Nel 2018 il premio Nobel per l’economia è stato assegnato a William Nordhaus, economista statunitense, per i suoi studi sul rapporto tra crescita economica e cambiamenti climatici; esiste infatti una stretta relazione tra cambiamento climatico e scelte economiche e politiche. Adattarsi alle nuove esigenze territoriali è una prerogativa dell’uomo sociale in qualità di produttore di cultura e, tra i produttori di cultura, vanno considerati i cuochi, se è vero che il cibo incarna l’identità culturale di un popolo e nella cucina possono ritrovarsi le peculiarità di un territorio.
Hanno ben chiaro il principio lo chef Carlo Cracco e il suo braccio destro Luca Sacchi, autori del piatto simbolo di Identità Milano 2023, congresso a tema “Signore e signori: la rivoluzione è servita” (leggi qui la spiegazione): Avocado, kiwi e coriandolo è la testimonianza del mondo che cambia e dell’uomo che si adatta, manifesto edibile di una rivoluzione necessaria dovuta al riscaldamento globale e al conseguente cambiamento del clima (leggi qui la spiegazione del piatto). Una preparazione che rompe gli schemi, si proietta nel futuro e apre diverse prospettive sia dal punto di vista gastronomico che da quello concettuale perché composta di materia prima esotica prodotta rigorosamente su territorio italiano.
Esotismo nostrano? Secondo l’
Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del
Consiglio nazionale delle ricerche (
Isac-Cnr), la tendenza al surriscaldamento è evidente in Italia, dove la classifica degli anni più caldi negli ultimi due secoli si concentra nell’ultimo decennio e comprende, nell’ordine, il 2022, il 2018, il 2015, il 2014, il 2019 e il 2020. La conseguenza viene fuori da un’analisi della
Coldiretti diffusa a inizio dicembre in occasione dell’apertura del
Villaggio Coldiretti di Palermo: le coltivazioni sul suolo italico di banane, avocado, mango e simili, nel giro di cinque anni, sono praticamente triplicate arrivando a sfiorare i 1200 ettari fra Puglia, Calabria e Sicilia, intanto il kiwi abbonda tra Lazio ed Emilia Romagna, l’ulivo avanza in Valtellina e la vite in Valle d’Aosta.
Certo è che quello dei frutti tropicali made in Italy sia un trend destinato a modificare in maniera profonda i comportamenti di consumo nei prossimi anni, ma anche le scelte produttive delle stesse aziende agricole. D’altronde, da curiosità confinata a pochi ettari coltivati, la produzione di tropicali italiani è diventata anche un vero e proprio fenomeno di mercato: un’indagine 2022 Coldiretti/Ixè ha rivelato che ben sette italiani su dieci (70%) cercano sugli scaffali mango, avocado, banane coltivati nella Penisola. Una tendenza motivata dal maggiore grado di freschezza ma anche dalle preoccupazioni sulle garanzie di sicurezza del prodotto importato.
In Puglia i tropicali sono ormai una realtà consolidata, spinta dagli effetti della siccità con una impennata delle coltivazioni di avocado, mango e bacche di goji insieme a bacche di aronia, banane e lime. A Castellaneta (Taranto), sempre secondo
Coldiretti, ci sono 32mila piante di avocado, in Salento se ne stimano 100mila di avocado, 8mila di mango e altrettante di lime, mentre fanno timidamente capolino le coltivazioni di banane. In Calabria, alle coltivazioni di mango, avocado e frutto della passione si aggiungono melanzana thai, macadamia e addirittura la canna da zucchero. L’annona, altro frutto tipico dei paesi del Sudamerica, è ormai diffuso lungo le nostre coste tanto da essere usato anche per produrre confettura.
La Sicilia però, dalle analisi già citate, è quella che spicca per quantità e qualità con coltivazioni di avocado e mango di diverse varietà, nelle campagne tra Messina, l’Etna e Acireale, ma anche di frutto della passione, zapote nero, sapodilla e litchi. Tutto grazie al lavoro e all’impegno di giovani agricoltori che hanno scelto questo tipo di agricoltura, spesso recuperando e rivitalizzando terreni abbandonati proprio a causa dei mutamenti climatici e in precedenza destinati alla produzione di arance e limoni.
Coltivazioni di avocado si estendono tra le pendici dell’Etna e il mar Ionio, nella zona di Giarre. Tra il vulcano e la zona costiera si sviluppa un microclima ideale che stimola la produzione d’eccellenza: qui il terreno di origine vulcanica forte, permeabile e ricco di elementi naturali, insieme alla purezza dell’acqua estratta dal sottosuolo, conferisce al frutto peculiari e pregiate proprietà organolettiche, sapore dolce e delicato, polpa burrosa e cremosa.

Sicilia Avocado è un gruppo di 39 piccole aziende agricole fondato nel 2013 a Giarre (Catania) dal giovane imprenditore siciliano Andrea Passanisi, nella foto. Divenuto in pochi anni leader di settore, il gruppo commercializza i suoi frutti in tutta Italia e in Europa e conta nel suo portfolio clienti business, privati e gruppi di acquisto. Le coltivazioni si estendono tra le pendici dell’Etna e il mar Ionio

A Palermo la Cooperativa Valle dell’Oreto della famiglia Marcenò produce tre varietà di banana dal 2012: Musa capriciosa, Musa paradisiaca e la classica Cavendish. Con 4000 piante, l’azienda è la più grande d’Italia a coltivare banane fuori serra. Nella foto Letizia Marcenò mostra alcuni frutti della piantagione
Ancora: a ridosso del vulcano siciliano, dove il clima mite e i terreni idonei ne permettono lo sviluppo, trova il proprio habitat naturale il finger lime.
Sulla costa nord della Sicilia, in una striscia di terra ai piedi dei Monti Nebrodi e di fronte alle Isole Eolie, si coltiva il mango da fine luglio a fine novembre.
In provincia di Palermo, dal 2014 una ditta individuale produce e distribuisce papaya siciliana secondo etica ecosostenibile: nel rispetto dell’ambiente e della salute dei consumatori, si usano esclusivamente prodotti naturali come acqua, terra e stallatico.

A Ficarazzi, piccolo centro alle porte di Palermo, nel 2013 Luigi Speciale ha fondato Papaya di Sicilia, brand dedicato a un mercato di nicchia fatto da privati, ristoratori e rivenditori selezionati. L’azienda può contare su circa 2000 mq di serre, nelle zone di Palermo e Messina, in cui si coltivano due varietà di papaya, simil-formosa e simil-solo sunrise, con una produzione annua di circa 5 tonnellate

PapaMango è un marchio dell’azienda agricola Bianco Rosalia di Sant’Agata di Militello (Messina). Qui, nel cuore dei Nebrodi con vista sulle Eolie, dal 2012 a oggi, Vincenzo Amata ha creato negli anni un impianto di 2300 piante di mango di cultivar diverse: Kensington-Pride, Kent, Keitt, Sensation, Glenn, Maya e Irwin
Poco distanti dal centro di Palermo, dal 2012 si coltivano fuori serra, su 4000 piante, due tipi di banane, la
Musa capriciosa e la
Musa paradisiaca, la prima leggermente più tozza e più grossa della seconda; a ridosso del capoluogo siciliano, dal 2012 si producono in serra frutti esotici biologici come papaya, mango, banane, mini banane, platano, maracuja, canna da zucchero, lime, ananas, carambola, zapote, pitanga, litchi, guava, pitaya, tamarindo, black sapote e annona muricata. Da qualche anno, sempre nelle campagne panormite si sta sperimentando la coltivazione di piante di caffè. Da evidenziare che presso l’Università di Palermo si sta lavorando a un piano per lo “sfruttamento della tropicalizzazione del Mediterraneo”, supportando coltivazioni, nella zona occidentale dell’isola, di frutti terrestri tropicali, come appunto la papaya e le banane.
«Non è la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al cambiamento». Questa frase, da anni erroneamente attribuita a Charles Darwin, in realtà pronunciata nel 1963 da Leon C. Megginson, professore di Management, per descrivere la sua interpretazione del pensiero darwiniano, sembra lambire l’ovvietà, ma di fatto rappresenta l’unico incipit efficace qualora si volesse spiegare a un bambino la relazione tra il mondo e chi lo abita nel complesso processo dell’evoluzione. L’adattamento al cambiamento diventa requisito essenziale per la sopravvivenza di flora e fauna, culture e scienze, territori e persone e della cucina, ottava tra le arti, specchio eloquente di usi e società. Ogni mutamento o trasformazione che provochi uno svecchiamento in un ordinamento è definito innovazione che, col passare dei secoli, si radicalizza e diventa tradizione. Ogni evoluzione parte da una scintilla, che può scatenare un fuoco. A risolvere le situazioni estreme, fortunatamente, arrivano poi le rivoluzioni.
LEGGI QUI IL PROGRAMMA DI IDENTITÀ MILANO 2023
ISCRIVITI QUI A IDENTITÀ MILANO 2023