«Uno dei compiti di chi fa editoria è colmare i vuoti. E' lo spirito con cui abbiamo realizzato questo libro, per dare ai lettori qualcosa che prima non c'era»: ha ragione Manfredi Nicolò Maretti, editore (Maretti Editore) e in questo caso anche autore, che parla così del libro che ha da poco firmato, Le stelle Michelin in Italia - Enciclopedia dei ristoranti stellati italiani dal 1959 al 2021, presentato ieri, giovedì 7 aprile, nell'Hub di Identità Golose Milano con una doppia iniziativa. Prima la conferenza di presentazione, poi una cena speciale.
Nessuno aveva mai pensato di intraprendere un'opera di meticolosa raccolta e organizzazione delle stelle assegnate in Italia dalla guida rossa: «L'idea - ci ha raccontato Manfredi Maretti alla fine della intensa serata in via Romagnosi - mi è venuta una sera, nel mio salotto, mentre stavo guardando la mia collezione di guide Michelin. Nel giro di sei mesi sono riuscito a raccoglierle tutte tranne una, quella del 1970. Le stavo osservando e mi sono detto che mancava una raccolta ragionata delle informazioni che si trovano in quelle pubblicazioni. Poco dopo siamo partiti e in otto mesi siamo riusciti a dare forma a questo lavoro».

1324 ristoranti citati: un lavoro certosino, di archiviazione, che però può dare spunti e incitare a un'ulteriore esplorazione: «Anche solo osservando l'evoluzione dei nomi dei ristoranti nel corso di queste 73 edizioni della Michelin, si può cogliere un'evoluzione di gusto e di giudizio. Ad esempio nei primi anni '60 troviamo molti ristoranti chiamati "girarrosto" che venivano premiati con la stella, o molti ristoranti che avevano la definizione "trattoria" nell'insegna. Oggi invece troviamo l'
Osteria Francescana, che non ha nulla a che vedere con i canoni classici del concetto di osteria. Insomma, possiamo osservare come la ristorazione italiana sia cambiata in questo arco temporale e mi piace pensare che possa essere uno spunto anche per i più giovani, che potranno sentire lo stimolo di approfondire la conoscenza di determinate insegne che hanno fatto la storia della nostra cucina, come la
Trattoria Cantarelli, o
Guido da Costigliole...».
Di insegne che hanno fatto la storia della ristorazione italiana ieri a
Identità Golose Milano, per la presentazione del libro condotta dal direttore di
Identità Paolo Marchi (che ha firmato anche la prefazione del volume,
anticipata ieri su queste pagine), ne erano rappresentate due di grande importanza e prestigio.
Da Vittorio, a Brusaporto (Bergamo), tre stelle dal 2010 e prima stella conquistata nel 1978, con
Bruna Cerea, moglie di
Vittorio e testimone dell'inizio di questa straordinaria storia gastronomica, e la figlia
Rossella, che gestisce l'accoglienza della struttura. E poi
Dal Pescatore, a Canneto sull'Oglio (Mantova), con
Antonio Santini, maestro della sala italiana e fondatore dell'insegna con la moglie e chef
Nadia.
«Quando abbiamo aperto - ha ricordato
Bruna Cerea - io e
Vittorio desideravamo soltanto riempire le sale del ristorante. Le stelle erano lontanissime dai nostri pensieri: certo che quando nel '78 è arrivata la prima, abbiamo fatto i salti mortali per la gioia. Il mio piatto preferito del ristorante saranno sempre i
Paccheri, che sono nati dopo un viaggio in America, che ci siamo concessi dopo 25 anni di matrimonio: abbiamo visto questo chef a Orlando che rifaceva le classiche fettuccine all'Alfredo e quando siamo tornati...
Vittorio ha deciso di creare i suoi deliziosi paccheri».
«Viaggiare, andare in giro, assaggiare è l'unico modo per capire come far funzionare un ristorante - ha commentato
Alberto Santini -. E' quello che dico sempre anche agli studenti delle scuole alberghiere: viaggiare, sedersi al ristorante, è fondamentale per capire e per crescere. Noi abbiamo viaggiato molto, prima in Italia e poi all'estero, e in quel modo abbiamo compreso come dovevamo lavorare per far stare davvero bene i clienti».
Di fianco a
Bruna Cerea e ad
Alberto Santini c'era anche
Maurice Von Greenfields, alias
Maurizio Campiverdi, autore nel 2020, sempre per
Maretti Editore, di un volume (
Tre stelle Michelin) in cui ha raccontato le storie di tutti i 286 tre stelle, dalle primissime in Francia nel 1933 a quelle assegnate nelle edizioni 2020. «
Maurizio - ci ha detto
Manfredi Maretti - è stato un'ispirazione e un anfitrione, il suo libro e il mio condividono il desiderio di fornire uno sguardo completo, la totalità di un panorama».
«Il mio amico
Manfredi - ha commentato
Campiverdi durante la presentazione - ha colmato una lacuna con questo volume. Per chi ha la mia età c'è anche una certa nostalgia nello sfogliare queste pagine e ricordare tanti ristoranti che non ci sono più, che magari non hanno retto al passaggio di testimone tra generazioni, come successe per il ristorante
Fini a Modena, che quando morì il vecchio Cavaliere chiuse perché nessuno degli eredi volle proseguire in quel lavoro».
Dopo i racconti della presentazione, la parola è passata ai piatti di una cena speciale per celebrare questa uscita editoriale.

Foto di gruppo dei protagonisti della cena
Protagonisti
Alberto Bettini, accompagnato dal suo chef de cuisine
Giacomo Orlandi, custode di una storia preziosa di ristorazione come
Da Amerigo a Savigno, una stella Michelin e soprattutto un pezzo di tradizione gastronomica emiliana di assoluto valore.
Davide Oldani, accompagnato da
Alessandro Procopio, con le due stelle del
D’O di Cornaredo. Un ristorante che dal 2003 non ha mai smesso di crescere ed evolversi, grazie alle idee e alla sensibilità del suo fondatore, ma anche dei professionisti che lavorano da anni al suo fianco, di cui
Procopio è un simbolo perfetto. Il giapponese
Takeshi Iwai, che dopo essere cresciuto in alcune delle cucine più prestigiose del nostro paese, ed essersi distinto per bravura e tecnica come chef del ristorante gourmet della
Cascina Guzzafame, ha subito portato la stella a Milano prendendo in mano la proposta gastronomica di
Aalto, grazie all’intuizione mirabile del patron
Claudio Liu.
Davide Comaschi e
Simone Finazzi, pastry chef di livello assoluto che firmano la proposta dolce dello storico tre stelle
Da Vittorio a Brusaporto, oltre a guidare
DaV Pastry Lab, il laboratorio di pasticceria della famiglia
Cerea.
Qui sotto le foto dei piatti, accompagnate dai racconti dei loro creatori.

Giardiniera di verdure, lingua, guancia e cotechino - Alberto Bettini, Da Amerigo, Savigno (Bologna)
«E' un piatto che ci rappresenta appieno, con tre tagli di che provengono da varietà autoctone della nostra zona, tra Modena e Bolgona. Cotechino di Mora romagnola, guancia e lingua di Bianca modenese. Le verdure sono quelle dell'orto dei contadini con i quali lavoriamo, che lavorano in biodinamico, e ci forniscono ogni settimana gli ingredienti per i nostri piatti»

Zafferano e Riso alla milanese D’O - Davide Oldani, D'O, Cornaredo (Milano)
«E' un piatto nato per Expo2015, che abbiamo voluto riproporre oggi. L'idea era di celebrare due ingredienti, rispettandoli al massimo: il riso, proposto in purezza, senza soffritti, brodi, vino bianco. Mantecato e usato come una tela bianca su cui disegnare con lo zafferano, messo in infusione, che sprigiona tutto il suo profumo e fornisce anche una parte estetica e poetica al piatto»

Anguilla, tataki di manzo e liquirizia - Takeshi Iwai, Aalto, Milano
«E' un piatto che ormai è diventato un classico della mia proposta: l'anguilla viene cotta alla giapponese, alla brace con una laccatura di riduzione di aceto, aceto di mele e di champagne, con un po' di colatura di alici. La glassatura viene ripetuta più volte per dare una bella caramellizzazione croccante. Sotto troviamo il tataki, quindi la carne di manzo rosolata fuori, ma cruda dentro. Poi aggiungiamo la maionese di rafano con un po' di olio di levistico, e un tocco di acidità con il finger lime»

SWEET STAR - Davide Comaschi e Simone Finazzi, Da Vittorio, Brusaporto (Bergamo)
«E' un piatto che abbiamo pensato per l'occasione, dandogli la classica forma della stella Michelin. All'interno troviamo un bacio di dama croccante e friabile, con mele caramellate e saltate con limone e vaniglia, crema al limone profumata al cioccolato bianco, e una crema di mandorle dolci di Puglia e anche delle mandorle amare per dare al dolce un tono vivace»