Siamo andati a Melizzano, in provincia di Benevento. Nel cuore del Sannio, a due passi da Telese Terme, circondati da borghi e luoghi in cui il tempo scorre lento. Poche anime in giro, montagne, fiumi, vigneti, verde a perdita d’occhio. Nell’aria si respira magia, qualcosa che non riesci a decifrare, ma che in quelle vallate affonda radici profonde. Con un pizzico d’immaginazione, sembra di scorgere le tribù di una volta, piccole comunità organizzate tra i monti, pionieri di usi e costumi indelebili. Nel Sannio ci si resta per scelta. Facile emigrare, coraggioso restare, eroico fare la differenza. Quando incontriamo Angelo e Giuseppe D’Amico sappiamo di essere al cospetto di due guerrieri sanniti. Guerrieri buoni, ça va sans a dire. Con la loro semplicità, gli occhi pacificatori, le parole accomodanti. La loro mente corre veloce su progetti di accoglienza e rilancio del territorio, ma il manierismo è lento. Nessuna intenzione di rinunciare a uno scorcio di Monte Matese, a un incontro con i produttori di zona. In generale, c’è una voglia irrefrenabile di farci sapere che il Sannio è una terra che merita molto di più.
E così ci siamo immersi, li abbiamo persino accompagnati nella spesa mattutina fatta di uova, carni, ortaggi locali. Spesa che diventa una chiacchierata tra amici, lo chef e i suoi preziosi “spacciatori”. I produttori locali con il loro portavoce combattente. Infine siamo andati a cena da Locanda Radici, la loro “casa” del gusto, dove sapori e colori del Sannio trovano un senso concreto. Ci accoglie una radice simbolo: una pianta di Aglianico recuperata dopo l’alluvione che piegò il beneventano nel 2015. I D’Amico l’hanno posizionata all’ingresso del ristorante, appesa al contrario in senso di rinascita. Lunga e nuova vita al Sannio.
Locanda Radici consegna (e anticipa con whatsapp) un menu in formato digitale: più che una scelta post Covid, è uno dei tasselli del mosaico di ecosostenibilità realizzato dalla proprietà. Ristorazione interpretata in maniera olistica, un tutt’uno di rispetto e scelte impopolari se è il caso. Il risultato finale ci ha infuso un enorme senso di pace, armonia fuori e dentro i piatti, nelle parole e negli ingredienti.
Optiamo per il menu degustazione Radici. Come prima volta, doveroso iniziare così, nonostante una carta densa di tentazioni, ci sono anche i piatti del cuore tra cui la Cacio e Pepe omaggio a quell’Antonello Colonna che, a Labico, ha scritto con Angelo D’Amico pagine di una formazione importante. Scorrendo il curriculum dello chef, si schizza da Enrico Derflingher ad Anthony Genovese. Da Carlo Cracco a Raymond Blanc, fino ad Alain Passard. Ma c’è anche l’agriturismo di Berardino Lombardo e, come già accennato, gli anni di grande concretezza con Colonna. Tutto questo, oggi, è diventato un messaggio diretto, semplice, sostenibile. Angelo D’Amico, con il sous chef Giuseppe Di Gioia, esprime una ristorazione libera dalle mode, mai ruffiana, sempre credibile. Canto e controcanto, verità e poesia insieme.

Il maître sommelier Giuseppe D’Amico, fratello dello chef Angelo
Ci accomodiamo nel garbo sparso in sala dal maître sommelier
Giuseppe D’Amico con
Luca D’Errico. Non possiamo che apprezzare la grande competenza in fatto di sommellerie e diamo carta bianca per l’abbinamento dei vini, che saranno esclusivamente chicche del territorio. Arriva il benvenuto della cucina. Tecnicamente è una pasta fredda, nel dettaglio diventa un’esplosione di territorio a base di latticini, datterino giallo e frutti bosco. Proseguiamo con
Uovo croccante, tartufo nero e mozzarella di bufala.
Angelo D’Amico manipola quel tanto che serve, il resto è un appello di ingredienti del territorio. Nei piatti, materie prime con nomi e cognomi, mentre il calice si accende di bollicine locali, metodo classico firmato
Antica Masseria ‘A Canc’llera. Si chiama
Nove Lune e dentro ci sono l’Agostinella, vitigno dei misteri rigorosamente autoctono, e la robusta Camaiola, quella che in molti chiamano Barbera del Sannio. Per noi, annata 2015.

Uovo croccante, tartufo nero e mozzarella di bufala

Cappellacci allo scarpariello 2.0 e pomodorini alla brace
La cena continua con
Cappellacci allo scarpariello 2.0 e pomodorini alla brace. Un piatto che tocca dentro, che fa riflettere sul concetto di essenzialità. Potresti mangiarlo ogni giorno senza annoiarti mai. Masticando, viene fuori la consistenza callosa di una sfoglia all’uovo che lo chef cura in maniera maniacale (e senza badare a spese). In collaborazione con le farine di grani antichi della vicina
Azienda Agricola Fontana Stella, complice anche di una panificazione eccellente che a tavola diventa “martirio”, insieme all’olio extravergine d’oliva e il burro locale. Per divertirsi, ci sono anche i grissini, da
scrocchiare lentamente, pezzo dopo pezzo. Mentre ci accompagna il Piedirosso Sannio doc di
Mustilli, annata 2019.
Siamo al secondo e quindi Vitella del Sannio allo spiedo, con rucola, Parmigiano e funghi di stagione. Ci toccano i porcini, evviva. Chiediamo una cottura al sangue e la cucina ci accontenta con un esercizio di stile celebrativo di una spesa, ancora una volta, locale e grandiosa. Per forza di cosa, cresce la potenza del sorso con la cantina Torre a Oriente, nella sua interpretazione dell’Aglianico del Taburno, per noi del 2014.

Vitella del Sannio allo spiedo, con rucola, Parmigiano e funghi porcini
Il predessert è un incontro di cioccolato bianco, croccante di mandorle, ricotta, albicocca e crumble di cioccolato extrafondente. Della pasticceria se ne incarica direttamente lo chef, anche se in
Pasticciando con Alessia, il dessert, c’è l’allegria di un ricordo tra padre e figlia:
Alessia, appunto. Pasta sfoglia, chantilly ed amarene. Un dolce di sempre e per sempre. Da bere, ancora
Antica Masseria ‘A Canc’llera, nuovamente uva Agostinella, stavolta in versione Passito (2017).
Lasciamo Locanda Radici con il saluto della piccola pasticceria e già sappiamo che ci mancheranno questi sapori intensi così come il senso di pace profonda. Sentiamo che torneremo, del resto ci sarebbe anche una certa Cacio e pepe da assaggiare.