La standardizzazione dei sapori, ai 2.175 metri del Passo Giau, è un’eco lontana, il paesaggio riempie di sé e impone la propria presenza predominante, la vista spazia a 360°: Gusela, Nuvolau e Averau attraverso il massiccio del Sella e la Marmolada... Salirà fin quassù, dagli 0 metri s.l.m. dalla sua Senigallia, Mauro Uliassi per la cena di sabato 12 luglio, esordio di Identità Cortina. E incrocerà i mestoli per una cena a quattro mani con Luigi Dariz, che qui vive e lavora: chef titolare del ristorante che ospiterà l’evento – Da Aurelio, indirizzo Passo Giau 5, per intenderci - figlio ora 46enne del fondatore, l’Aurelio di cui sopra che questo posto lo aprì nel 1970.
Gigi, perché lo chiamano tutti così, è alla guida dei fornelli dal 1996, dopo aver fatto esperienze con
Cipriani, corsi con
Sergio Mei, poi in Inghilterra. Ha ben presente la dinamica moderna global-local: «La cucina, come l’arte, rispecchia il momento, il tempo. Se c’è la globalizzazione, allora è giusto per reazione rivalutare le ricchezze del territorio. Penso alle migliaia di erbe spontanee che ci circondano, un patrimonio anche culinario che non siamo riusciti a farci tramandare, una volta la carenza di cibo imponeva di conoscerne tutti gli usi possibili, oggi sappiamo utilizzarne solo poche decine, il lavoro di riscoperta va fatto».
Lui lo sta portando avanti, propone percorsi di degustazione tutti a base di erbette
et similia (lo Strudel con cipollina, aglio orsino, ortica, farinella e spinaci, le Tagliatelle al burro di cirmolo, l’uovo col crescione, l’agnello con timo, gemme di abete, prezzemolo e bacche di ginepro…). Ecco spuntare nel menu l’uso anche del lichene del Giau, «non è questa la lezione del danese?». Insomma, una rielaborazione di
Rene Redzepi in salsa ampezzana.

Lo spettacolo del Passo Giau in inverno
Eccola dunque, la cucina di
Dariz: «Siamo in un posto particolare… Certo, ho in carta anche le capesante e i gamberi, perché la clientela ce li chiede. Però apro le finestre, vedo i caprioli e mi chiedo che senso abbia». Così, la lettura della modernità passa tutta dal recupero del passato: «Seguo la filosofia di papà», ossia «le cose vanno fatte in una certa maniera», che è un modo molto
montagnard per indicare la primazia della sostanza sulla forma, «nei miei piatti c’è poca apparenza, l’attenzione va al sapore». Non che ci sia riflusso o banalizzazione, tutt’altro, si tratta però di affermare una propria identità, «ho visto troppi colleghi snaturare la propria cucina per inseguire l’agognata stella», mentre la propria bisogna seguirla magari guardandosi attorno.
Prova ne siano i due piatti che
Dariz preparerà per la cena con
Uliassi («L’ho conosciuto ad Alicante, a
Lo mejor de la gastronomia: per me è un onore averlo qui. E’ anche simpaticissimo»): un suo classico, la
Pernice rossa caramellata all'aceto di frutti di bosco con verza e polenta seguirà altri piatti di selvaggina del senigalliese – la sfida è vedere un re del pesce alle prese con un mondo diverso. Spiega
Dariz: «Le pernici le troviamo in zona, le caramello con un aceto di lamponi per un gioco di dolce/salato/acido, anche la verza conferisce dolcezza, la polenta completa come una specie di sughetto. E’ un piatto semplice ma anche d’effetto, c’è una bella combinazione di colori, il rosso, il giallo…».
La cena terminerà con
Panna cotta al fieno d'alpeggio, coulis di mirtillo rosso e lichene del Giau. Lo racconta così: «Ero in Svezia per uno stage…». Insomma la tecnica è di derivazione nordica, l’ispirazione tutta locale: «C’è il dolce della panna cotta, l’acido del mirtillo, il lichene dà croccantezza, conferisce anche una nota a sua volta dolce che poi evolve in amarognola, il fieno lo faccio tostare nel forno e così assume un aroma di caffè». Alta cucina ad alta quota.