Gabriel García Márquez in un suo scritto dice che «la felicità non è essere in cima alla montagna, ma guardarsi indietro e vedere la strada percorsa per arrivarci». Non credo possano esserci parole più adatte per descrivere ciò che sto vivendo da qualche anno a questa parte; da quando cioè, nel febbraio del 2008, da Firenze sono tornato a “Casa”; anche se casa in realtà non lo è mai stata.
La verità è che sono stato rapito da questi luoghi, questi monti. Un rapimento lento e costante; fatto di sussurri, accenni, soffi di vento, violente sferzate di colori e gusti. Asiago è dolce, armonica e magnifica, ma ha visto tanto dolore e tanta morte. La prima guerra mondiale, tra il ’15 ed il ’18, l’ha modificata profondamente nell’aspetto e nell’anima, ed ha sparso sui suoi prati le membra fredde e inermi di più di 60.000 esseri umani, molti dei quali poco più che ragazzini. Oggi pochi parlano di questo ma sono i luoghi stessi che ce lo ricordano infondendoci un innaturale senso di calma e rispetto quando si percorrono certi sentieri o si attraversano certi boschi.
Rispetto che trovo giusto portare a tutto ciò che questa terra mi onora di fornirmi. Parlo di quegli ingredienti come i licheni, i muschi, le radici, le foglie, le gemme, le pigne, la terra, le resine, il polline, la rugiada. Ingredienti insoliti, gusti perlopiù sconosciuti a molti, purtroppo anche ai locali; ma che sono la base culturale della memoria storica di questa terra.

I primi a vivere qui sono stati i Cimbri, una popolazione scandinava, e per anni questi elementi sono stati la base del cibo e della medicina. Croce e delizia. Purtroppo però la guerra, che tutto ha cancellato, e i tempi moderni, che spesso appiattiscono i valori, ci hanno portato via tutti quei segreti e quei ricordi. La mia speranza, se mai riuscirò in questo, è di riscoprire quegli usi e di riportarli alla luce. Onorare la loro essenza dando loro una nuova forma ed una nuova identità e non importa se con tecniche tradizionali o innovative.
Sono ingredienti di una cucina da definirsi di “sopravvivenza” più che “povera”. Bollire il legno per dare un qualche gusto all’acqua e creare così una minestra; ridurre a polvere i licheni per farne una farina quando i cereali non ci sono. Questa era la realtà, tutti i giorni. E poi c’erano le grandi ricorrenze, come la transumanza, quando si mangiava la trippa, o il Natale, quando si mangiava qualcosa portato su da Venezia, con cui Asiago aveva rigidi contratti commerciali. Ma era un lusso, da potersi permettere una volta all’anno, se si era fortunati. La realtà di tutti i giorni era ben altra.

Alessandro Dal Degan ripreso insieme alla squadra del ristorante La Tana
Ma è nella difficoltà che nascono le idee migliori, è nella povertà che i valori si innalzano, e ci si gode di più ogni singolo momento. Indispensabile è però “sentire” la terra, viverla. Ma questo non è un problema, anzi; lasciarsi prendere dai profumi e dai rumori e perdersi nelle meraviglie architettoniche naturali di questa terra sono sensazioni indescrivibili, di pace e benessere, di speranza e buon umore. Basta sapergli dare il giusto valore.
Nelle mie ricerche ho trovato una citazione dei nostri avi, che recita «la terra plasma il tuo destino; essa vive in te come tu vivi in essa; abbi il coraggio di seguirla». Ed è da qui che voglio far partire il mio racconto.
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