Always Yes, Always More, Never Enough. «Sempre sì, sempre di più, mai abbastanza». E' la frase vergata con l’inchiostro sul retro del collo di Jose Luis Hinostroza, una regola generale di vita per il giovane messicano-americano, chef di Arca, il ristorante più hot di Tulum. Per una sera, gli ospiti italiani hanno potuto testarne piatti e idee al bar Devis Shake di San Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno) dove Hinostroza e il suo head mixologist, Peter Sanchez, hanno cercato di portare un po' di Yucatan nelle Marche.
La gente tende ad associare Tulum, località balneare celebre per i dj party fino a notte fonda e per l’avvistamento di celebrità, alla cucina innovativa. Ma occorre ricordare che fu proprio qui, nella sua nebbiosa giungla, che il Noma tirò su, nel 2017, il suo pop-up più d’impatto e successo. Per 7 settimane la residenza nello Yucatan di René Redzepi fu probabilmente la tavola più ambita al mondo. E a capo della stessa c’era proprio Hinostroza.
Nato a San Diego da genitori messicani, ha perfezionato le sue abilità di cucina in istituzioni gastronomiche come Alinea, Mugaritz, Maemo e, sì, anche il Noma. Proprio mentre se ne stava andando, Redzepi ha chiesto a Jose Luis di condurre la cucina del popup. E il resto, come si dice, è storia. Hinostroza ci andò per rimanerci. Arca, con i suoi tavoli di legno sotto le palme, la cucina aperta, l’afa, l’ambientazione esotica e una lista di vini naturali, riflette bene il carattere e lo stile del ragazzo.



È un posto meraviglioso, con i raggi del sole pomeridiano che filtrano nella tela della giungla e il team di sala che sembra essere uscito direttamente da una passerella di moda e una colonna sonora che suona
Depeche Mode,
Van Morrison e motivi per surfisti australiani.
E poi ci sono i piatti. Tempura di
soft shell crab su tortilla di
hoja santa con salsa di
habanero sottaceto, aioli di
serrano e polvere di
chaya, un’esplosione di sapori pungenti, acidi con un confortante elemento di grassezza fritta. Al Devis Shake Hinostroza ha usato proteine locali quindi il granchio è stato sostituito dal calamaro, fritto fino al punto in cui i tentacoli sono diventati
chicharron croccanti. All’Arca il cuoco esplora i piatti e gli ingredienti Maya e uno dei primi esempi di questa cucina intrigante è il bellissimo
Dzikilpak, una crema di semi di zucca arrosto su cui intingono fiori di zucca e tostada.
Usare mani e dita è tipico della sua cucina elaborata, accentuata dai cocktail squisiti di Sanchez. Tra questi spiccava il
Lost Martini, una versione del Martini su base mezcal unita a sake Nami Junmai, acqua distillata, St Germain e bitter di Maya Lima.

Il retro di Jose Luis Hinostroza
Un altro piatto simbolo è la Terrina di polpo grigliato servita su tostadas di Cotixa caramellato, l’unico formaggio indigeno messicano. La terrina è pressata e avvolta in pasta di
recado negro scuro, unita a salsa piccante
macha e semi di coriandolo verde. In accompagnamento, Sanchez serve rum Punch, leggermente più dolce per il mix di Um Aconte 7, Jerez Tio Pepe, sciroppo di Ponche e un pizzico di bitter di mole.
C’è sempre un po' di piccantezza in ognuno dei suoi piatti. Perché Hinostroza ama anche giocare con l’acidità. Un bell'esempio è la sua salsa pungente, fatta con chips di platano. E' fuori di testa. «Mi piace spingere. Con piatti che sono quasi troppo salati, quasi troppo acidi, quasi al limite, che però non superano. E' anche la mia regola di vita», ride il cuoco.