Sono nato ad Agen, nella regione dell’Aquitania, in Francia. Mi sono laureato in Filologia spagnola a Tolosa. Terminato il master in Storia della Catalogna a Barcellona, ho deciso di rimanere e vivere in questa meravigliosa città. Ho insegnato francese per tre anni, ma non mi piaceva molto; per questo sono andato a lavorare in un ristorante al porto. Ho imparato a fare il cuoco negli anni Ottanta, alla scuola di May Hoffman e con un insegnante francese, allievo di Joël Robuchon.
Sono diventato cuoco perché mi piaceva mangiare e volevo sapere cosa c'era dietro a quel che mangiavo! Ho continuato a imparare… mangiando, soprattutto in ristoranti di Spagna, Francia e Italia. Ho partecipato alle Jornadas Gastronómicas di Vitoria di Rafael García Santos e ho collaborato un po' con la sua guida, Lo Mejor de la Gastronomía [il primo congresso di cucina del mondo, ndr]. Nel 2006 ho lasciato la cucina, ho aperto il mio blog e cominciato a collaborare col Forum Gastronòmic de Girona di Pep Palau, con la rivista Apicius, il magazine Qué Fem de La Vanguardia e altre pubblicazioni come Cuina, Cocina Futuro e, naturalmente, Identità Golose. Ho lavorato anche in radio e, dall'anno scorso, collaboro a un programma di Catalunya Radio, una cronaca settimanale sui ristoranti.
Ho visitato El Bulli per la prima volta nel 1989, ma è stato solo nel giugno del 1993, dopo aver conosciuto Ferran Adrià nel dopo cena, che ho capito l'importanza di quella cucina. Mi emozionò il Midollo con caviale e cavolfiore.

A sinistra, un giovanissimo Ferran Adrià in un'immagine d'archivio. A destra, Juli Soler, altra colonna del Bulli (foto esebertus.com)
Nelle 15 visite successive, notai che quel ristorante stava rivoluzionando il paradigma culinario mondiale, cominciando a costruire un metodo fondato su nuovi concetti e nuove tecniche. Nei primi anni Novanta mi colpirono molto anche i primi ristoranti di
Pierre Gagnaire a Saint Etienne, per la follia combinatoria degli ingredienti e l'estetica degli impiattamenti. E mi entusiasmò anche la prima visita da
Michel Bras, per l'irruzione della
naturaleza sul piatto e la rivendicazione del
terroir "povero". Un concetto di lusso naturale che poi avrebbe ispirato anche
Mugaritz e, più tardi, il
Noma.
Di
Gagnaire è impossibile ricordare un solo piatto. Ricordo la lettura del menu e la poesia che emanava dai nomi dei piatti con prodotti, spezie ed erbe sconosciute in quei primi anni Novanta. Con un piccolo gruppo di cuochi, lo invitammo a cucinare a Barcellona in un piccolo ristorante chiamato
L'Aram. Accettò l’invito e venne a cucinare gratis, solo perché aveva un bel ricordo adolescenziale di questa città.
Pierre è una persona che lavora con le emozioni e sono felice di conservare l’amicizia con lui. Di
Michel Bras ricordo soprattutto la cottura del foie gras, poco grassa, quasi carnosa. La nuova visione di questo prodotto per me è importante tanto quanto il suo
Coulant o la
Gargouillou. Dopo 25 anni, il
suo ristorante è ancora all'avanguardia.
Oggi mi stanca la dicotomia “alta cucina/cucina casual”. E mi annoia il fine dining, quello dell'accumulo sparso di elementi sul piatto, con tre gocce di salsa da un lato, due fiori dall'altro, dei dadi di gelatina o un croccante decorativo. Questa non è più una cucina da gustare, ma una posa fotografica per gli
instagrammer. La bellezza di un piatto è nel suo gusto. L’alta cucina non dev’essere una questione di forma, ma di sostanza (prodotto buono, ben cotto, ben accompagnato dalla creatività personale dello chef, presentato pensando al gusto del cliente, non alla fotografia. Per questo difenderò sempre il cucchiaio come la migliore delle posate!).
Il successo della cucina più
casual è la reazione, conscia o inconscia, di una parte del pubblico al freddo e avaro
fine dining che a volte vediamo in alcuni 3 stelle (o anche le insegne con una stella che aspirano alla stessa cosa). Per molte persone, sedere in un 3 stelle è segno di ostentazione sociale; io personalmente siedo al tavolo solo per godermi il cibo.
Sono appena stato per la seconda volta da
Chambre Séparée, chef
Kobe Desramaults a Gent (Belgio). Questo ristorante potrebbe essere un esempio di superamento della dicotomia di cui sopra. Con una migliore estrazione di fumo (utilizza molto la griglia), potrebbe benissimo avere 3 stelle, anche se tutto sembra informale e semplice: niente artifici nel piatto, assenza di quella che viene comunemente chiamata "decorazione" (un concetto vecchio, a mio parere). Il suo semplice piccione stagionato oi suoi tagli d'agnello, grigliati lentamente, sono assaggi memorabili. È uno chef molto sottovalutato. Già
In De Wulf [la sua precedente attività, ora chiusa,
ndr] meritava più riconoscimenti.
A Parigi sono stato benissimo di recente da
Le Clarence. Una cucina diretta, senza fronzoli non ncessari, in una cornice elegante. Mi piace anche la precisione di
Pascal Barbot, la personalità di
David Toutain e il folle radicalismo di
Alexandre Gauthier (solo a volte, manca un po' più sapore).
In Galizia, mi piace molto la cucina di
Javier Olleros del
Culler de Pau, uno chef molto discreto e ancora poco conosciuto. Elegante e goloso allo stesso tempo, ha un meraviglioso ristorante vicino a Pontevedra. A Barcellona,
Jordi Vilà di
Alkimia comincia a essere riconosciuto. Anche
Rafa Peña del
Gresca e
Oriol Ivern di
Hisop. Tra i più
casual, evidenzierei
Toni Romero del
Suculent e il ristorante
Dos Pebrots che ha uno chef come
Borja Garcia (ex
Noma,
Ryugin,
Etxebarri…), che sta all'ombra di
Albert Raurich del
Dos Palillos. Adoro la cucina messicana progressive di
Paco Méndez, chef dell’
Hoja Santa di
Albert Adrià.

Mauro Uliassi celebra con tutto il suo team la terza stella Michelin, lo scorso dicembre
A Valencia, i miei preferiti sono
Ricard Camarena e il ristorante
BonAmb de Xávea, che ha già due stelle. Ma anche
Vicente Patiño nella sua
Saiti, ancora senza riconoscimenti Michelin. In Andalusia, a parte i grandi (
Angel León e
Paco Morales), dovrei nominare
Benito Gómez e il suo
Bardal a Ronda,
Pedro Sanchez del
Bagá di Jaen e
Juan Luis Fernández (ex chef di
Aponiente) di
Lu a Jerez.
In Italia, se è permesso dirlo, sono contento che la cucina di Mauro Uliassi oggi sia più riconosciuta, ma sfortunatamente sono in pochi a conoscerlo in Spagna. Ora occorrerebbe parlare dei grandi chef sopravvalutati dalle guide e dai giornalisti (ogni paese ha il suo), ma preferisco parlarvene in privato...