Sostenibilità. Non se ne è mai parlato così tanto. Complice la pandemia, è diventato uno dei driver più importanti nell’orientamento all’acquisto del consumatore e nelle scelte strategiche di aziende impegnate in settori diversissimi.
Sostenibilità e ristorazione: abbiamo avuto la fortuna e il piacere di incrociare i due fattori con Riccardo Camanini, ospite di una lezione al master dell’univeristà Iulm in Food & Wine Communication, in collaborazione con Gambero Rosso. «Per me», ha introdotto l’argomento lo chef e patron del ristorante Lido 84 di Gardone Riviera (Brescia), «‘sostenibilità’ non è un tema inedito e non ha esclusivamente a che fare con l’impatto che le materie prime producono sulle nostre vite e sull’ambiente».
Nello specifico: «Ormai sembra che parlare di sostenibilità sia determinare solo se un prodotto sia biologico o organico, ma se guardo al passato anche mia nonna era organic, solo che non lo diceva. Allevava e coltivava tutto lei e mangiava ciò che la stagione offriva». C’è molta confusione: «Oggi, sempre più ristoranti si definiscono organic quando in realtà si rivolgono a diversi fornitori esterni, ognuno specializzato in una specifica produzione. Molti, poi, sono totalmente sostenibili ma non lo sanno e quindi non lo comunicano».
Per il cuoco bergamasco («Non chiamatemi chef», precisa, «sulla carta ho scritto ‘cuoco’») la sostenibilità più importante è quella che si applica alla quotidianità del lavoro e alle persone che operano all’interno del ristorante. La premessa: «Per un’azienda come Lido 84, come per molte altre, fare un solo servizio al giorno, sia esso a pranzo o a cena, non è economicamente sostenibile». Conseguenza inevitabile: «Dovendo concentrare nell’arco di 24 ore entrambe le entrate in scena e richiedendo la cucina tempi molto lunghi per le preparazioni e le cotture, la parte più difficile da rendere sostenibile, in termini di qualità del lavoro, è il mestiere del cuoco. Purtroppo non si può pensare di ridurne il turno di lavoro perché, facendolo, probabilmente l’azienda non sopravvivrebbe».

Camanini, in lezione da remoto per il Master Food & Wine, università Iulm
Su cosa si può intervenire allora? Sul coinvolgimento e sulla condivisione di informazioni, prima di tutto. «Cerchiamo di generare nei nostri collaboratori curiosità e progettualità, fattori che consentano loro di arricchirsi e sentirsi partecipi. Qualsiasi cosa succeda all’interno del ristorante, dall’ideazione di un piatto nuovo alla scelta di un elemento d’arredo, è tutto segnalato ai ragazzi attraverso precise informative», spiega Camanini. Che aggiunge: «Cerchiamo di ritagliare loro dei momenti per completare queste informazioni: il sabato mattina, che da qualche anno prevede un’ora di letture dettate dalle loro curiosità o inclinazioni, ultimamente, sta diventando, sempre di più, un momento di incontro progettuale, di confronto, di comprensione delle necessità».
Un modello “sostenibile”, appunto, di per sé pionieristico e che prevede altresì diverse occasioni di crescita: «Più volte l’anno professionisti di vari settori ci raggiungono per tenere corsi di aggiornamento ai ragazzi». Perché l’obiettivo è «Comprendere meglio come poter motivare di più il team piuttosto che cercare di alleggerire i carichi di lavoro». Un’intenzione, figlia della consapevolezza dei mutamenti avvenuti nelle cucine e della convinzione che lavorare in un ristorante sia pesante ma non più di altri mestieri: «Voglio spogliare l’argomento dalle belle favolette che sentiamo in giro. Di ore ne facciamo tante, è vero. Ed è un lavoro molto faticoso. Al giorno d’oggi però, solo i dipendenti di alcuni settori fanno 8 ore di lavoro quotidiano. Chiunque abbia la voglia e la necessità di approfondire, finito il proprio turno e tornato a casa, ripensa al suo lavoro, legge e studia. Le condizioni in cucina non sono più pesanti di quanto non lo fossero in passato. Ricordo di aver lavorato in ambienti in cui non c’era la cappa, non si respirava e si saltavano pranzo e cena. Pesavo dieci kg meno di adesso».
A proposito di condizioni lavorative, ricordiamo che, ad eccezione degli stagisti, al Lido 84 sono tutti assunti, non esiste una divisione rigida delle partite, anche i cuochi escono in sala, i giorni di riposo settimanali sono due e si mangia tutti insieme, due volte al giorno, per spartire cibo, chiacchiere e sorrisi.
Al ristorante dei fratelli Camanini (sappiamo bene che con Riccardo c’è
Giancarlo, fondamentale tanto quanto il fratello) non si condividono dunque solo nozioni e idee ma anche momenti di quotidianità e soprattutto fatiche. I patron sono i primi ad arrivare e gli ultimi a lasciare il ristorante. E, durante le pause pomeridiane, non fuggono come sono soliti fare altri. Dare l’esempio e aiutare gli altri è fondamentale: «Nei primi due anni del Lido, dopo pranzo, spesso ero in plonge ad aiutare il lavapentole ad asciugare le posate, per aiutarlo a finire prima», ci svela il cuoco che ancora adesso, finito il servizio, è facile trovare in cucina a lucidare le posate o a lavare i pavimenti.
Non è un caso se, dall’apertura del marzo del 2014, la squadra si è sempre più allargata, continuando a includere tanti ragazzi in squadra fin dagli inizi: «È vero», conferma Camanini, «il
rate di permanenza al Lido è elevato: il sous chef è con me da 6 anni, il “secondo secondo” e la pasticcera da 5 e mezzo, i capipartita e i camerieri in sala da più di 3. Ogni anno avviene un cambio o due ma, per fare un paragone, ricordo che nei 3 anni in cui ho lavorato da
Gualtiero Marchesi, saranno passate almeno 300 persone». Se rimangono in sella così a lungo, è perché «Cerchiamo di essere vicini con poche poesie ma trasmettendo sostanza».
Leggi anche
Il Lido 84, una famiglia. Ogni mattina, Skype coi ragazzi
Il metodo Camanini