«Roma col sole: così bella che non ripartiresti mai». Comincia col sospiro di Paolo Marchi la clip di Identità on the road dedicata a Anthony Genovese, punta di diamante della cucina d’autore capitolina, in via Banchi Vecchi. Il cuoco comincia dai ricordi d’infanzia: «Ho radici calabresi ma sono nato in Alta Savoia. Di quegli anni ricordo il freddo. A mio papà mancava il sole, e a 6 anni mi ritrovavo già a vivere vicino a Cannes».
FRANCIA. E l’amore per la cucina, quando nasce? «Non subito perché da bambino volevo guidare i treni: sono cresciuto davanti a una stazione ferroviaria. Poi però mi mandarono a studiare all’alberghiero di Nizza, ma ero negato, mi cacciarono. I miei genitori mi spiegarono con le maniere vivaci che avrei dovuto prendere più sul serio la cosa. Cominciai a lavorare in un ristorantino a 16 anni e mezzo, in Costa Azzurra. Facevo un po’ di tutto. Notata la mia buona volontà, mi mandarono a lavorare allo Chateau Eza, 2 stelle Michelin a Eze, un piccolo comune tra Montecarlo e Nizza. Notai una cura incredibile del prodotto, la qualità di un’anatra, di una faraona, la verdura... Scoccò la passione».


Anthony Genovese, classe 1968
ITALIA. Poi venne l’Italia. «Volevo tornare nel mio paese, perché mi sentivo italiano. Ero destinato a
Ducasse ma scelsi
Pinchiorri, all’epoca due stelle a Firenze. Fu un’altra folgorazione: passammo da menu statici popolati da rombi, piccioni, astici, ostriche a una cucina con olio extravergine, limone, baccalà, olive… Una rivelazione. Rimasi con loro 4 anni, più una stagione a Tokyo».
ROMA. «Diventai un vero chef a
Palazzo Sasso a Ravello, in Costiera – ora
Palazzo Avino. Ma andai a Roma alla fine del 2001, dove mi raggiunse da Londra
Marion Lichtle, una carissima amica. Aprimmo il nostro ristorante. Amo questa città, con tutti i suoi difetti: è di una bellezza tale che, quando si rifa il trucco, si fa perdonare alla grande. Oggi posso dire che la sfida del
Pagliaccio è vinta». Ma gli inizi furono tutt’altro che facili: «Per anni, quasi un decennio, Roma non mi ha accettato: dicevano che facevo una cucina asiatica, fusion. ‘Stai attento che da Genovese mangi indiano. Esci e puzzi di spezie’, ironizzava qualcuno. Decisi che piuttosto sarei morto in piedi. Per fortuna non è successo».
2021. Come si costruisce il futuro nell'anno post-covid? «Io dedico tanto tempo ad ascoltare le persone che mi stanno attorno. Ma credo che il futuro lo affronteremo meglio se rimarremo noi stessi. Cambiare i prezzi, la linea di cucina… Ne abbiamo sentite tante ma non sono d’accordo. Occorre avere un carattere forte. E magari fare meno show-business, stare di più in cucina e meno sotto i riflettori».

Pronti per la preparazione di Agnello e puntarelle
È la lunga premessa di
Agnello e puntarelle, piatto simbolo di Genovese e vero cuore della lezione. «È un’evoluzione di Abbacchio e puntarelle, una preparazione che più romana non si può. L’ho spogliata di tutti gli elementi non essenziali e ho cercato di attribuire più importanza alle verdure che alla carne. Alla fine, il segreto è questo». Per l’esecuzione delle versione 2021, vi lasciamo alla clip video, a partire dal minuto 11’ e 15’’ per l’esattezza.
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