Massimiliano Prete, titolare e anima delle pizzerie Gusto Divino a Saluzzo e Sestogusto a Torino, è fin dai suoi primi passi in questo mondo un ricercatore di qualità e di gusto. Un'esplorazione che l'ha portato, come "lievitista", a cercare sempre nuove soluzioni per rendere più leggeri, digeribili, croccanti e buoni i suoi impasti. Così come a scandagliare luoghi vicini e lontani per trovare qualità ed eccellenze con cui farcire e decorare le sue deliziose pizze.
«La qualità è sempre stato un nostro punto fermo - ci racconta Prete -, anche se come sappiamo bene l'eccellenza dei prodotti in sé non basta per avere successo in questo mondo. Anche l'uso delle eccellenze va inserito in un progetto che abbia un proprio senso e un proprio equilibrio, anche economico. Però possiamo dire che dopo tanti anni in cui era molto difficile lavorare sulla pizza di qualità, nelle ultime stagioni è cambiato il vento in questo senso. E' bello poter proporre sulle nostre pizze prodotti ricercati: in quest'ultimo anno poi, con tutto quello che è accaduto, alla ricerca della qualità si affianca la ricerca della sostenibilità, in particolare per la voglia di stare vicini ai tanti piccoli produttori che stanno facendo fatica».
Un obiettivo materializzatosi anche in un menu speciale: «Dopo il primo lockdown, con questo pensiero in testa, abbiamo dato vita a un percorso di degustazione chiamato Orgoglio italiano, in cui avevamo racchiuso tutti quei piccoli produttori che per noi sono artefici di eccellenze che non possiamo perdere: era il nostro modo per sostenere questi grandi artigiani della qualità».

Massimiliano Prete e la Margherita Extravergine®
Come dicevamo, la ricerca di
Massimiliano Prete si esplicita in primo luogo sulle basi delle sue pizze, sugli impasti: «Nell'ultimo anno abbiamo affittato un ettaro di terreno in Sicilia, dove coltiviamo il miscuglio evolutivo messo a punto dalla collaborazione tra
Molino Quaglia e
Giuseppe Li Rosi: un progetto a cui abbiamo aderito sin dai primi passi e che ora ci permette di produrre direttamente il "nostro" grano evolutivo: un prodotto ancora più leggero, più sostenibile per il pianeta e per i contadini che lo lavorano. E che ottiene, una volta trasformato in impasto, un grande successo presso i nostri clienti. Una delle ultime nate con questo miscuglio evolutivo alla base è la nostra
Margherita Extravergine®, guarnita con pomodorino di collina del Vesuvio, pesto di basilico, pistacchi di Bronte e una ricotta di capra davvero speciale, prodotta da un altro artigiano che mi sta molto a cuore. Lui si chiama
Martino Patti e la sua azienda è
Cascina Badin».

Massimiliano Prete, a sinistra, e Martino Patti
Martino Patti è una persona che comunica passione e dedizione per il proprio lavoro fin dalle prime parole che mi rivolge. Racconta subito di come l'idea di aprire un'azienda agricola e di dedicarsi all'allevamento di capre sia stata una scelta arrivata tardi nella sua vita: «Facevo tutt'altro, avevo intrapreso la carriera universitaria, conseguendo il dottorato di ricerca in Storia, e inoltre lavoravo come redattore alla
Treccani. Poi a un certo punto ho sentito il bisogno di allontanarmi dalle dinamiche interne agli atenei, ero molto deluso. Così nel 2011, 10 anni fa insomma, ho capito che quel che volevo era intraprendere un'attività in cui far prevalere l'etica, il rispetto della persona e la dignità del lavoro. Ho pensato all'ambito agricolo, e in particolare all'allevamento, perché mio nonno era un allevatore: sono cresciuto dandogli una mano durante le estati, quindi avevo accumulato un po' di esperienza e ho provato a sfruttarla».
«Le capre - prosegue
Patti nel suo racconto - le ho scelte più che altro in base al luogo che ho individuato per lanciarmi in questa avventura. Ci troviamo a Castagneto Po, un località in mezzo ai boschi di castagne sulle colline di Chivasso, una delle zone più povere della cintura di Torino ancora fino a dopo la guerra. Molto vicino a noi c'è il grande Bosco del Vaj: con la nostra azienda siamo quello che resta della sensibilità agricola di Castagneto. Le aziende, in particolare quelle zootecniche, si sono spostate in pianura, dove si può fare allevamento intensivo, mentre di stalle sulle colline di Torino non ce ne sono più, a parte noi. E' una terra difficile, calcarea e argillosa, con anche grandi pendenze: quindi lavorarla è faticoso, richiede sacrifici, va fatto tutto a mano. Anche per questo, una volta trovata una cascina con un unico terreno tutto intorno, così come volevo, ho scelto di puntare sulle capre. Grazie alla loro capacità di adattamento, erano l'animale più adatto a inserirsi in questo contesto. In più avevo sempre avuto una grande passione per i formaggi di capra».
Martino Patti quando parla delle sue capre ne descrive abitudini ed esigenze con grande precisione: «Una cosa che spesso viene dimenticata è che le capre quando vanno a pascolare, non cercano l'erba. Loro vanno a testa alta, cercano le fronde, le foglie, i fiori, le bacche: per questo in un contesto boschivo sono nel loro ambiente naturale. Io questo cercavo: dare dignità al nostro lavoro e pensare sempre al benessere dei nostri animali».
Un tema di grande importanza, sempre più ricercato anche dai consumatori, che a
Cascina Badin è elemento costitutivo: «Per me vuol dire allevare l'animale nel rispetto della sua natura, fare in modo che sia libero di esprimere le sue caratteristiche più genuine. Quindi vuol dire che noi alle nostre capre non tagliamo le corna: negli allevamenti normalmente vengono decornate entro 14 giorni dalla nascita. Questo perché se mantengono le corna, le capre giocano tra di loro, fanno la lotta. In parte è appunto un gioco, in parte aiuta a stabilire una gerarchia del gregge. Ma questo negli allevamenti intensivi non può succedere perché l'energia impiegata per le lotte viene tolta alla produzione di latte. Così come lasciarle libere di pascolare: in quel modo fanno ginnastica, si stancano, disperdono energie. Così le nostre capre normalmente producono due litri e mezzo a capo, mentre un esemplare tenuto fermo in un capannone sta sui 7-8 litri».

Martino Patti con la figlia Gaia
La ricerca del benessere animale per
Martino Patti si ritrova chiaramente anche nel modo in cui le sue capre vengono nutrite: «Negli allevamenti intensivi quello che mangia il bestiame è l'
unifeed, il mangime unico. Un grande miscuglio, praticamente una poltiglia, di mais, soia, fibre, sempre identico: ma come è possibile che si nutrano in questo modo animali erbivori? Da noi l'alimentazione è molto diversa, come una volta. Una base di fieno di collina, a basso livello di proteine, una miscela di mangimi semplici con mais rotto, orzo in granella, pisello secco. E poi solo pascolo: niente soia, niente integratori... Questo si riflette direttamente nel latte e nel formaggio. Il pascolo è fondamentale per far star bene le capre, ma anche dal punto di vista organolettico. In base a dove vanno a pascolare cambiano i gusti che troveremo nei formaggi. Questo se vogliamo è il punto di forza, ma anche la debolezza dei nostri prodotti: è difficile standardizzare quel che facciamo, quasi impossibile avere un formaggio sempre uguale a se stesso. Agli chef questo piace molto, al mercato un po' meno».

Prete alle prese con la ricotta del suo amico Martino Patti
Massimiliano Prete, infatti, ha conosciuto
Martino Patti attraverso un altro chef torinese di primo piano,
Matteo Baronetto: «Amicizie comuni hanno fatto sì che provassi i prodotti
Martino. Sono rimasto letteralmente fologorato: freschezza, genuinità, una persistenza delicata, sempre equilibrata. Sono formaggi che immediatamente ti raccontano di un lavoro pulito, trasparente, pieno di amore e di rispetto. Quando ho assaggiato i caprini freschi di
Cascina Badin mi sono reso conto che quello che mangiamo normalmente...è tutta un'altra cosa. E poi ancora nei nostri locali usiamo anche un semistagionato che ha una profondità aromatica davvero straordinaria. Ricordo con grande affetto una giornata passata in azienda: in quell'occasione mio figlio di sette anni ha adottato una delle caprette, e ho impresso nella memoria come
Martino, portando le sue capre al pascolo, salisse sugli alberi per strappare dei rami e far mangiare un po' dei fiori e delle foglie che gli animali non riuscivano a raggiungere. I suoi prodotti sono fantastici, ma la persona che ci consegna questi prodotti è un ulteriore, straordinario, valore aggiunto».

La mitica ricotta di Cascina Badin: «Inoltre - racconta Martino - produciamo robioline fresche, yogurt naturale colato alla greca, i tomini classici piemontesi, una toma che viene venduta fresca, a 30 giorni, che facciamo seguendo un'antica ricetta del territorio, il Tomino di Saronsella. E poi la mia preferita, la toma stagionata»
La trasparenza di cui parla
Prete si ritrova con esattezza nelle parole di
Patti, quando ci racconta nei minimi dettagli i procedimenti che gli permettono di ottenere i suoi formaggi: «Ogni lavorazione viene fatta a latte crudo, senza pastorizzazione. Questo significa conservare profumi e aromi del latte, ma anche grande attenzione all'igiene in ogni aspetto del lavoro. Non abbiamo grandi macchine, il nostro è un procedimento totalmente artigianale. Sai perché la nostra ricotta ha questo sapore speciale? Perché appena otteniamo il siero dalla lavorazione della toma, lo riutilizziamo immediatamente: nel paiolo di rame e si fa la ricotta. Negli stabilimenti intanto aggiungono acido citrico e acido lattico, così aumentano la resa fino a triplicarla. E il siero arriva nelle autobotti, da tanti paesi diversi d'Europa, congelato o liofilizzato. Il nostro è un prodotto artigianale e come tale ha un costo molto diverso: uno dei motivi per cui ho grande rispetto per
Massimiliano è che non mi ha mai chiesto di garantirgli un determinato prezzo. Lui paga il prezzo giusto, quello che compensa il nostro lavoro».
E poi ancora:
Martino Patti vuole spiegarci anche che «c'è un motivo per cui i nostri formaggi non hanno quel gusto un po' selvatico, quel gusto "di capra" che a molti non piace, perché troppo forte. Come dicevo l'igiene e la pulizia da noi sono obbligatorie, cambiamo le lettiere delle capre due volte al giorno, così quando si sdraiano per ruminare e per riposare, le mammelle poggiano sul pulito. Là dove questo non succede, le mammelle, che sono porose, assorbono gli odori che poi si ritrovano nel latte e quindi nel formaggio».


«E poi - prosegue come un fiume in piena - l'altro nostro punto fermo è la stagionalità: le capre vanno in calore a fine agosto, inizio settembre. La montatura da noi è assolutamente naturale, non facciamo inseminazioni. E durante la gravidanza la quantità di latte diminuisce, finché non arriva la cosiddetta "asciutta": da dicembre a febbraio le capre si fanno riposare, non vengono munte. Per cui per in questi mesi noi formaggi freschi...non ne facciamo, abbiamo solo gli stagionati. Ovviamente negli allevamenti intensivi tutto questo non succede: il mercato vuole il prodotto tutto l'anno. Noi però non lavoreremo mai così».
Sono valori importanti quelli interpretati da
Martino Patti, principi di cui abbiamo uno straordinario bisogno. Tornando alle parole di
Massimiliano Prete, è un obiettivo di grande rilevanza riuscire a sostenere i produttori che incarnano tali valori: è lo spirito con cui è nata l'iniziativa
Adotta un produttore lanciata dall'associazione
Ambasciatori del Gusto (che vede proprio
Prete e
Patti accoppiati), è lo spirito con cui
Prete ha fatto nascere un'altra pizza nuova, questa volta con la voglia di dare una mano a
Pasquale Bonsignore, dell'azienda
Incuso. «
Pasquale mi ha chiamato - racconta
Prete sorridendo - e mi ha chiesto di aiutarlo. Non che noi ristoratori ce la stiamo passando bene, però quello che si può fare si fa. Così ho usato il suo pomodoro datterino del Vesuvio giallo e rosso per la
Pomod’Oro, ultima creazione in carta, e in uscita mettiamo
Gran Kinara, basilico e olio evo.
Incuso è un’altra piccola straordinaria realtà artigiana i cui oli e pomodori pregiati sono sinonimo di eccellenza assoluta».