Non è la Terra dei fuochi, nè pizza soltanto. Non è Gomorra e nemmeno Pulecenella. È un’altra terra, che nessuno aveva mai visto, o forse è soltanto una terra che finalmente ha scoperto se stessa. Ci voleva uno della stazza di Gennaro Esposito per demolire, con rigore degno d’un uomo di scienza, i luoghi comuni che pesano sulla Campania. E ci voleva Festa a Vico per sparigliare le carte, riscrivere la geografia di questi luoghi, illuminare di un’altra luce l’incanto del lungomare a Seiano. Il canto delle sirene di Vico Equense suona anche quest’anno, per la tredicesima volta si torna a Surriento. La Repubblica del cibo spalanca di nuovo le porte a «350 chef, 55 aziende vinicole, 40 artigiani e speriamo diecimila persone per almeno 148mila e un euro di beneficenza: un soldo in più rispetto all’anno passato». Gennarino dà i numeri e riscrive la smorfia, tredici nella sua cabala non sta per Sant’Antonio, ma per una cifra porta fortuna che vale il successo di Vico Equense e della festa più bella della cucina italiana. Ma la cifra-amuleto del cuoco di Torre del Saracino è il numero sette: tanti sono i personaggi dietro le quinte che da quasi tre lustri stanno al suo fianco per mettere in piedi questa specie di rivoluzione gaudente dell’alta cucina, che per tre giorni perde l’ingessatura e torna umana. Ma senza i magnifici sette, Festa a Vico non sarebbe mai stata, Gennaro lo sa: nessuno si salva da solo.

Vittoria Aiello (foto di Giuseppe Corsini)
Vittoria Aiello. È il décolleté più generoso di
Festa a Vico, miscela di femmina mediterranea ovvero un concentrato di erotismo e dolcezza. Coordina le onlus a cui vengono destinati gli incassi, le segue logisticamente, si occupa degli accrediti per i cuochi in arrivo e dell’accoglienza. La sua dote più grande? «L’ostinazione nel voler raggiungere un obiettivo sempre più alto di solidarietà», parola di
Gennaro Esposito. Anno zero, lei c’era già. Per la prima volta il Sud Italia ospitava il rendez-vous dei Giovani ristoratori europei, i vicani colsero l’occasione per apparecchiare il baccanale più festoso che si sia mai visto e più di qualcuno disse: bisogna rifarlo. Così è stato. Arrivati alla terza edizione la manciata di cuochi della prima volta era già diventata una fiumana di gente e il topolino partorì la montagna: «Una nostra amica aveva avuto bisogno del Santobono, l’ospedale pediatrico, per il piccolo
Lorenzo – racconta
Vittoria –, c’è voluto poco per decidere che dovesse diventare una festa solidale». Il batticuore più forte? «Vedere con i miei occhi, accanto al dottor
Antonino Tramontano, inaugurare il reparto di Terapia intensiva per i bambini. Di fronte al dolore, là dentro ti senti sempre piccolo, ma quella volta pensai: ce l’abbiamo fatta». Il ricordo le spezza la voce, ma come solo la gente di questi posti sa fare, un attimo dopo sono grasse risate. «Quanti ricordi… come quell’anno che io e
Salvatore La Ragione abbiamo lavato piatti di porcellana e forchette fino alle cinque del mattino. O quell’altra volta quando dal terrazzo sentimmo intonare in spiaggia
‘O sole mio: era
Karl Baumgartner, voce da brividi, come l’applauso che gli dedicammo in quell’alba che non dimenticherò mai.
David Aiello. Parla poco. Si rifugia in retroguardia, il suo posto è dietro le quinte, per temperamento e per scelta. Factotum e specialista in problem solving, dall’attacco dell’energia elettrica al reperimento dell’animella di vitello allevato allo stato brado nei campi del Tennessee (così, per dire). È il Giobbe di
Festa a Vico, uomo dalla monumentale pazienza, come
Gennarino gli riconosce a due mani: «Ha un grande senso di controllo delle cose, mantiene la calma anche in situazioni molto difficili, sorride anche quando gli verrebbe da piangere», chiosa lo chef. Una cosa brutta, una soltanto,
Festa a Vico ce l’ha per
David Aiello: «Per almeno tre mesi mi tiene lontano dalla mia famiglia che vive a La Spezia, da mia moglie e dai miei figli che hanno due e otto anni». È l’unico neo, l’unica ombra. Per il resto questa festa in costiera porta anche la sua faccia e la gioia impagabile di «ritrovare tutti almeno una volta all’anno, riuscire a realizzare progetti che mai avresti immaginato». E poi «le nottate dopo la festa, pance di risate enormi che scoppiano subito dopo aver litigato», si ferma, riflette, e la chiusa è d’orgoglio «Siamo pochi e sfigati, ma l’hai vista mai una festa così?».
Giovanna Virgilio. «Pronto sono
Giovanna di
Festa a Vico», moltiplicare per trecentocinquanta volte, e ancora per tre, il risultato fa che
Giovanna ha dimenticato il suo cognome per acquisire un’altra identità – che le calza a pennello. È lei che si occupa della parte tecnico-logistica a servizio dei cuochi, chi cucina dove e quando (come, ognuno lo decide per sé), assegna le postazioni.
Giovanna è una grandissima lavoratrice e con
David divide il primato della pazienza». Se si è mai chiesta chi glielo fa fare? «Mah, un po’ è la passione, un po’ il cuore», e un po’ di nervi a pezzi?, «può darsi, ma solo dopo il primo giugno», ovvero a Festa finita. Organizzatrice di eventi per professione, per
Giovanna l’orgia di gastronomia en plein air di Vico Equense è l’ultima tappa di una parabola gastro-esistenziale iniziata al
Gambero rosso accanto a
Stefano Bonilli: «Uno sguardo avanti a tutte le cose di almeno dieci anni, una persona fuori da questo mondo per intelligenza, cultura e umanità. Ovviamente senso pratico zero», sorride. L’apprendistato accanto al maestro deve averla temprata, rendendole agevole questo barcamenarsi in mezzo a centinaia di toque come se nulla fosse. Se fra i cuochi si annidano campioni di stalking, gente che al solo vederla comparire sul display del cellulare, oggesù? «Ma no. Il nostro è un disordine organizzato, ogni cosa miracolosamente va al suo posto, chi viene qui lo sa e sa anche che il pressing preventivo è inutile. Chi non ci sta, e sono pochi, si autoelimina, ma noi non abbiamo mai detto di no a nessuno». «Di bello, di davvero bello – conclude - è che a Vico gli chef tornano ad essere persone, si divertono e questo li rende più disponibili ad adattarsi, più malleabili, altrimenti non verrebbero».
Giovanna Festa-a-Vico deve avere ragione, se è vero che su questa costa ci tornano tutti ogni anno.
Luigi Dell’Amura. Il signore del
Moon Valley è l’addetto ai sonni tranquilli di
Festa a Vico, il responsabile dei pernottamenti ma anche l’uomo che sa tutto su arrivi, partenze, quante notti, chi arriva in tre invece che in due e non c’è dubbio: «La sua più grande dote è la diplomazia»,
Gennaro dixit, e se non lo sa lui.
Luigi e il cuoco di Torre del Saracino prima che compagni di ventura sono amici di infanzia. Prima di diventare master chef, «ha mosso i primi passi nella pasticceria di suo zio, avevano l’attività di fronte alla nostra. Faceva i gelati, il ragazzo del bar, lui lo ricorda sempre, non ha mai rinnegato le sue origini, né gli amici di sempre».
Luigi fra questi. Agli esordi della Festa vicana gli disse: «Dacci una mano, trovaci le camere: 300 camere prenotate in un paesino di 20mila abitanti per un totale di 400 posti letto, sono numeri che rendono l’idea di quello che accade per tre giorni all’anno da queste parti. Grazie a
Gennaro».
Luigi Dell’Amura ha visto crescere la Festa fra le sue mani, «all’inizio era tutto più semplice, tutto più piccolo. Questa cosa è esplosa fra la terza e la quarta edizione assumendo le dimensioni attuali. È tra le poche occasioni in cui centinaia di chef, di livello, mettono da parte l’antagonismo e la rivalità professionale per fare festa. Lo spirito è goliardico, quello è rimasto lo stesso delle origini», e non avrebbe nessun senso se così non fosse.
Alfredo Varone e Maria Oddone: Quando
Gennaro parlò per la prima volta di aprire i negozi del centro e trasformarli in cucine, il consesso di amici intruppati per l’occasione, lo guardò come si guardano i folli.
Isaac Asimov non avrebbe saputo concepire di meglio, o di peggio, a seconda di come la vedi. Il foie gras in farmacia? La tartare nel negozio di scarpe? Il macco di fave con gli occhiali da sole? Why not.
Alfredo e
Maria l’hanno presa di petto, adoperandosi per trasformare un paese intero in una enorme cucina. «Sono loro ad abbinare gli chef ai commercianti, a coordinare il tutto, compresi gli allestimenti – spiega
Gennaro –.
Alfredo nella vita è un avvocato, ha l’atteggiamento giusto per gestire certe dinamiche. E poi affronta la parte degli spettacoli di
Festa a Vico oltre agli ingressi con relativa sicurezza… ed è la cosa che non ha mai funzionato», lo chef se la ride. «La nostra scelta di esserci nasce dall’euforia contagiosa dello chef – spiega la coppia – tante cose belle sotto il profilo della solidarietà, della contaminazione culinaria. È un momento magnifico, il trionfo di tutte le cose belle di questa terra, l’accoglienza, il cibo, la capacità di integrarsi, di fare squadra: chi l’avrebbe mai detto che saremmo stati capaci di accendere i riflettori dell’intera nazione su Vico Equense?».
Gennaro, lo aveva detto. O almeno sperato.
Rosaria Savarese. Se
Kakfa fosse nato a Vico Equense di certo non avrebbe scritto il Castello, ma qualcuno doveva pure immolarsi nel nome della Letteratura mondiale.
Rosaria Savarese, dirigente del settore Attività produttive nel Comune salernitano, è l’anti-burocrazia, 36 anni di vita in municipio e circa due lustri di Festa all’attivo. Non solo «coordina l’orchestra dei commercianti – spiega
Gennaro – organizza tavoli, banchi, luci, viabilità, attrezzature. È una delle poche persone che pur avendo una carica istituzionale, vuole veramente bene al proprio paese», l’antinomia si capisce.
Rosaria, con semplicità, rovescia i clichè dell’Italietta impantanata fra faldoni e carte bollate, a Sud più altrove. è il punto di raccordo fra la politica, i sindaci di destra sinistra e centro che si sono avvicendati nel tempo, e la comunità. Se
Festa a Vico fosse l’insegna di un ristorante,
Rosaria sarebbe la signora di sala, quella che ha un occhio su tutto, che spazza via le indolenze, scioglie i nodi e si premura di rammentare «che non si può non esserci», quando è il momento. Se la politica si è mai messa di traverso? Esita mezzo secondo, «ma no, ho sempre avuto piena disponibilità delle amministrazioni», liquida sbrigativa, «solo un orbo non vedrebbe quale miracolo è questa Festa». Ce n’è quanto basta e avanza per pensare di candidare
Gennaro Esposito a primo cittadino della città: «
Gennaro sindaco? Magari! Ci può rappresentare a Vico e nel resto mondo».