L’antefatto: Daniel Burns, chef ex Momofuku, ex Noma, ex Luksus (insegna a New York famosa per aver preso la stella senza tenere nemmeno un vino in carta) vuole aprire un gelato-shop nella Grande Mela. «Vorrei portare la mia esperienza di ristoratore», ci spiegò, «all’interno di una gelateria. C’è ancora molto da fare. Potete mettermi in contatto con i vostri gelatieri più bravi?». Ma certo.
Appena dopo Identità Milano, abbiamo agganciato il canadese a due assi del gelato nostrano, relatori al congresso concluso da poco: Paolo Brunelli da Senigallia, nelle Marche, e Simone Bonini di Carapina a Firenze. Un viaggio di qualche giorno al cuore del gelato italiano che ha lasciato Burns entusiasta: «Che esperienza fantastica!», ci ha scritto poco fa, «sono stati entrambi così aperti e pronti ad aiutarmi... Hanno rafforzato le miei idee su quel che voglio fare. Mi hanno ispirato così tanto che non so come ringraziarvi».
Lo scambio di idee è stato reciproco, scopriamo sentendo Brunelli e Bonini. «Non ci conoscevamo», racconta il marchigiano, «ma Daniel si è dimostrato da subito una persona squisita. Mi premeva rafforzare il concetto che più ci sta a cuore: circoscrivere il gusto del gelato italiano, che non può che fondarsi su ingredienti di primissima qualità. Ci siamo trovati d’accordo sulla percentuale di grassi che separa l’ice-cream dal gelato: il primo si attesta attorno al 15%; il nostro, quello vero, al 6%. Esprime una pulizia di gusto ben diversa».

Burns e Brunelli in visita alla Madonnina del Pescatore di Senigallia (Ancona). Foto facebook/Abbadir
Burns girava armato: nelle tasche, del malto d’orzo e della palmaria palmata, alga simbolo della new wave nordica: «Dopo avergli illustrato il nostro metodo di estrazione dalla fava di cacao, abbiamo unito la palmaria al nostro gelato al cioccolato. Un esplosione di dolce e umami. Era contento come un bambino. E pure io». Appena dopo, era incuriosito a rimestare gelato in una vecchia macchina verticale”, a bastone».
È qui che è arrivato l’invito di
Moreno Cedroni: «Venite a cenare alla
Madonnina!», il messaggio whatsapp. Detto fatto:
Burns e
Brunelli vanno a cena a Marzocca, dove il sous chef
Luca Abbadir gli serve un piatto
nomiano, in omaggio all’esperienza che hanno fatto entrambi a Copenhagen. «Ci siamo ripromessi di rivederci», il commiato di Brunelli, «condivisioni così non è che capitano tutti i giorni».
Anche il soggiorno fiorentino è stato fecondo: «L’ho fatto impazzire», scherza
Simone Bonini in collegamento skype da Dubai, dove ora è ospite per due cene del
Borro bistrot, «gli ho fatto anche da guida turistica, mostrandogli quei posti cui i turisti raramente accedono. Era entusiasta». Sul fronte gelato, «Gli ho spiegato che non occorre vergognarsi di usare tuorli freschi pastorizzati, se esistono industrie che lo sanno fare bene. Gira troppa retorica fasulla nel nostro mondo».
Bonini lo ha introdotto alla sua missione di serializzazione: «Pesate, bilanci e polveri calibrate al millimetro. Il preludio a un progetto di customizzazione per scavalcare l’antico dogma: ‘se non ci sono io personalmente in quella gelateria il prodotto non verrà buono’. E invece è possibile, a patto di trovare personale giusto e preparato, la vera croce per gli operatori del nostro mestiere.
Burns era molto incuriosito e d’accordo su questo».
Ora rimane da capire come
Daniel Burns metterà a frutto questa miniera di informazioni. Di certo non ci troveremo di fronte a un classico gelato-shop.