nato un interessante momento di confronto nel corso di una giornata-evento dedicata alla memoria di uno di quei cuochi che, nel corso di una carriera lunga e molto articolata, ha contribuito a rendere importanti i concetti stessi di osteria, tradizione e territorio:
Vittorio Fusari.

In piedi, a sinistra, Eugenio Signoroni
Organizzata proprio da Slow Food, che già da tre anni ha istituito, all’interno della
Guida Osterie d’Italia - curata da
Eugenio Signoroni e
Francesca Mastrovito - il
Premio Vittorio Fusari – Franciacorta per il miglior giovane chef. Quest’anno però Slow Food ha voluto lanciare un ulteriore segnale, se vogliamo ancora più tangibile: invitare gli chef vincitori del
Premio Fusari, insieme ad alcuni cuochi simbolo del territorio teatro dell’evento, a una giornata che ha visto un primo momento di confronto e dibattito proprio sui temi della tradizione, del territorio e dell’innovazione; successivamente si è passati dalla teoria alla pratica con una serata enogastronomica in cui poter degustare alcuni piatti simbolo dei concetti già espressi, nel solco del pensiero di
Vittorio Fusari.
L’evento, tenutosi lo scorso 20 febbraio, è stato organizzato da Slow Food in sinergia con la condotta locale Oglio Franciacorta Lago d’Iseo – di cui fa parte anche
Patrizia Ucci, moglie di
Vittorio Fusari - insieme al
Consorzio Franciacorta presieduto da
Silvano Brescianini. Luogo della manifestazione non poteva che essere il territorio franciacortino, nello specifico l’
Accademia Symposium di Rodengo Saiano che si occupa di formazione agroalimentare e turistica, palcoscenico ideale per mettere in atto questa prima pièce fatta di riflessione, cibo e cultura.
Protagonisti della serata sono stati gli chef
Gianmarco Casadei della
Piccola Osteria Tera (Sogliano al Rubicone, Forlì-Cesena), vincitore del
Premio Fusari 2024,
Michele Valotti, chef allievo di
Fusari e patron della
Trattoria La Madia (Brione, Brescia),
Resi Martinotti dell’
Antica Trattoria Piè del Dos (Gussago, Brescia) mentre non ha potuto essere presente la vincitrice del
Premio Fusari 2023,
Greta Gemmi del
Ristorante al Resù (Villa di Lozio, Valle Camonica, Brescia).
Dal confronto è emerso un quadro con sfaccettature diverse legate a correnti di pensiero differenti, alcune più avanguardiste, altre più classiche, ma che confluiscono in un unico pensiero: la tradizione è un concetto in continua evoluzione che non si può certo considerare un comparto stagno o un elemento cristallizzato, va piuttosto resa contemporanea, per non rischiare di renderla avulsa dal contesto e dai tempi in cui viviamo.
«Per me la tradizione – ha affermato lo chef
Michele Valotti - è sempre in movimento, è la capacità di saper mescolare quello che c’era prima con quello che c’è oggi», aggiungendo un concetto che pone anche il cliente in una posizione decisamente più attiva rispetto al passato: «Credere che la cucina tradizionale sia solo comfort è sbagliato. È difficile da capire, è faticoso, ma è così. Chi si approccia ad una cucina del territorio deve anche sentirsi a disagio per imparare qualcosa; se ci si sente sempre confortati, non si impara niente di nuovo. La chiave per riuscire a fare questo passaggio sta proprio nella cultura, altrimenti parliamo di moda. La cultura è la chiave di tutto: occorre capire il proprio territorio, investire su di esso».
E del rischio che la cucina tradizionale diventi solo una moda, svuotata dalla sua essenza, soltanto perché in questa fase storica parlare di osterie "fa tendenza", ha parlato anche lo chef Gianmarco Casadei: «Lavorando nell’entroterra romagnolo purtroppo si fa presto a parlare di stereotipi e standardizzazioni, ma nelle osterie bisogna sapere anche osare e non offrire soltanto il comfort food: ci vuole coraggio nel proporre ai clienti degli ingredienti o dei piatti che non proverebbero».
Ed è così che i concetti di autentico e autenticità tornano ad essere protagonisti e a rappresentare la cucina di ogni area geografica: «Fare territorio – ha affermato lo chef della
Trattoria La Madia – significa essere super stagionali e utilizzare prodotti che cambiano continuamente».
Già
Vittorio Fusari, che oltre ad essere cuoco visionario e avanguardista «era prima di tutto un pensatore»
- come ci ha tenuto a sottolineare il curatore della guida
Osterie d’Italia Eugenio Signoroni - da Iseo, nel cuore della Franciacorta, aveva creato il suo quartier generale del gusto legato alla stagionalità dei prodotti e dato vita a un percorso enogastronomico unico e distintivo, dove il concetto di diversità era importante così come quello di territorialità in senso lato: «Stare sul territorio – ha sottolineato
Eugenio Signoroni - significa fare il bene di quel luogo, non solo usare prodotti conosciuti: comprare il pesce dai pescatori incentivando l’indotto locale ma fare anche in modo che il Lago rimanga sano e biosostenibile».
Anche il vino gioca un ruolo fondamentale in questa partita, specie se poi parliamo della Franciacorta, dove territorio e vino sono quasi sinonimi, legati indissolubilmente. «Tra le numerose doti di
Vittorio – ha affermato
Silvano Brescianini – c’era la capacità di incoraggiare i produttori, anche del mondo del vino, a intraprendere nuove strade: è stato il primo a incoraggiarci a puntare verso il biologico, scelta che con il senno di poi si è rivelata decisamente saggia. Per valorizzare al meglio i propri prodotti occorre quindi grande consapevolezza, sia che si parli di cucina che di vino».

Tagliatella reale con quinto quarto di galletto
E proprio la moglie di
Fusari,
Patrizia Ucci, ha voluto puntare l’attenzione sull’importanza della visione e della cultura: «Voi cuochi – ha commentato – avete la responsabilità di trasmettere e di educare attraverso il vostro operato, consapevoli che la cucina è la risposta a un bisogno di piacere e di convivialità».

Agone al forno con polenta di mais rosso
Il dibattito ha poi lasciato spazio alla cucina vera, quella dei fuochi e dei fornelli, che ha permesso di degustare alcuni piatti rappresentativi degli chef presenti: dalla
Tagliatella reale con quinto quarto di galletto dello chef
Casadei ai
Cappelletti con trevisano, capulì (tipico radicchio primaverile bresciano)
e polvere di rosa dello chef
Michele Valotti, sino all’
Agone al forno con polenta di mais rosso di
Resi Martinotti; in abbinamento alle varie portate alcune etichette di bollicine della Franciacorta, per esaltare ulteriormente il palato, non solo attraverso i piatti, ma anche al calice.

Cappelletti con trevisano, capulì e polvere di rosa
L’evento si svolgerà nei mesi a seguire anche in Piemonte, in Campania e in Abruzzo, portando i valori del
Premio Vittorio Fusari in diverse parti d’Italia, e diffondere a ogni incontro ancora una volta i concetti di territorio, unicità, gusto e tradizione. Nelle intenzioni di
Slow Food e del
Consorzio Franciacorta questo appuntamento diventerà poi annuale, come a tracciare una traiettoria che ci aiuti a capire dove stiamo andando senza mai perdere memoria della strada fatta.