Il Rinascimento della cucina italiana postulato da Massimo Bottura dal palco di Identità Milano significa, nel parallelo continuo con arte a storia, la riscoperta di un’eccellenza che è nostra propria, con il plus di un’acquisita consapevolezza: «Ora, come mai prima, abbiamo preso coscienza tutti noi del nostro passato che, filtrato dal pensiero contemporaneo, amplificato dalla condivisione – vero e proprio elemento nuovo e decisivo, ndr – e da una biodiversità alimentare, ma anche di pensiero, che non uguali al mondo, dà vita a una cucina italiana mai concepita fino a oggi». Lo chef italiano moderno è conscio di questa sua funzione, s’inserisce in un sistema in grado anche culturalmente di interagire con lui, depositario dei necessari saperi: «L’ingrediente più importante per il cuoco del futuro è la cultura».

Grande folla a seguire la lezione
Cucina, arte, Rinascimento. Sono i tre elementi che hanno caratterizzato l’intervento dello chef numero uno, cui piace «vedere nei nostri ristoranti delle botteghe rinascimentali», quelle dove si andava ad apprendere la tecnica e lo spirito, «erano veri e propri laboratori di idee» così come oggi gli chef sono (devono essere) «ambasciatori dell’agricoltura, capaci di fare formazione, di sviluppare il turismo, di incarnare persino una funzione sociale».
L’arte è evoluzione e trasformazione, Piero Della Francesca “diventa” Michelangelo Pistoletto, che evolve in Carlo Benvenuto. Sviluppo e sintesi, il passato è prodromo necessario per presente e futuro: «L’ultimo non può esistere senza il primo, il figurativo e l’astratto non sono opposti ma complementari, ciascuno non cancella l’altro ma anzi acquisiscono forza a vicenda».

Bottura e staff con il premio come primo ristorante del mondo per i 50Best
Così è – deve essere – anche in cucina: per spennellare questo Rinascimento italiano che è a portata di mano, e che vede in
Bottura la sua guida, occorre procedere con lo stesso metodo, dice
Massimo: «Assaggiai una
Caesar Salad, buona ma con troppa salsa. Si è evoluta in
Caesar salad in Emilia, con foglie di erba senape, croccante di parmigiano, mostarda, aceto balsamico e pancetta. Poi ha avuto un esito più astratto, tutto nascosto sotto l’insalata:
Caesar salad in bloom», che cita
Lucio Fontana. Oggi cambia natura e persino nome, diventa un’insalata di mare, con acqua di nero di seppia, fondo di teste di gamberi e scampi, acqua filtrata di ostriche, ma anche yogurt di latte di mandorle e concentrato di camomilla, a rompere la barriera tra dolce e salato. C’è un’idea, c’è un processo di cambiamento e affinamento, ma il gusto rimane la stella polare, «nella esplorazione di
Bottura è sempre in primo piano quello che lì deve stare, cioè il sapore», commenta
Enzo Vizzari.
Gli esempi possono essere anche altri: il Riso camouflage che nasce da uno spunto lontano di Luigi Cremona, «basta con tutti questi risotti, pensiamo al chicco semmai». O la Lepre nel Bosco, che deriva dallo stesso Vizzari tornato da Parigi e finisce con occhieggiare Picasso. E il Riso cacio e pepe, «che appare un quadro di Pietro Manzoni».

Il riso camouflage di Bottura
La storia anche gastronomica è ispirazione per il futuro. Nel
Piccione camouflage ci sono le verdure acide, la coscia fritta ripiena delle sue interiora e le salse, figlie dei viaggi di
Bottura in tutto il mondo «e raccontano il nostro pensiero. Quello di una contaminazione saggia e non selvaggia», giacché «la mia cucina parla comunque la lingua italiana». E infatti percorre l’intera Penisola, come nel celebre
Croccantino al foie gras, che prende in giro la Francia innestando la Langa (con la nocciola), Noto (la mandorla) e l’Emilia (l’aceto balsamico) – a domanda di
Paolo Marchi,
Bottura ha sottolineato: «Sono molto influenzato soprattutto da Piemonte e Sicilia».
Oggi c’è il Riso camouflage, si diceva: «Volevo esaltare l’estratto di clorofilla invernale, ma era un gusto troppo piatto, da solo. Allora con Davide e Taka ho preso del riso al nero di seppia, ho aggiunto dei cucchiai di riso alla clorofilla, poi altri di riso all’acqua di polvere di porcini con scorze di tartufo, ne è nata una sorta di “mari e monti”». O il Tiramizucca rotto, sulla stessa linea di Oops, mi è caduta la crostatina, che sarà alla Francescana da ottobre e nasce da un tortello di zucca alla mantovana «piatto delle mie origini, della mia infanzia», poi diventa “tortello che vuol diventare cannolo”, poi appunto il Tiramizucca «concentrazione di zucca, mostarda, mele campanine, amaretti, croccante…» e ora si frantuma perché «stiamo lavorando sulla millefoglie, entrerà in carta nel futuro, e il piatto rotto simboleggia perfettamente l’evoluzione dell’imperfetto».
«Come il Rinascimento recupera la grande classicità greca e romana, con l’arma della cultura, dopo l’invasione barbarica, così stiamo facendo noi cuochi italiani: abbiamo subito l’invasione della nouvelle cuisine, del fusion, dell’avanguardia spagnola, della new nordic cuisine». E’ l’ora della riscossa.