Nono sipario levato sulle Identità Golose della cucina internazionale: un velo squarciato sulla gastronomia coniugata in tutti i suoi tempi verbali. Archiviata la stagione iconoclasta e cattivista del perpetuo ricominciamento from scratch, il tema prescelto è stato quello del rispetto: un inchino del cuoco al prodotto, al cliente e alla memoria. Se non un balzo indietro, un passo laterale che relativizza la centralità autoriale egemone nel siglo de oro spagnolo.
Nessuno meglio di Massimiliano Alajmo, con la sua sensibilità religiosa e il suo amore del paradosso, poteva schivare la reazione in agguato. E così è stato. “Per affermare un concetto è necessario contraddirlo”, ha esordito. Perciò l’intervento è stato dedicato alla “cottura a freddo”, ovvero a quei processi che attraverso la denaturazione delle proteine inducono modificazioni simili alle alte temperature. Gli ortaggi macerati in salamoia sottovuoto al fresco per un nuovo concetto di insalata, il merluzzo come il filetto impanato crudo. A cavallo fra anticucina e cucina automatica: un vento che spira da Copenhagen fino a San Paolo.

Franco Pepe e Simone Padoan (al centro, Francesca Barberini): pizze agli antipodi
A seguire il passaggio di testimone fra Ezio Santin e Fabio Barbaglini, suo erede in Cassinetta. Il meritato tributo a un grande del passato, per il quale la parola “rispetto” non basta. I suoi gamberi serviti crudi in tempi non sospetti, col caviale al posto del sale e il cipollotto per il piccante, hanno eretto un ponte sullo stretto fra contemporaneità cutting-edge e visionarietà nouvelle cuisine: la madre di tutte le provocazioni. Barbaglini dal canto suo gli ha risposto con i suoi gamberi con angostura, dadini di mele, caviale, rapa cruda e peperone verde. Un remake più “parco”, in linea con l’estetica contemporanea. Seguito dalla risposta in forma di pasta di Massimiliano Alajmo.
Simone Padoan e Franco Pepe hanno issato sul congresso il vessillo nazionale della pizza. La classicità rigorosa, ma iper-tecnica e d’eccellenza, 100% manuale, a confronto con una ricerca pura al limite dell’irriverenza. Per saltare a piè pari la dicotomia forzata che ha rischiato di spezzare a metà il sacro disco.

Lorenzo Cogo, niente schemi
La giornata dei giovani leoni ha ruggito per primo con
Lorenzo Cogo, accostato da
Paolo Marchi al
Piccolo Principe di Saint-Exupéry. “La definizione di ‘cucina istintiva’ mi serve per non farmi etichettare, cercando di dare un futuro alla cucina italiana seguendo solo i miei impulsi”, ha esordito. Ma il suo è un istinto coltissimo, che ha assimilato decenni di ricerca culinaria mondiale nei lampi delle sue sinapsi. Il foraging di stampo redzepiano ha incernierato il torresano, prodotto tanto tipico quanto dimenticato, che al
Coq viene cotto alla brace. A rifinirlo l’affumicatura istantanea con il fondo del bosco, per un esito tanto originario quanto anti-minimalista. Ma l’avanguardia italiana, per dirla con
Leonardo, è prima di tutto “cosa mentale”. Gran finale quindi con il concettualismo di
Fecondazione, piatto anti-stress per le gravide. Sulla falsariga delle tecniche adottate negli allevamenti della zona, le uova di trota cotte nel dashi per l’umami hanno affiancato il quark per la componente lattica, la cipolla per una strizzatina al
Bulgari di
Davide Scabin (cipolle=feromoni) e lo sperma di trota stesso.