Oggi non si può parlare del mare senza riferirsi all’etica. E se è vero che i cuochi ambiscono ad aprirsi uno spazio per esercitare un ruolo influente da nuovi intellettuali, allora di questo ruolo devono anche sapersi assumere la responsabilità. Se poi, tra questi, c’è addirittura un cuoco dal pugno politico come Franco Aliberti, può addirittura accadere che i piatti di una cena finiscano per comporre un piccolo pamphlet di bruciante attualità.
E al secondo dei tre appuntamenti della rassegna “Sinergie”, che vede svolgersi in questi mesi un piccolo tour tra le cucine dei protagonisti - Franco Aliberti dei Tre Cristi di Milano, Marco Visciola de Il Marin di Genova e Alessandro Ravanà de Il Salmoriglio di Porto Empedocle -, questa cosa è accaduta superando forse le loro stesse intenzioni.
Nel progetto dell’evento, ognuno di loro ha infatti il compito di “sfidare” gli altri su un piatto della propria trazione - personale e territoriale - e se lo scorso luglio
Aliberti ha scelto la pasta al pomodoro e il prossimo ottobre
Visciola proporrà la pasta al pesto,
Ravanà ha aspettato i colleghi in Sicilia al varco della
Zuppa di pesce. Un tema che li ha chiamati tutti e tre non solo ad una reinterpretazione imperniata - al pari delle altre due - su un impatto frontale con la materia prima da trattare, ma anche ad alzare lo sguardo verso quel Mediterraneo che qui a Porto Empedocle si apre a cento metri dalla finestra del ristorante: con tutta la sua bellezza, certo, ma anche con tutto il suo, talvolta lugubre, carico di domande sul futuro.
Così per primo
Alessandro Ravanà, che si misura ogni giorno con questa frontiera innanzitutto fisica, non ha potuto fare a meno di dedicare la sua zuppa al pensiero degli sbarchi sull’Isola.
L’altra marea, l’ha chiamata, mettendoci dentro tante cose: il rischio dell’altro che affronta le onde, il "mare grosso", e il nostro compito di incontrarlo da questa parte. L’ha immaginata come una crema di patate alle spezie cotta col brodo di pesce, nella quale immergere le seppioline ripiene delle loro interiora, condite con limoni in salamoia - esplicito richiamo arabo -, l’olio di rucola e una terra nera fatta di mollica di pane e nero di seppia. «Ho pensato a questo piatto perché, a guardarlo da qui, talvolta anche il mare ci sembra incupito per il pensiero di questo dramma, per tante morti», spiega
Ravanà: «Purtroppo noi siamo cuochi, non possiamo far molto. Ma anche cucinando possiamo dire la nostra su quel che ci accade intorno, su una vicenda di cui qui in Sicilia conosciamo a fondo la realtà».

L’altra marea di Alessandro Ravanà
Se nell’immaginario di
Ravanà il Mediterraneo rischia di diventare un cimitero di umani, in quello di
Franco Aliberti si sta trasformando invece in un cimitero di pesci. E con un mare senza pesci, senza pesce dev’essere anche la zuppa, che diventa invece d’alghe e di coralli.
Il mare che vorrei parte dal disegno del mare che c’è: un fondo deserto di lische di pesce - ricreate come delicati cracker di alghe cotte e frullate - annegate insieme al corallo al pomodoro in un brodo di alghe dal sapore di scoglio. Al fondo una speranza: le uova, che però in questo caso sono quelle di lumaca - la madonita di
Davide Merlino - sapide come gli ingredienti di una vera zuppa di pesce e sostenibili come quelli di una cucina che non prosciuga la natura. «Nel mio ristorante, a Milano - racconta
Aliberti - volutamente ho scelto di non usare il pesce di mare, a meno che non sia di provenienza certificata. Questo piatto di pesce senza pesce l’ho fatto, proprio nella bel mezzo della
Climate Week, per lanciare una provocazione, per spingere la gente a pensare».

Il mare che vorrei di Franco Aliberti
E alla fine, a ridisegnare davvero il futuro ideale dell’ambiente marino come un concentrato di biodiversità in un rapporto equilibrato con l’uomo, ci ha pensato
Marco Visciola col suo
Abissi: tracine, scorfani, triglie, pesce prete, cozze, cannolicchi, gamberi biondi, tutti i pesci da zuppa lasciati però nudi e crudi, nella loro essenza, appena bagnati da un brodo di alghe arricchito dalle lische, per ricreare anche visivamente il paesaggio sottomarino. Un piatto leggero e contemporaneo, pensato con grande cura.
La cena non poteva chiudersi, però, senza un assaggio dell’ispirazione tradizionale che l’ha generata. La
Ghiotta alla marinisa, la tradizionale zuppa di pesce di Porto Empedocle con lo spaghetto spezzato, in questo contesto ideale rientra pienamente per la sua intrinseca storia di sostenibilità: un piatto che i pescatori fanno con quel che c’è, con quel che semplicemente arriva dal mare, da sempre.

I tre chef con Mario Cucci
Il Grillo e il Cataratto
Vigna di Mandranova - rigorosamente biologici - di
Alessandro di Camporeale hanno accompagnato le "zuppe" gourmet, il profumatissimo Etna Rosso prodotto nella neonata micro azienda di
Giulia Montelone la zuppa tradizionale: due partner ideali per quesi tre giovani grintosi, così capaci di dimostrarsi visionari dentro un così profondo rispetto delle proprie origini e della propria identità.

Visciola e Aliberti con Anna Alessandro e Giulia Monteleone
Il prossimo appuntamento con loro sarà il 24 ottobre a Genova, al ristorante
Il Marin di
Visciola, con la pasta col pesto.