E' arrivato a Identità Golose Milano con molto entusiasmo Matteo Grandi, talentuoso chef vicentino classe 1990, chef del ristorante Matteo Grandi in Basilica, nel centro più centro di Vicenza, in piazza dei Signori, dove trovano posto anche il Bistrot e il Caffè Garibaldi. Ma non basta: da circa un anno Grandi ha anche lanciato sempre a Vicenza Pizza dei Signori (ne abbiamo scritto qui), e infine citiamo anche la Locanda Grandi, adatta per la realizzazione di feste, eventi privati e serate esclusive, che si trova a San Bonifacio.
E' lo stesso entusiasmo che gli ha permesso di costruire questa piccola galassia gastronomica in pochi anni, dopo aver preso in gestione il Caffè e il Bistrot Garibaldi, e il ristorante gastronomico, a settembre 2020, subentrando a un altro giovane chef e imprenditore veneto, Lorenzo Cogo.
«Aprirei un ristorante nuovo ogni giorno» ha raccontato sorridendo Grandi, alla fine della cena che l'ha visto protagonista in Hub. «In questo momento ci troviamo invece in una fase dove bisogna consolidare, oggi la cosa importante è che abbiamo una realtà grande, con molti dipendenti, a cui dare solidità. Poi nel futuro farò sicuramente qualcos'altro. Però abbiamo corso tanto, dobbiamo concentrarci su quello che abbiamo per le mani. Poi, soprattutto, è un momento di cambiamento nella nostra cucina».

Matteo Grandi firma il cartellone dove raccogliamo gli autografi degli chef ospiti dell'Hub, sotto lo sguardo dell'executive chef di Identità Golose Milano, Edoardo Traverso, e del sommelier del suo ristorante, Alessandro Burattinello
In che direzione sta andando questo cambiamento?
Quella della semplicità e della pulizia del gusto. Nei nostri piatti un tempo si potevano trovare quelli che io chiamo "orpelli", invece oggi, piuttosto che aggiungere, togliamo. Non abbiamo bisogno di stupire aggiungendo, ma abbiamo bisogno di stupire togliendo. Io dico che un grande piatto è quello che ti fa dire: "Ma come sono riusciti a fare questo piatto con solo due ingredienti?". Quella è una cosa inarrivabile. Un esempio: i tortelli di
Nadia Santini. Sfido cento chef stellati a farli uguali. Un piatto talmente semplice, e così perfetto, che nessuno riesce a replicarlo. Secondo me questa è l'eccellenza.
Sta anche cambiando il pubblico a cui si rivolge un ristorante gastronomico come il suo...
Bisogna essere molto più consapevoli. Anche del fatto che una volta la gente che andava al ristorante voleva otto, nove, dieci portate, mentre oggi vedo che le persone preferiscono ordinare due o tre piatti molto diretti, molto concentrati, con gusto e pulizia. Soprattutto negli ultimi sei-sette mesi ho visto un cambiamento notevole. Ho amici appassionati, e io stesso posso definirmi un nerd: andavamo a New York e in cinque giorni eravamo capaci di provare quindici ristoranti. Ne parlavo anche con questi compagni di viaggio, che fanno anche altri lavori ma sono sempre nerd della gastronomia. Una volta era impensabile mangiare solo due o tre piatti in un ristorante. Oggi invece cambiano le esigenze e noi ristoratori dobbiamo farci delle domande.
Quali sono i pilastri su cui si basa il suo pensiero gastronomico?
La nostra identità, che si è consolidata avendo un ristorante in cui cambiamo il menu quasi tutti i giorni, è partire da ciò che ci arriva dalla stagione e dal produttore. Già questo racconta chi siamo, perché comunque abbiamo sempre piatti molto stagionali, molto vicini al vegetale, al pesce, alla carne di stagione. Il nostro racconto principale è dettato dalla materia prima.
Spesso sentiamo questo slogan: "mettere al centro la materia prima". Ma nella pratica cosa significa?
Secondo me la cosa più importante è sviluppare un palato mentale, è fondamentale. Serve una grande conoscenza di quello che si fa e serve essere sempre molto curiosi, studiare e capire. Io ho imparato e sto imparando tutti i giorni che se capisci cosa hai davanti, capisci di cosa l'ingrediente ha bisogno: devi sviluppare questa sensibilità, devi andare in profondità nella conoscenza della materia prima. Faccio un esempio: quando mi arriva un pesce che non conosco, la prima cosa che devo fare non è pensare a come cucinarlo, ma chiedere a chi lo pesca da venti, trent'anni come lo preparano a casa, e partire da lì. Poi, ovviamente, puoi cambiare, migliorare, perché non è detto che quello che facevano a casa trent'anni fa sia perfetto, ma hai un punto di partenza, hai un'ancora.
Questa attenzione, questa cura meticolosa, l'abbiamo ritrovata nei piatti proposti al pubblico di Identità Golose Milano. Nella gallery qui sotto le foto delle quattro portate più l'entrée, accompagnate dalle parole di chef Matteo Grandi.

Cannoncino salsa tonnata e ponzu e Uova e asparagi
«L'unico piatto che rimane del mio percorso in Cina e in India è questo cannoncino con una salsa tonnata e l'uso di molte spezie. Penso che sia l'unica cosa che non abbiamo mai cambiato. Poi oggi ci hanno portato delle uova fantastiche e degli asparagi altrettanto fantastici. Li abbiamo preparati con una salsa bernese alleggerita, e abbiamo chiamato questo assaggio semplicemente "Uova e asparagi"»

Bosega di Caorle marinata
«La bosega è un pesce povero della laguna, che si trova solo in questo periodo, già tra due o tre settimane mi hanno detto che si farà fatica a trovarla. Sono pesci sui tre-quattro chili, hanno una carne molto soda, e la serviamo con questa salsa acidulata con bruscandoli e agretti»

Risotto di sedano rapa con piselli, rafano e rapa rossa
«Per questo piatto abbiamo giocato con l'idea dei risi e bisi, da cui abbiamo tolto il riso e abbiamo ricreato più o meno la stessa consistenza con il sedano rapa. Quindi riso di sedano rapa con del rafano e una salsa di rapa rossa»

#piccionepercolazione
«Il piccione è un ingrediente molto importante per me: non sempre lo tratto nel medesimo modo, perché ci sono piccioni più grandi, piccioni più piccoli. Per esempio, se ci arriva il piccione dalla Toscana, che è molto più asciutto, con meno sangue rispetto a un piccione francese, lo frolliamo un po' meno. Il piccione francese ha una carne più rossa, quello lo frollo di più. Lo immergiamo nello strutto, intero, e lo lasciamo dai venti ai quarantacinque giorni. Poi viene cotto intero sulla brace, senza togliere la testa, perché così rimangono tutti i succhi all'interno, e lo serviamo in sala. La carcassa la recuperiamo e dopo la cottura alla brace facciamo un fondo. Abbiamo fatto un lavoro sui fondi, che sono molto alleggeriti: aggiungiamo vino rosso, un po' d'acqua, riduciamo per venti-trenta minuti e quella è la sua salsa. Vogliamo gusti puliti, decisi, molto diretti»

«Il secondo servizio del piccione presenta lo spiedino di fegato e cuore, e la coscia, anch'essi cotti alla brace»

Insalata di agrumi, paprika affumicata e sorbetto di vodka
«Dopo il percorso che ho fatto, che mi ha permesso di ritrovare la mia forma dimagrendo di molti chili, mi sono reso conto quanto sia importante, dopo tre-quattro piatti, non dare da mangiare burro, uova e farina alle persone. Sono buonissimi, per carità, ma un dolce del genere lo mangi per merenda, non dopo un menu degustazione. Quando vai al ristorante è importante pensare anche a questo. Sono un po' provocatore: secondo me lo zucchero è una droga, quindi anche sui dolci abbiamo cercato di eliminare completamente gli zuccheri. Lavoriamo con la frutta, con la verdura, puntando sulla dolcezza che la frutta ha in natura, non serve aggiungerne altra»