Il ministro Francesco Lollobrigida, per il tramite dell’astronauta Walter Villadei, alla conquista delle galassie interstellari a suon di rigatoni e fusilli, passatelli e penne rigate: in queste ore il web è tutto un fiorire di ironie nei confronti dell’iniziativa sulla “pasta italiana nello spazio”, di per sé forse meritoria, di sicuro comunicata davvero male. Soprattutto, venduta come una novità assoluta, «stiamo raccogliendo la sfida del futuro» (boom!), quando si tratta invece di una replica del passato, un déjà vu alla pummarola, quasi una supercazzola trafilata al bronzo.

Uno dei tanti meme che dilagano nello spazio... del web. Protagonista il ministro Lollobrigida
Pochi (tra questi, il sempre brillante collega
Carlo Ottaviano, con una lettera a
Repubblica) ricordano infatti che il tema in sé – cibo tricolore nel menu delle astronavi – non è affatto nuovo, e divenne persino l’oggetto di un seguitissimo intervento a
Identità Milano. Marzo 2013, sale sul palco un
Davide Scabin allora nel pieno fulgore della sua straripante creatività: la lezione spazia – è il caso di dirlo – dagli studi effettuati per fornire pasti low cost alla mensa della scuola di Pollenzo, a quegli altri, dedicati invece ai cibi italiani che da lì a poco sarebbero stati portati nello spazio da
Luca Parmitano, Maggiore dell'Aeronautica italiana nonché membro dell’equipaggio Nasa decollato il successivo 28 maggio dalle steppe del Kazakistan, a bordo della navicella Soyuz TMA-09M, destinazione la
Stazione Spaziale Internazionale.

Davide Scabin a Identità Milano 2013
Il genio allora al
Combal.Zero di Rivoli era stato contattato per l’occasione («Mi ha chiamato un paio di anni fa il responsabile della
Argotec, per conto dell'
European Space Agency, chiedendomi se volevo preparare qualche piatto per la cambusa di una navicella spaziale. Ho pensato di gratificare gli astronauti lontani dalla Terra con alcuni piatti che li facessero sentire a casa») e aveva iniziato a ideare il menu per la
astrociurma fin dall'autunno 2011; ed era così riuscito a mettere a punto preparazioni in grado di conservare l’aroma anche dopo la disidratazione e la successiva reidratazione a bordo della navicella. Era proprio questo uno dei principali problemi: l’assenza di gravità altera il senso del gusto, manca il retrolfatto; con il passare dei giorni, pare che il cibo appaia quindi sempre più insipido. Per riattivare le papille gustative, la dieta spaziale prevede(va) dunque spesso note piccanti e aromatiche, ad esempio con aggiunta di peperoni, rafano o wasabi.
Scabin aveva seguito un’altra strada, quella dell’umami, che fa tanto Giappone ma in realtà è italianissima se si considera quanto ne siano ricchi alimenti tipici della nostra dieta, come il parmigiano reggiano o il pomodoro. Viatico, l'umami, anche per dare sapidità eliminando però il sale, per evitare la ritenzione dei liquidi; così come aveva cancellato il rischio di carica batterica attraverso processi di termostabilizzazione e disidratazione dei piatti, cui aveva collaborato anche Moreno Cedroni. Ciò consentiva oltretutto la conservazione degli alimenti fino a 36 mesi. Esito: preparazioni golose, sigillate in pacchetti sottovuoto e mono-porzione facili da aprire e pronti all’uso, bastava reidratarli (a caldo, altra novità) introducendovi un poco d’acqua attraverso una valvola. Per reidratare il risotto, ad esempio, occorrevano 100 ml di acqua a 70° per venti minuti.
Risotto? Non solo: «Ho creato una trentina di piatti, mettendone a punto quindici», aveva precisato
Scabin. Ma per esigenze di stoccaggio, nell’aeronave ne furono stivati solo di cinque tipi diversi. Il menu dello chef torinese prevedeva intanto la
Combal Space Lasagna, forse il cibo spaziale divenuto più celebre, tanto da essere richiesto anche sulla Terra; lo chef era riuscito a mantenere la sfoglia all'uovo elastica e croccante dopo la reidratazione. Poi, c'erano la parmigiana di melanzane, il risotto al pesto («Un risotto mantecato, non il solito riso bollito. Non è chiaramente un perfetto risotto al dente, ma non è peggio di quello servito in molti ristoranti»), la caponata, il tiramisù. Tutto da materia prima di ottima qualità, perlopiù piemontese, organica, appunto salt free. Il pranzo era servito.

Italia del gusto nello spazio? Non solo con la pasta! ISSpresso è stata la prima macchina espresso a capsule per le missioni degli astronauti, realizzata per la Stazione spaziale internazionale da Argotec e Lavazza in partnership pubblico-privata con l'Agenzia Spaziale Italiana. Il primo caffè espresso nello spazio è stato bevuto da Samantha Cristoforetti il 3 maggio 2015
Dichiarazione di
Scabin, anno 2013: «Per la prima volta, la cucina tradizionale italiana è protagonista di una missione di importanza mondiale. Stanno addirittura pensando di adottare un menu mediterraneo per gli astronauti, finora si è mangiato solo russo, americano e giapponese. Mi piace molto l’idea di aver portato la nostra tavola, amata e apprezzata in tutto il mondo, anche nello spazio. Siamo un popolo di santi, poeti e navigatori. Anzi, di astro–food-navigatori».
Lollo,
scansate.