L'umanista Antonia Klugmann fonde i concetti di creatività e territorio in un unico principio, con la prima a trarre linfa dal secondo grazie all'intermediazione necessaria e anzi fondamentale dell'uomo - in questo caso lo chef o la chef - che ne fornisce interpretazione fondata anche sulla propria personalità cangiante. Per questo il "territorio" non è concepibile come luogo statico; per questo il menu degustazione di Antonia a L'Argine (speriamo di poter tornare al più presto a gustarlo!) si chiama Territorio: Vita in Movimento: «Cos'è il territorio? Non una cosa sola. Innanzitutto è ciò che ci circonda, ovviamente, ossia l'ambiente in cui un ristorante è inserito. Ma poi è anche la somma della storia e dei ricordi delle tradizioni locali di un'area», come dire il terroir. E infine «c'è anche un territorio interiore, personale, costituito di memoria, emozioni, interazione». Risulta quindi - proprio perché "emotivo" - un qualcosa di mutevole, «cambia con te. Credo che la cucina sia tanto più sincera quanto maggiormente diventa espressione di tale mutamento. L'analisi di sé risulta dunque essenziale affinché tale processo sia effettivo e di conseguenza davvero creativo; noi siamo insomma centrali in questa interazione». Umanesimo culinario.

Antonia Klugmann con Carlo Passera a L'Argine durante la registrazione della masterclass di Identità on the road, per iscriversi cliccare qui
Detto in altre parole, come si fa a essere creativi, a dire qualcosa di diverso, di fronte a un ingrediente così comune, così utilizzato, così studiato come un pomodoro? «È evidente che chi si muove è il cuoco». Il centro non è il pomodoro, nella cucina creativa; semmai quello che il pomodoro - per il luogo in cui ci si trova, per la sua storia d'utilizzo gastronomico, per le tradizioni che richiama, per il suo utilizzo effettivo e contemporaneo - esprime e suggerisce alla sensibilità dello chef, ulteriormente influenzata dai sentimenti, dai ricordi, dalle esperienze personali. Quasi la toque fosse insieme un filtro e un motore: «Sono la mente e le emozioni del cuoco che modificano gli ingredienti. È una sfida interessantissima».
Si parla di pomodoro non a caso, perché tale frutto - con il cavolo nero - e al centro di un nuovo piatto presentato dalla Klugmann a Identità on the road, «l'idea è di realizzare una madeleine gustativa, ossia di riportare nella cucina della nonna, con la stufa a legna sulla quale un tempo si preparavano le zuppe». Una rievocazione resa contemporanea e che parte dall'orto di fine estate, quando i pomodori non sono più brillanti e presentano un'acidità più spiccata.

Antonia Klugmann in cucina
Che farne? Tante cose,
Antonia ben quattro in questo caso: un'acqua di pomodoro, quindi la polpa "scarto" dalla filtrazione che viene utilizzata per preparare un aceto di pomodoro («Non se ne trovano in commercio, di questi aceti. Ne abbiamo preparati di caco, prugna, fico... Ti permettono di sfruttare fino alla fine la vita di un ingrediente e di dargli senso». La chef spiega bene i passaggi della sua realizzazione nella masterclass), poi una glassa di pomodoro ricavata riducendo all'estremo una parte della suddetta acqua (andrà a glassare il cavolo nero) e infine una salsa di pomodoro (preparata sempre senza soffritto, quindi "alla
Klugmann", che aggiunge semmai un po' di friggitelli su una base d'olio evo e aglio, e poi a metà cottura della cipolla non rosolata), va in forno con un filo d'olio a crudo, a caramellizzare e diventare un concentrato. Il tutto s'abbraccia al cavolo nero appena sbollentato: le foglie più grandi che faranno da involtino, quelle più piccole stufate con aglio e olio («Un gusto che è tra le passioni della mia vita»), poi frullate con altro evo a crudo, la crema che si ottiene si spennella sulle foglie di cavolo insieme al concentrato pomodoro. I fagottini che se ne ricavano andranno in forno, prima di essere conditi con una salsa che comprende l'aceto, l'acqua e il concentrato (di pomodoro) e la crema (di cavolo nero).
L'assaggio è clamoroso: natura, natura, natura. Come quella che circonda
L'Argine, e quell'altra che caratterizza anche il
Venissa, dove conoscemmo la
Klugmann qualche anno fa. Sempre posti fantastici... «Ogni creativo, qualsiasi sia il suo ambito, è ispirato dalla bellezza, fonte di benessere. Lo dicevo anche prima: occorre conoscere sé stessi per ottenere una creatività longeva, che non duri una stagione sola. Imparando a conoscere me stessa ho scoperto che dovevo avere un luogo tutto per me, che fungesse da stimolo costante. Vencò rappresenta proprio questo». Ma quando nasce l'amore di
Antonia Klugmann per il mondo vegetale? «Fondamentale è stato l'incontro con la famiglia
De Prà al
Dolada di Pieve d'Alpago. Sono stata da loro tipo 16 anni fa, per uno stage: avevano un orto meraviglioso. Poco dopo ebbi un incidente d'auto, fui costretta a smettere di cucinare per circa un anno, anzi avevo il terrore di non poterlo fare mai più. Impossibilitata ad andare ai fornelli, iniziai a pensare ai piatti nella mia mente; e appena fu possibile, creai il mio primo orto. La mia famiglia non mi aveva educato all'agricoltura: il fatto di esserci arrivata per scelta e in età adulta è stato importantissimo». Era l'epoca in cui l'Italia imparava a conoscere meglio
René Redzepi e il suo foraging contemporaneo: «Quindi ho messo insieme quello che leggevo da colleghi come lui; il mio studio personale, tra libri di botanica e passeggiate in campagna; e la tradizione del territorio, in Friuli la raccolta delle erbe spontanee c'è sempre stata».

Capellini cotti in brodo d’arancia, tuorlo d’uovo e melissa
E certo la natura è molto presente anche nel secondo nuovo piatto della
Klugmann:
Capellini cotti in brodo d’arancia, tuorlo d’uovo e melissa, dunque una pasta che consente una cottura rapidissima (prima in acqua per 40 secondi e poi soprattutto in un brodo d'arancia ottenuto cuocendo l'agrume a vapore per cinque minuti e poi essiccandolo intero per tre giorni, quindi mettendolo sottovuoto con dell'acqua per una settimana. Se ne ricava un brodo che va concentrato con evo e sale). I cappellini sono "conditi" con tuorlo d'uovo bio cotto pochée nella pellicola, la melissa a dare una nota citrica, l'acetosella per quella acida, un goccio di succo d'arancia, olio evo e una zucca marinata sottovuoto con zucchero di canna e sale, essiccata e trasformata in una sorta di bottarga - della quale richiama anche l'aspetto - da aggiungere tagliata a lamelle.