Era un anno e un mese che Bologna aspettava Godot. O forse molto di più. Considerando la coltre di polvere fitta posata sulle sue icone gastronomiche. La formaldeide del vitello di Damien Hirst al posto del brodo nel letargo di sua maestà il tortellino. Eppure Godot finalmente è arrivato, smentendo il plot beckettiano. Carico di una batteria di pentole e suppellettili deluxe, avvolto in una divisa scintillante coronata dalla toque. A Estragone e Vladimiro non è rimasto che rimboccarsi le maniche e allacciarsi il tovagliolo. Disattivato il tasto pause, la corsa della ristorazione bolognese può finalmente ripartire.
Stiamo parlando di
Marcello Leoni, ovviamente. E del suo nuovo, ambizioso
ristorante. Che galleggia sulla città come il profumo di qualcosa di buono. Sotto la piattaforma della balena, quartier generale di Unipol, sfreccia il traffico che collega i punti nevralgici del business bolognese, in attesa (altro Godot ritardatario) del contestato
people mover. Porta Europa, tredicesima porta di Bologna, eretta in questo terzo millennio, è una struttura immaginifica fatta di ferro e vetro sopra il tourbillon della città. Ma dentro il ventre di Moby Dick il silenzio è totale. Strutture curvacee come costole per proteggere gli ospiti durante lunghe traversate.
La loro metamorfosi in chiave gourmand è stata firmata dall’orvietano
Luciano Belcapo, già scenografo delle mirabilia di
Gianfranco Vissani. Marmi multicolori, legni scolpiti, tappeti preziosi, tendaggi chilometrici. Più lusso che semplicità sotto il segno di un’opulenza non dissimulata, barocca, emozionante. Le sale sventagliano un numero variabile di coperti, attualmente attestato sulla trentina. A mezzogiorno il pranzo di lavoro, a sera la carta gastronomica, ancora in fase di assestamento. Ma a fianco apre i battenti il locale informale, giocato su tonalità rosse anziché chiare e consacrato a una ristorazione non stop più veloce. In cucina si affaccendano una dozzina di cuochi, fra cui il braccio destro storico
Riccardo Cevenini, mentre il fratello dello chef, Gianluca Leoni, ha puntato sulla bistronomia del numero 18 di via Clavature.
Un simile scrigno, il cui allestimento ha impegnato
Marcello e la mecenatesca compagnia assicurativa per oltre un anno dalla chiusura del vecchio
Sole di Trebbo di Reno, fa sognare i gourmet petroniani. Che in questi primi assaggi hanno potuto sbocconcellare una cucina matura e personale, capace di staccare i dividendi della lunga esperienza al fianco di
Vissani rivalutandoli in base ai tassi della contemporaneità. Succulenze, dissolvenze, avvolgenze innescate da umili patate, rustici cavoli e setosi cannellini emulano la sensualità decadente della
noblesse francese, senza rinunciare allo sprint galvanizzante di quanto è mediterraneo e insieme popolare. Mentre la generosità non è svilita da una semplicità up-to-date, che affila i contrasti e sfronda gli eccessi in direzione di una pulizia inusitata.
Piatti vecchi, nuovi e ripensati compongono un mix che segna il chilometraggio del cambiamento in atto. All’originalità della formula contribuisce la moglie di
Marcello,
Valentina Tepedino, grande
esperta del nostro pesce, sotto la regia della quale i feticci del passato hanno ceduto il passo a utilizzi innovativi di moli e paganelli, assurti alla gloria gastronomica della sperimentazione.