Spaghetti con vongole, frittura di pesce, gallinella di mare, scorfano, ricciola, totani con patate, pezzogna all’acqua pazza... Durante l’attracco dell’aliscafo a Marina Grande, i pensieri premonitori del gastronomo errante in arrivo a Capri vanno tutti in un’unica direzione: la cucina di pesce. Che sta a isola del Mediterraneo come sole sta a estate. Le seduzioni ittiche sono motivate dal quadro che nella mente di ognuno di noi prende forma quando si sente la parola Capri, un tris di elementi che mai farebbe venir voglia di addentare una bistecca: mare, barche e faraglioni.
Eppure, frugando nelle origini, è facile trovare nel nome dell’isola azzurra un chiaro riferimento ai primi animali selvatici che la abitarono, secondo due tesi: l’espressione latina caprae, dal significato di facile intuizione, e il termine greco kàpros, ovvero cinghiale.
Raffaele Amitrano e Luigi Lionetti, chef di due insegne stellate dalla guida Michelin 2023 sull’isola, gemme del gruppo Manfredi Fine Hotels Collections, che a Capri può vantare due luoghi d’accoglienza d’eccezione come l’Hotel Punta Tragara, cinque stelle lusso, e la suggestiva e storica Villa Castiglione, ci hanno raccontato origini ed essenza dei piatti a base carne presenti nelle carte dei rispettivi ristoranti.

Il ristorante Mammà, con meravigliosa vista, chef Raffaele Amitrano
Originario della dirimpettaia Massa Lubrense,
Raffaele Amitrano è un classe 1978, dal 2021 è la toque del ristorante
Mammà, terrazza sul tramonto a mare, a pochi passi dalla famosa Piazzetta, e spiega così l’idea del piatto
Quaglia con spinaci ed il suo uovo: «Il nostro è un ristorante che fa della cucina di mare il suo trampolino, si pensi alle
Lasagnette di mare, alla
Parmigiana di pesce, alla
Pasta ai frutti di mare o al
Polpo affogato con involtini di scarola, ed è normale che l’ospite richieda poco i piatti di carne. Con la quaglia ho voluto raccontare un pezzo di storia di Capri».

Quaglia con spinaci ed il suo uovo
La caccia è sempre stata una delle principali voci della povera economia caprese: già nella prima metà del Seicento il principale introito che otteneva la chiesa locale era legato al tributo sulle quaglie, tanto da far nominare il reggente della diocesi isolana il “vescovo delle quaglie”. Le quaglie, uccelli tipicamente migratori, passavano su Capri due volte l’anno, a settembre ed a ottobre, quando, nutrite e grassocce, andavano a cercare il calore africano, e in aprile e maggio, quando risalivano verso il Nord Europa. «La cattura avveniva a stormi, insieme a tordi, tortore e beccacce, con il sistema delle reti che venivano stese ovunque – racconta lo chef – E si tramanda che una volta, alla fine del 1700, in un solo giorno furono catturati 15mila volatili». Per motivi poco chiari, nel 1932
Benito Mussolini emise un decretò che vietò la caccia sull’isola, attività che poi andò a scemare negli anni che seguirono.
«Cuociamo il petto di quaglia in padella, friggiamo la coscia, bolliamo l’uovo per pochi minuti e serviamo con una salsa agli spinaci».
Un piatto semplice ma di grande bontà, dove la carne tenera e saporita viene speziata lievemente per non perdere identità e la salsa fa da interessante contrappunto vegetale e amarognolo.

Il ristorante Mammà, con meravigliosa vista, chef Raffaele Amitrano
Luigi Lionetti, caprese classe 84, da 17 stagioni fa parte della brigata de
Le Monzù, terrazza fine dining dell’esclusivo e scenografico
Hotel Punta Tragara, e nel 2013 ne è diventato executive chef: «Chi arriva a Capri vuole mangiare piatti a base di pesce ed io, confesso, amo cucinarlo. Ho pensato però che nei miei menu potesse essere stimolante proporre dei piatti che, sebbene non raccontino strettamente l’isola, perché a Capri non esistono allevamenti, potessero comunque rappresentare tutta la regione e dare una fotografia più ampia del mio stile».

Coniglio con guanciale, sedano rapa e bietola
Coniglio con guanciale, sedano rapa e bietola è un omaggio alla vicina Ischia, dove famoso è il
Coniglio all’ischitana: «Disossiamo il coniglio paesano, che ci arriva da allevamenti selezionati in Campania, avvolgiamo il filetto nella verza e nel guanciale e cuciniamo per 40 minuti a 56 gradi. Scottiamo e rosoliamo in padella poi, dopo un breve passaggio al forno, lo adagiamo su una base di sedano rapa cotto nel timo e nel burro. Con le altre parti del coniglio facciamo uno
Jiaozi, un raviolo ripieno. Il piatto si completa con una brunoise appena frullata di sedano rapa stracotto con carota e cipolla e con la bietola passata in olio con aglio e peperoncino». Il miracolo di
Lionetti è quello di dare leggerezza a questo piatto voluttuoso, di sostanza e di sostenibilità dove il coniglio viene arrotondato dalla grassezza del guanciale e snellito dai toni vegetali della verza e del sedano rapa. Divertente e potente il raviolo. «Chi lo mangia per la prima volta lo chiede ogni volta che ritorna» dice lo chef.

Agnello lucano con pak-choi e composta di aglio nero e arancia
La seconda proposta di terra firmata
Lionetti è l’
Agnello lucano con pak-choi e composta di aglio nero e arancia: «Cuociamo un rotolino di sella di agnello a bassa temperatura con timo, rosmarino e alloro, il carré invece viene cotto al momento; serviamo con una foglia di pak-choi, sbollentata in olio con aglio e peperoncino, e con una quenelle di composta di aglio nero e arance».
Il risultato è un sapore avvolgente, succulento e contaminato, che diventa complesso attraverso il finale amarognolo del cavolo cinese e le note balsamiche, di liquirizia e agrume della composta, elemento che conferisce metrica e intonazione a questo piatto di apparente semplicità.
Così, sulla più romantica delle isole, gli chef di Manfredi Collection eseguono golose variazioni sul tema ittico omaggiando Capri e la Campania, raccontando la storia del territorio, celebrando ed esaltando i prodotti non di mare che l’ospite mai sceglierebbe. Forse aveva ragione Kierkegaard. “La certezza, l’abitudine, la prevedibilità uccidono il godimento, che è parente della sorpresa”.