Il duemiladicianove è cominciato da poco e nel mondo della ristorazione (come un po’ in tutti i settori) si guarda già al nuovo, cosa funzionerà e cosa si guarderà con rinnovata curiosità anche quest’anno. Roma, come spesso abbiamo raccontato, sta vivendo in campo gastronomico una sorta di rinascita, di nuova vitalità imprenditoriale, giovane e creativa, in forte controtendenza con quello che è il vissuto quotidiano cittadino. Si aprono nuovi posti e si cerca di portare avanti un’idea di cucina che non sia solo tradizione e romanità, ma che sappia guardare avanti con quel coraggio figlio proprio dall'avere una forte carica identitaria (se hai radici salde, puoi aprirti al mondo).
Esiste anche tutto un movimento che sta dando alla Capitale una nuova idea di cucina orientale, niente più i visti e rivisiti ‘vvottini plimavela o paghetti di soia (passatemi l’accento pechinese) a riempire menu preconfezionati a nastro e bustoni surgelati di gambeletti.
Un movimento fatto di attenzione e cura del prodotto e nel piatto, che strizza l’occhio all’Oriente ma che lo fa rinnovandosi di continuo. Il ramen e i gyoza (il raviolo al vapore, per i "non cinesi") sono entrati di diritto nella nuova mitologia culinaria romana; più di qualche locale si sta distinguendo per qualità e inventiva, anche se qualcuno ha subito storto il naso pensando di non poter vivere senza carbonara e cacio e pepe.

Giuseppe Milana, a destra, con Davide Frattali, che cura la sala
Tra le fila di queste (quasi) nuove aperture troviamo
Umami, una delle ultime creature di
Marco Pucciotti, giovane imprenditore che ha al suo attivo una lista di locali di qualità da leccarsi i baffi (
Sbanco, Blind Pig, SantoPalato eccetera).
Marco è un creativo della ristorazione e non poteva mettere nella
sua cucina un
Signor Chen qualsiasi; quindi ha scelto quello che, a detta di molti, è il prossimo astro nascente della tavola a Roma (e non solo), lo chef
Giuseppe Milana, siciliano di Caltanissetta, classe 1988. Lui è arrivato qui nell'Urbe dopo alcuni anni nella brigata di
Filippo La Mantia, ed un periodo al
Majestic e al
Pataclara. Ora ha costruito con
Pucciotti appunto
Umami, per chi scrive un piccolo capolavoro gastronomico.
Lo chef, ispirato tanto dall’esperienza con
La Mantia quanto dal lavoro di
Carlo Cracco e
Massimiliano Alaimo, è saggiamente convinto che la cucina italiana non deve temere il confronto e la contaminazione con l’estero. Nemmeno con quel minimalismo nordico che (strano a dirsi) ritroviamo nei suoi piatti orientali di
Umami. Lavora con disinvoltura ingredienti diversi, dal prediletto foie gras alla birra.
Ma il menu di
Umami dunque non si ferma certo sul Raccordo Anulare. Come ci spiegano gli stessi
Milana e
Pucciotti, la tradizione che portano in tavola non è quella di S.Giovanni, ma quella della regione del Kanto (l'area di Tokyo e Yokohama per intenderci); con i loro piatti, cercano di abbinare intelligentemente la qualità dei piccoli produttori locali alle tecniche moderne. Si parlava prima di ramen, e qui apriamo un capitolo straordinario, fatto di tanta cura e preparazione per un piatto difficile da trovare nelle corde di un chef italiano.
Milana ha saputo fare sua quella preparazione straordinaria (dovete provarla) e in varie versioni, pensiamo soprattutto al ricchissimo Umami Ramen che, con ben sedici ingredienti diversi in ciotola (si dice così?), riesce a toccare corde davvero notevoli. Ovviamente non mancano i classici tempura e gyoza, ma se vi aspettate sushi e sashimi lungo un nastro meccanico avete sbagliato posto.
Una nota particolare va spesa per i noodle che compongono il ramen, preparati a mano a Roma come si faceva una volta la pasta all’uovo. E per lo
Shabu Shabu, un piatto molto in voga nei ristoranti turistici di Tokyo, ma nato nel
Suehiro di Osaka nei primi del Novecento. È un piatto che prevede la cottura contemporanea di carne e verdure insieme: per i giapponesi è la quintessenza di quello che loro considerano l’
umami e cioè il quinto gusto, il "saporito".
Chiude il tutto una selezione di sake senza precedenti, che asseconda una
scoperta, diciamo così: non è un liquore da fine pasto come spesso ci hanno portato a credere, ma il giusto
vino da sorseggiare in queste occasioni.
Non per moda o per snobismo, ma per bravura e scelta, il siciliano
Milana si trova insomma a Roma a proporre egregiamente una cucina fatta quasi esclusivamente di piatti orientali, in una trattoria giapponese. Che una maggiore consapevolezza culinaria possa passare anche da qui?