Al cospetto della storia, che non è mai tutta buona o tutta cattiva, ma regala continuamente sfumature diverse e sovrappone sentimenti contrastanti. E dunque ecco una piccola storia in una più grande, l'altra sera, perché domenica si è tenuta l'ultima cena a Identità Golose Milano prima che entrasse in vigore il Dpcm che sospende i nostri appuntamenti serali fino a fine novembre, e insomma si percepiva d'essere di fronte a un momento di snodo delle nostre abitudini individuali, almeno per un po'. E poi c'era anche una grande storia nell'ambito di quella specifica dell'alta cucina italiana: perché quella serata così particolare ha celebrato uno dei grandi indirizzi della gastronomia nazionale, una maison prestigiosa, che proprio in quest'anno tribolato ha compiuto 50 anni di vita: il San Domenico di Imola.
Sarebbero dovuti salire sul palco del congresso, qualche ora prima,
Valentino Marcattilii e
Max Mascia, ossia la seconda e la terza generazione di cucinieri alla guida del
San Domenico, per festeggiare con noi questo straordinario mezzo secolo di bontà. Non è stato possibile, ma ci siamo consolati a tavola: il menu ha ripercorso la fantastica cavalcata dell'indirizzo emiliano attraverso i piatti signature che ne hanno scandito i decenni. Una teoria di delizie senza tempo, voluttuose, opulente, piene, raffinate, che noi ci siamo goduti a Milano ma che chiunque può concedersi a Imola, dove è disponibile - accanto ai percorsi di degustazione "contemporanei" - anche il
Menu 50esino Anniversario, "i nostri primi 50 anni raccontati attraverso un menu con i piatti simbolo della nostra cucina", che ricalca in toto quello presentato a
Identità Golose Milano.

Una foto dei primi anni Ottanta: in primo piano Gianluigi Morini e un giovane e barbuto Valentino Marcattiliii. Si nota qualcuno che tiene in mano il libro A tavola al San Domenico, uscito nel 1982, l'autore è proprio Morini con le ricette di Marcattilii. Un pezzo di storia gastronomica
Come abbiamo
già scritto, il
San Domenico di Imola nasce il 7 marzo 1970: l’idea del fondatore
Gianluigi Morini era quella di dare a tutti la possibilità di conoscere e apprezzare la grande cucina delle case nobiliari italiane. Una trovata nuova, soprattutto in quel periodo; dare uno spazio per la felicità proposta con eleganza riservata, in ambienti raffinati, dove i clienti diventano ospiti. Bicchieri di cristallo
Riedel, piatti
Richard Ginori, argenteria
Buccellati, tapezzeria
William Morris.
A garantire che la strada fosse giusta anche in cucina, sarebbe stato poco tempo dopo l'apertura l'arrivo - su consiglio di Luigi Veronelli - di quello che era noto come “il cuoco dei Re, il Re dei cuochi”, alias Nino Bergese, il primo celebre chef italiano del Novecento. In brigata scalpitava però un giovane 35enne, Valentino Marcattilii. Quest'ultimo successivamente avrebbe trasmesso a sua volta sapori e saperi gastronomici alla nuova generazione, incarnata dal nipote Massimiliano Mascia.

Max Mascia nella sala di Identità Golose Milano. Sulla destra c'è anche Paolo Marchi beatamente accomodato
Ed è stato proprio
Mascia, classe 1983, a condurre le danze nel corso della cena al primo hub internazionale della gastronomia. Il menu, sei piatti più appetizer, ovviamente ha dato poco o nessuno spazio all'apporto contemporaneo della giovane toque, alla carica d'innovazione che ha inserito in questi ultimi anni. È stata una serata non di scoperta della nuova frontiera, come noi di Identità siamo soliti fare, ma di celebrazione di un'identità forte, cristallizzata e cristallina, che va oltre le mode e ci consegna oggi un
San Domenico al passo coi tempi ma insieme fedele alla propria radice, inscalfibile.

Tortellini fritti; Bon Bon di parmigiano e mousse di mortadella
Divertimenti, ossia
Tortellini fritti; Bon Bon di parmigiano e mousse di mortadella; Cozza, crema di prezzemolo e nocciole tostate
Gli appetizer hanno coniugato territorio e contemporaneità.
Mascia: «La nostra cucina è una fusione tra storia e presente. Così i primi due assaggi sono cavalli dei battaglia che richiamano le radici emiliane. Il successivo, più nuovo, rimane comunque nel filone della nostra identità», ed è in effetti più complesso nello spettro aromatico, mentre i tortellini fritti sono un'arma di distruzione di massa, ne mangeresti ancora e ancora, come fossero strabilianti pop corn.

Pasticcio di fegato d’oca in terrina, tartufo nero e brioche tostata
Pasticcio di fegato d’oca in terrina, tartufo nero e brioche tostata
Piatto storico. «Un classico pasticcio di fegatini, si basa sulla ricetta che
Valentino condivideva negli anni Settanta con
Bergese. Allora il pasticcio era preparato come fosse un crème caramel e si tagliava a fette; ora facciamo tutto espresso al momento, così è più spalmabile. Ci mettiamo anche fegato d'oca, coi fegatini di pollo, così il risultato è amabile, cremoso, pregiato». E vellutato. Buonissimo, con cubetti di gel di Porto a garantire nuances ancora più amabili.

Scampi e caviale con emulsione di patata
Scampi e caviale con emulsione di patata
Piatto più recente, ma al
San Domenico già da qualche anno. «Un abbinamento opulento, lo scampo e il caviale, più la spuma di patata... La nostra cucina non può prescindere da certi prodotti». E la croccantezza dello scampo, la sua masticabilità sono il chiavistello per il godimento pieno.

Uovo in raviolo “San Domenico”, burro di malga, Parmigiano dolce e tartufo di stagione
Uovo in raviolo “San Domenico”, burro di malga, Parmigiano dolce e tartufo di stagione
Che dire? La pienezza in un piatto, la meraviglia del tuorlo cremoso che si spande al taglio del velo di pasta. Non solo buono: diremmo erotico. Il classicissimo per eccellenza, anzi una leggenda. "Un piatto d'indiscutibile lettura, una rappresentazione del territorio, della sua cultura e delle sue tradizioni. Gli ingredienti rigorosamente tradizionali proposti a matrioska, tutti racchiusi in un sol cucchiaio alla sua apertura; un particolare gusto in grado di anticipare un modello interpretativo, copiato e reinterpretato ancora e ancora da molti chef nel mondo",
come abbiamo scritto qui.

Riso mantecato con cipolla tostata, ristretto di sugo d’arrosto caramellato allo zucchero di canna
Riso mantecato con cipolla tostata, ristretto di sugo d’arrosto caramellato allo zucchero di canna
Piatto storico, «uno di quelli più presenti nei menu di questi 50 anni». La cipolla viene tostata finché non prende un color tabacco e perde tutta la sua acidità. Diventa una purea usata in cottura per mantecare il risotto, che alla fine viene nuovamente mantecato in modo molto classico, con burro e parmigiano. Sopra, una riduzione di fondo di vitello ridotto con Marsala e zucchero di canna, anche qui un richiamo a
Bergese. "Il" risotto.

Controfiletto di vitello “Nino Bergese” con crema di latte al guanciale affumicato
Controfiletto di vitello “Nino Bergese” con crema di latte al guanciale affumicato
Piatto storico. «È cambiato nel tempo. All'inizio era una sella di vitello che veniva tagliata a fette, oggi facciamo la monoporzione, con cottura iniziale a bassa temperatura e rosolatura finale». Invece la salsa è sempre lei: guanciale affumicato che soffrigge con spuntature del vitello, alloro e pepe nero, poi un po' di vodka «per una glassatura secca», infine crema di latte. «Una classica salsa anni Settanta». Il tocco finale: cavolo riccio e funghi. Wow.

Torta fiorentina “Nino Bergese” con sorbetto alla pera
Torta fiorentina “Nino Bergese” con sorbetto alla pera
Piatto storico, si racconta sia stato preparato per la prima volta nel 1926,
Bergese aveva soli 22 anni ma la sua carriera già avviatissima, era al servizio del conte
Alborio Mella di Sant'Elia, cerimoniere di Casa Savoia. Fu a Villa Crocetta, tra Intra e Pallanza, residenza estiva del cerimoniere, che lo chef preparò il pranzo per il ventiduesimo compleanno del principe e futuro "re di maggio"
Umberto di Savoia: era il 15 settembre. Fu un grande successo, il principe chiese a
Bergese di ripetere la preparazione della sua torta per tre giorni di fila: ebbe un premio di 500 lire e dei gemelli in argento con lo stemma reale. Domina il cacao: zero uova sia nella pasta frolla, che nella crema, che nella glassa. «È uno dei nostri dolci più conosciuti», per un finale da applausi.