Capitiamo Da Vittorio a Brusaporto, Bergamo, il giorno dopo l’assegnazione record della Stella a Shanghai, la quinta della famiglia Cerea dopo le 3 qui nella bergamasca e Sankt Moritz (poi ce ne sarebbe una sesta, arrivata anni fa in Maremma ma il capitolo è chiuso). «Siamo davvero molto felici del riconoscimento in Cina», spiega il primogenito Chicco, «perché significa che abbiamo scelto bene partner, luogo e progetto».
Altri progetti si affacceranno presto all’orizzonte, ma ieri eravamo alla Cantalupa per un pranzo organizzato da Hanamaruki, azienda giapponese leader mondiale nella produzione di pasta di fagioli di soia o pesto di miso, sbarcata da poco in Italia per presentare un prodotto inedito (quasi). Si chiama shio koji, un vocabolo che abbiamo già letto qua e là nei menu dell’alta cucina nostrana ma ancora scarsamente inteso. È prodotto dalla fermentazione e dalla stagionatura naturale di una miscela di malto di riso, acqua e sale, senza altri addittivi.
Ha una triplice funzione: si utilizza per marinare e intenerire le carni («Il pesce meglio che la carne, nella nostra esperienza», suggeriva lo chef), mitigare i forti aromi di carne e pesce e accelerare il sapore dei piatti, grazie alla proprietà che ha di decomporre le proteine in amminoacidi.
Abbiamo assaggiato un menu interamente a base di shio koji, un prodotto che esiste sul mercato due versioni, una strong e una più light (a Milano si può trovare da Katai, in via Canonica). Oltre alla caratteristiche di cui sopra, questo condimento dà l’innegabile vantaggio di accelerare decisamente i tempi delle marinature nelle cucine: il signature foie gras in finta castagna a Brusaporto è normalmente marinato in sale, pepe e Porto per 8 ore; con lo shio koji il tempo è drasticamente ridotto a un’ora e mezza. Un notevole acceleratore che intenerisce le sue vittime, finendole a colpi di umami. «Ma, se lo shio koji accelera i processi in cucina», spiegava con arguzia Cerea, «è perché prima c’è tutta la lentezza del processo di fermentazione di chi l'ha prodotto».


Le bottgliette di shio koji, a Milano in vendita da Kathay, via Canonica
Da Vittorio l’abbiamo trovato spennellato e adagiato per soli 10 minuti sullo Spaghetto di tonno (con bagnacaudda e crumble di pistacchio), a marinare per lo stesso tempo uno Scampo con barbabietola glassata; sulla schiuma di zucca che accompagnava dei clamorosi Ravioli del plin con zola e bisque di granchio reale. E ancora, per mitigare il carpaccio ferroso del petto di piccione del risotto; sulla gelatina di prugne che sormontava la carne (brasata perfettamente) e persino nel caramello che orla la leggendaria millefoglie a fine pasto.
A volte si limitava a intenerire le carni, altre giocava da succedaneo del sale (non abbiamo mai visto alcun granell o cristall made in Europe per tutto il pasto), altre ancora sprigionava una carica importante di umami. Ma forse, si notava tra i commensali, la sua funzione più saggia la svolgeva quando il palato non l'avvertiva, segnale che aveva compiuto la sua funzione di sostituto.
Avvertenza: in fase di marinatura, lo
shio koji va usato in percentuali tra il 6 e il 12% del peso della materia prima su cui si posa. Di seguito, tutti i piatti del menu dei
Cerea.

Foie gras marinato nello shio koji

Spaghetti di tonno con shio koji, bagnacaoda e crumble di pistacchio

Scampo grigliato, marinato nello shio koji, barbabietola glassata, crema di ricotta di bufala

Risotto con funghi porcini, carpaccio di piccione marinato nello shio koji e sake amazake

Manzo brasato nel sake, con gelatina di prugne e shio koji

Millefoglie caramellata con mele renette e mou marinato nello shio koji